Otto miliardi (di persone), o quasi

Lo scorso 15 novembre le Nazioni Unite hanno comunicato che, sulla base dei loro calcoli, la popolazione mondiale ha superato gli 8 miliardi. Usando le parole dell'ONU, una "pietra miliare per l’umanità", che però comporta importanti e serie conseguenze sugli equilibri dell'intera biosfera

Lorenzo Vaiani

Dopo appena 11 anni dall’ultimo miliardo raggiunto, lo scorso 15 novembre l’ONU ha comunicato che, in base al modello di stima adottato dall’Organizzazione, la popolazione mondiale ha superato gli 8 miliardi. Nella storia della nostra evoluzione demografica questo è stato l’incremento di miliardo più rapido: per il passaggio da 1 a 2 sono occorsi 123 anni (1804-1927), da 2 a 3 miliardi 33 anni (1927-1960), da 3 a 4 meno della metà, vale a dire 14 anni (1960-1974); da questo momento in poi la crescita è stata via via sempre più rapida, 13 anni per raggiungere i 5 miliardi (1974-1987) e poi 12 anni sia per il sesto sia per il settimo miliardo (rispettivamente 1987-1999 e 1999-2011).

Per onor di cronaca è doveroso segnalare come diverse istituzioni, sia pubbliche che private, abbiano fatto notare come la data indicata dalle Nazioni Unite tenda un po’ a sovrastimare l’attuale popolazione terrestre. Ad esempio, secondo lo United States Census Bureau, il numero di esseri umani presenti sulla terra al 1 novembre era pari a 7,934 miliardi, il che comporterebbe il raggiungimento degli 8 miliardi tra la fine di febbraio e l'inizio marzo 2023; allo stesso modo, anche il Dipartimento di Demografia dell’Università di Washington ha fatto presente come la soglia del successivo miliardo non sarà raggiunta prima della primavera del 2023. Queste (inevitabili) discrepanze di stime, che non cambiano comunque la sostanza del discorso, inficiano soltanto per quanto riguarda il numero di anni occorsi per l’incremento al seguente miliardo; infatti, se si considerano le stime dell’Università di Washington o del Census Bureau gli anni necessari sono stati 12, come per i precedenti passaggi alle soglie successive.

 

Gli effetti della Grande Accelerazione

Tornando al fulcro del discorso, il comunicato dell’ONU definisce l’accadimento del 15 novembre a milestone in human development. Una pietra miliare resa possibile grazie agli enormi progressi in campo scientifico e medico ma che comporta anche importanti ripercussioni per quanto riguarda l’impatto generato dalla nostra specie sulla biosfera.

Per poter meglio comprendere gli effetti causati da questa grande accelerazione è possibile utilizzare lo studio realizzato dal Global Carbon Project, progetto a carattere internazionale nato nel 2001 dalla collaborazione di diverse realtà scientifiche accumunate dall’interesse nel voler incentivare il dibattito pubblico sulle emissioni di gas serra.

Come si osserva dal grafico - che riporta le variazioni annue di emissioni di CO2, espresse in gigatonnellate (Gt), ovvero miliardi di tonnellate – dal 1920, quando le emissioni di anidride carbonica sono state superiori di 0,5 Gt rispetto all’anno precedente, si è susseguito un continuo e costante incremento di anno su anno, intervallato solo da estemporanee riduzioni legate a particolari momenti di crisi: la fine della seconda guerra mondiale, le due crisi petrolifere, la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la crisi finanziaria del 2008 e da ultima la pandemia da COVID-19. Inoltre, a ogni anno segnato da una riduzione delle emissioni sono sempre seguiti anni di forte crescita.

Figura 1 – Variazione annua di emissioni di COdal 1920 al 2022

Figura 1 – Variazione annua di emissioni di CO2 dal 1920 al 2022

Fonte: Global Carbon Project

La figura 1 permette dunque di analizzare quanto successo negli ultimi 100 anni. Per provare a capire verso che direzione ci stiamo muovendo occorre però considerare la situazione demografica attuale e le prospettive per i prossimi decenni. E, per farlo, è necessario partire, sempre grazie all’ausilio dei dati elaborati dal Global Carbon Project, dalla valutazioni di quali fossero i Paesi che nel 2021 emettevano il maggior quantitativo di CO2. Ai primi tre posti si collocano la Cina, con 11.472 milioni di tonnellate di anidride carbonica (Mt), gli Stati Uniti con 5.007 tonnellate, e l’India con 2.710 Mt di CO. Giusto per dare un riferimento l’Italia nel 2021 ha prodotto 329 Mt e l’UE a 27 2.793. A seguire "nella classifica" troviamo poi la Russia (1.756 Mt), il Giappone (1.067), l'Iran (749 Mt), la Germania (675Mt), l'Arabia Saudita (672 Mt), l'Indonesia (619 Mt) e la Corea del Sud (616 Mt). Tra questi Stati gli unici che adottino una qualche politica o strategia di riduzione delle emissioni sono gli Stati Uniti (sempre in base a quale Presidente governi), il Giappone, la Germania e la Corea del Sud.

