Riforma fiscale: chi (e quanto) paga davvero l'IRPEF in Italia?

Mentre in attesa della manovra finanziaria si continua a discutere di scaglioni IRPEF e taglio del cuneo fiscale, vale la pena guardare ai dati di dettaglio per valutare e capire chi effettivamente sostiene il pagamento dell’imposta sui redditi delle persone fisiche nel nostro Paese

Mara Guarino

In occasione del Consiglio dei Ministri dello scorso 3 dicembre, il governo è nuovamente intervenuto in materia di “riforma fiscale” approvando in esame definitivo un decreto legislativo che, in attuazione della legge 111/2023, introduce una complessiva revisione del regime impositivo dei redditi (IRPEF e IRES), portando a compimento nelle intenzioni dell’esecutivo «I’impegno preso con i cittadini per una riforma strutturale in linea con le esigenze del Paese e delle imprese». Come ricordato dal Viceministro dell’Economia e delle Finanze Maurizio Leo in una nota diffusa al termine dell’incontro, «questo è il quattordicesimo decreto legislativo approvato in via definitiva a cui si aggiungono i tre testi unici già pubblicati in Gazzetta Ufficiale», allo scopo di dotare l’Italia di un fisco più moderno ed efficiente. 

Nel dettaglio, per i redditi da lavoro autonomo, il decreto prevede «una sostanziale semplificazione del sistema, avvicinandola a quella del reddito d'impresa. Inoltre, viene introdotta la possibilità per gli studi professionali di aggregarsi in regime di neutralità fiscale».  Intervento cui si aggiunge quello relativo ai redditi agrari, per i quali «vengono introdotte regole che valorizzano le colture innovative, come le vertical farm e le colture idroponiche». Sempre con l’idea di modernizzare il Paese anche sotto il profilo fiscale, Leo aggiunge poi che «anche il reddito d'impresa viene rivisto. Si riduce il doppio binario civile-fiscale e si rivoluziona il sistema di riporto delle perdite infragruppo, allineandolo agli standard europei. Viene inoltre disciplinata la scissione per scorporo e riviste le operazioni di conferimento e liquidazione». Previsti anche interventi sulle aliquote delle società di comodo, con particolare attenzione alla determinazione del reddito per quelle immobiliari e da partecipazione e, per quanto riguarda le imprese armatoriali, la proroga della cosiddetta tonnage tax. 

La revisione del regime impositivo non è dunque che uno step di un percorso lungo, complesso e non privo di e scontri tra maggioranza, opposizione e parti sociali su diversi temi caldi tra i quali spiccano, oltre al concordato preventivo biennale (i cui termini sono stati in effetti riaperti dal Decreto Fisco approvato lo scorso 5 dicembre alla Camera dei Deputati), le modifiche alle spese detraibili ai fini IRPEF e i provvedimenti finalizzati alla riduzione del cuneo fiscale previsti dalla Legge di Bilancio. 

Confermate le aliquote fissate dalla scorsa manovra finanziaria (al 23% fino a 28mila euro di reddito, al 35% tra i 38mila e i 50mila e al 43% sopra i 50mila euro), si attendono invece novità per le spese detraibili che, con salvo qualche eccezione, vengono ri-calcolate per i redditi al di sopra dei 70mila euro in base a due diversi indicatori: un valore fisso predeterminato sulla base del reddito complessivo dichiarato e un coefficiente parametrato alla situazione familiare del contribuente. In attesa di capire cosa accadrà in sede di approvazione parlamentare della manovra, il maggior gettito per lo Stato viene inizialmente stimato dall’Ufficio Parlamentare di bilancio in circa 230 milioni di euro. Per quanto concerne invece il cuneo fiscale, due le misure sul tavolo: un bonus per i contribuenti con reddito da lavoro dipendente non superiore ai 20mila euro, che dovrebbe andare ad affiancare il cosiddetto TIR (l’ex bonus Renzi) e un aumento di 1.000 euro della detrazione da lavoro dipendente per i redditi compresi tra i 20 e i 32mila euro. L’aumento si estende in realtà anche ai redditi compresi che superano i 32mila euro, salvo ridursi progressivamente – fino all’azzeramento – arrivati ai 40mila. Con un ulteriore possibile paradosso evidenziato sempre dall’UPB: per alcune fasce reddituali,  e in particolare per i redditi compresi tra i 32mila e i 40mila euro l’anno, il combinato disposto di tutti questi provvedimenti potrebbe portare a un incremento dell’aliquota marginale effettiva poco vantaggioso e di fatto persino contrario alle intenzioni di “alleggerimento” dell’esecutivo. 

