Povertà educativa: complessità e territorio le parole chiave

Un recente studio sulla diffusione della povertà educativa curato da Fondazione openpolis e Con i bambini mette in luce due aspetti chiave del problema e, quindi, della possibile soluzione: un approccio omnicomprensivo e una forte conoscenza del territorio

Giovanni Gazzoli

La crisi politica di queste settimane sembra avere spostato l’attenzione dalla straordinaria occasione del Recovery Fund, relegandola al piano della mera tattica politica: qui, inevitabilmente, il discorso passa dal pratico al teorico, dal contenuto al fine, dal percorso al traguardo. Eppure, quanto visto in questi mesi suggerisce che il problema sembra essere proprio lì, ossia nella capacità di far fruttare una quantità di risorse davvero ingente attraverso progetti concreti, realizzabili e sostenibili.

Per fortuna, ancora una volta, il basso viene in soccorso dell’alto: un recente studio sulla diffusione della povertà educativa effettuato da Fondazione openpolis e Con i bambini sembra offrire alla politica e ai decisori che dovranno amministrare e pianificare la spesa di queste risorse un paio di indicazioni di metodo cruciali. L’impostazione dell'osservatorio, dedicato appunto alla povertà educativa, si basa infatti su due fattori chiave nell’analisi di un problema certamente molto complesso. Il primo consiste nel considerare diverse facce del problema, a partire dall’identificazione di un soggetto principale (i bambini) e indagando di conseguenza le diverse variabili che ne influenzano il processo di conoscenza (demografia, digitalizzazione, urbanistica, condizione delle infrastrutture, ecc.): “si tratta di un fenomeno multidimensionale e come tale va affrontato, senza scorciatoie”. Il secondo riconosce la necessità di un’analisi territoriale che vada nel micro, poiché lì si manifestano le differenze che spiegano le origini del problema e che quindi sono il primo impedimento a risolverlo: “è necessario inquadrare proprio quei divari interni per intervenire con efficacia nel contrasto alla povertà educativa”.

Insomma, complessità e territorialità, attenzione al dettaglio e valorizzazione delle realtà locali, due aspetti imprescindibili per far sì che i soldi che arriveranno dall’Europa si trasformino in benefici reali. Due aspetti che, peraltro, sono usciti proprio nella presentazione del Piano strategico della Fondazione Compagnia di San Paolo: un assist, in effetti, che rimarca l’importanza di questi attori nella messa a terra del Recovery Plan.

Tornando però ai contenuti dell’indagine, questa ovviamente fornisce molti spunti anche di merito, oltre che di metodo. Nello specifico, sfata il mito di un Nord omogeneo nella lotta a questo fenomeno, rimarcando che – effettivamente – al momento “la trattazione della povertà educativa avviene soprattutto utilizzando indicatori nazionali o al massimo regionali, anche per la carenza di dati aggiornati a livello locale”, il che comporta carenze nello studio della povertà educativa. Pertanto si concentra sulla Lombardia, come detto prendendo in esame diverse dimensioni del problema; tra queste, due sono particolarmente interessanti, ossia la demografia e l’innovazione digitale.

Per quanto riguarda il primo punto, la Lombardia ha visto aumentare negli ultimi 7 anni il numero di residenti tra 0 e 17 anni, anche se solo dello 0,86%: un dato molto basso, che però la pone al terzo posto tra le regioni italiane, dietro a Emilia Romagna (+2,13%) e Lazio (+3,8%); queste, peraltro, sono insieme alla Toscana le uniche quattro regioni con variazioni positive, dato che conferma una volta di più il preoccupante calo demografico che interessa l’Italia. Tuttavia, se si approfondisce il dettaglio, si scopre che nella sola città metropolitana di Milano la stessa fascia di età tra i residenti è aumentata del 13,7%, passando dai 495.150 nel 2012 ai 528.205 nel 2019: un aumento doppio rispetto a quello del resto della provincia di Milano, che si assesta intorno al 6%. Certamente la grande quantità di servizi e di opportunità offerti dalla città meneghina gioca un ruolo determinante in questa differenza.

L’altro tema particolarmente interessante che emerge dallo studio è quello legato alla diffusione degli strumenti digitali che - e lo sappiamo fin troppo bene dopo quasi un anno di didattica a distanza - avranno un ruolo sempre maggiore nella nostra società, in particolare nella lotta alla povertà educativa. Qui il discorso cambia se si parla di banda larga di base, banda larga veloce o banda larga ultraveloce: se la prima nel 2019 era disponibile a 98% delle famiglie, poco più della media nazionale (95%), la seconda raggiungeva il 70%, mentre la terza il 34%, minore della media nazionale (36,8%).

Eppure inquadrare il caso della Lombardia queste statistiche non sono ancora sufficienti, poiché all'interno della stessa regione la realtà dei diversi territori varia in modo molto marcato. Per cominciare, il 10% dei minori lombardi vive in comuni che l’Istat classifica come montagna interna, mentre il 69% in pianura. Differenze che giocano un ruolo soprattutto nelle connessioni a banda larga veloce e ultraveloce: se infatti in quella di base tutte le province lombarde superavano la media italiana (come detto, 95%), per quanto riguarda le connessioni veloci si va dalle percentuali maggiori all’80% di Monza e Milano al 36% di Sondrio, e per quelle ultraveloci si passa dal 60% di Milano al 14% di Sondrio.

Ancora, la necessità di approfondire spinge ad analizzare un altro parametro che ha a che fare con la digitalizzazione, in particolare nelle scuole. A Milano il 44,5% degli studenti studia in un istituto con oltre 10 pc: a Roma e a Napoli sono tra il 36% e il 37%. Eppure, ben il 14% degli studenti meneghini studia in scuole con 0 dispositivi, un dato che posizione il capoluogo lombardo al terzo posto tra le maggiori città italiane. Un dato che, come sottolinea lo studio, mostra le “forti differenze sul territorio, e che per questo è necessario approfondire a livello subcomunale, scuola per scuola”.

Evidenze statistiche e metodologie di analisi che, in un momento delicato come quello in cui ci troviamo, possono aiutare a indicare la rotta che potrà portare la nostra società fuori dalle secche in cui sembra irrimediabilmente incastrata.

Giovanni Gazzoli, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

9/2/2021

 
 

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