Se già questi primi dati sono un chiaro campanello d’allarme, ulteriori aspetti di interesse arrivano da un'ulteriore analisi, quella ottenuta intrecciando i valori appena esposti con le variabili demografiche, a partire dall’attuale top ten dei Paesi con il maggior numero di abitanti (figura 2, grafico di sinistra)I primi tre Paesi per emissioni di COsono anche quelli con il maggior numero di abitanti: la Cina con 1.410 milioni di persone (ovvero 1,41 miliardi), l’India con 1.389 milioni (1,39 miliardi) e gli USA 332,8 milioni. Gli unici altri due Stati che sono tra i primi 10 emettitori di anidride carbonica e sono anche tra i dieci più popolosi sono l’Indonesia, che si colloca al quarto posto con 277,3 milioni di abitanti, e la Russia, penultima con 145,9 milioni. 

Tutti gli altri Paesi che a oggi sono tra i più popolosi hanno emissioni di COsignificativamente più basse: il Pakistan, quinto Stato più popoloso al mondo con oltre 240 milioni di abitanti, produce 230 Mt di CO2; il Brasile, che si colloca al sesto posto della classifica per popolazione (212,6 milioni di abitanti) e maggiormente sviluppato rispetto al Pakistan, per esempio, emette 489 Mt. Seguono poi la Nigeria (206 milioni di persone e 137 Mt di CO2  emessa), il Bangladesh con quasi 165 milioni di abitanti e solo 93 Mt di CO2, e infine il Messico (128,9 milioni di persone e 407 Mt di CO).
 

Questa è la situazione a oggi, ma come evolverà nel 2050? 

Sicuramente non è possibile prevedere con particolare precisione quali saranno le emissioni di anidride carbonica per ciascun Paese, più semplice, invece, il discorso rispetto agli andamenti demografici, per loro natura maggiormente prevedibili. La parte destra del grafico in figura 2 mostra quella che verosimilmente sarà la situazione tra circa 25 anni. A livello macro, secondo le nuove previsioni delle Nazioni Unite, la popolazione mondiale sarà di circa 9,3-9,7 miliardi, mentre i 10 Stati più popolosi saranno: L’India con 1.659 milioni di abitanti (1,66 miliardi), la Cina con 1.634 milioni (1,63 miliardi), la Nigeria con 411 milioni e gli USA con 390 milioni. Seguiranno a maggior distanza l’Indonesia (332 milioni), il Pakistan (307 milioni), il Brasile (233 milioni), il Bangladesh (202 milioni), la Repubblica Democratica del Congo (197 milioni) e infine l’Etiopia con 191 milioni. Pertanto, nel 2050 l’unico Stato di dimensioni consistenti che, almeno ad oggi, è impegnato nella riduzione delle emissioni di COsarà gli Stati Uniti. Dalla Nigeria in giù sono tutti Paesi in via di sviluppo e che nei prossimi 10-20 subiranno una fortissima accelerazione demografica e, ragionevolmente, anche nei consumi e nell’industria con un estremo bisogno di energia a basso costo (il caso della Cina dovrebbe averci insegnato qualcosa). 

Figura 2 – I 10 Paesi maggiormente popolosi nel 2022 e nel 2050 (in milioni di abitanti)

Figura 2 – I 10 Paesi maggiormente popolosi nel 2022 e nel 2050 (in milioni di abitanti)

Fonte: elaborazione a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali su dati Forbes, PopulationPyramid e Wordometer

Risulta pertanto fondamentale iniziare a intervenire sin da ora sulle politiche energetiche di questi Paesi. Infatti, troppo spesso si parla esclusivamente dei "soliti noti", come Cina, Stati Uniti, Europa e, seppur in misura minore l’India. L’UE nel 2050 potrà anche aver portato a compimento il progetto della neutralità climatica ma va considerato anche che non ha (e tantomeno avrà) una massa demograficamente parlando rilevante; basti pensare che già oggi solo sommando la popolazione di Indonesia, Pakistan, Bangladesh e Nigeria si arriva a più del doppio della popolazione europea.

Dati che rendono evidente come sia vitale portare bel breve termine l’attenzione su tutti quei Paesi al momento colpevolmente dimenticati ma che, già adesso, e ancora di più domani, avranno una massa critica tale da poter tranquillamente spostare gli equilibri della lotta ai cambiamenti climatici. 

Lorenzo Vaiani, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

5/12/2022 

 
 
 

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