 

La fotografia attuale: chi paga l’IRPEF in Italia

Per farsi però un’idea concreta non solo del possibile impatto di manovra e riforma fiscale, ma anche e soprattutto di quanto gravi davvero l’IRPEF sulle tasche dei contribuenti, vale però la pena partire dall’oggi e guardare dunque ai dati dell’Osservatorio Itinerari Previdenziali sulle ultime dichiarazioni dei redditi presentate dagli italiani.

Considerando anche i 19,89 miliardi di redditi relativi agli affitti immobiliari soggetti a cedolare secca, il totale dei redditi prodotti nel 2022 e dichiarati ai fini IRPEF tramite i modelli 770, Unico e 730 ammonta a 970 miliardi di euro, con una crescita del 6,3% inferiore a quella del PIL nominale (+7,7%). Al netto delle detrazioni e del TIR (4,6 miliardi), il gettito IRPEF relativo ai redditi 2022 è stato quindi pari a 189,31 miliardi, di cui: 169,59 miliardi, pari all’89,59% del totale, di IRPEF ordinaria; 13,90 per le addizionali regionali (il 7,34% del totale) e 3,07 miliardi per le addizionali comunali. 

Nel dettaglio, su una popolazione di poco più di 59 milioni di abitanti hanno presentato una dichiarazione 42.026.960 (+529.642 rispetto all’anno precedente) di contribuenti, numero addirittura superiore a quello record del 2008: a ogni contribuente corrispondono 1,405 abitanti (erano 1,427 nel 2021). Malgrado la buona crescita del PIL e dei principali indicatori occupazionali stabili invece i dichiaranti che denunciano un reddito nullo o negativo: si tratta del 2,39%, per un totale di 1.006.340 soggetti; 8.324.560, invece i contribuenti (il 19,81%) che dichiarano redditi tra 0 e 7.500 euro. Complessivamente, i versanti – cioè coloro che, oltre a presentare la dichiarazione, versano almeno 1 euro di IRPEF – sono quindi 32.373.363. Il che sostanzialmente significa – come rimarca la pubblicazione - che il 45,16% degli italiani non ha redditi e vive di conseguenza a carico di qualcuno: una situazione che dovrebbe quantomeno far riflettere chi è alla guida di un Paese del G7. Tanto più che diverse evidenze confermano come in Italia siano ancora ben radicati fenomeni di sotto-dichiarazione e lavoro sommerso.

Nel dettaglio, la scomposizione per fasce di reddito realizzata dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali rivela che da 0 fino a 7.500 euro lordi si collocano 8.324.560 soggetti, il 19,81% del totale, che pagano in media 23 euro di IRPEF l’anno (16 la media per cittadino). I contribuenti che dichiarano redditi tra i 7.500 e i 15mila euro lordi l’anno sono invece 7.626.579, il 18,15%; al netto del TIR, l’IRPEF media annua pagata è di 294 euro e si riduce a 209 euro per abitante.  Come evidenziato anche in tabella, tra 15mila e 20mila euro di reddito lordo dichiarato si collocano 5,398 milioni di contribuenti, il 12,84% del totale, con un’imposta media annua di 1.761 euro, che si riduce a 1.254 euro per singolo abitante; seguono da 20.001 a 29.000 euro 9.501.722 contribuenti versanti (il 22,61%), che pagano un’imposta media annua di 3.612  euro, 2.571 euro per singolo abitante. Se si sommano tutte le fasce di reddito fino a 29mila euro, si evidenzia appunto che il 75,80% dei contribuenti italiani versa soltanto il 24,43% di tutta l’IRPEF, e probabilmente, una percentuale ancora minore di altre imposte.

Tabella 1 – IRPEF 2022 (ordinaria + addizionali) di tutti i contribuenti persone fisiche per scaglioni di reddito, al netto del TIRTabella 1 – IRPEF 2022 (ordinaria + addizionali) di tutti i contribuenti persone fisiche per scaglioni di reddito, al netto del TIR

Fonte: Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate 2024, Itinerari Previdenziali

A salire, la scomposizione mostra invece quei poco più di 6 milioni di versanti con redditi superiori ai 35mila euro che, nella sostanza, garantiscono la tenuta del sistema di protezione sociale. Più precisamente, sopra i 300mila euro di reddito dichiarato si colloca lo 0,14% dei contribuenti, 57.620 soggetti che versano il 7,69% dell’imposta complessiva; tra 200 e 300mila euro lo 0,19% dei contribuenti che pagano il 3,76% dell’IRPEF. Sopra i 100mila euro, il documento individua l’1,23%  dei contribuenti che, tuttavia, versa il 12,14% delle imposte. Sommando a questi versanti anche i titolari di redditi lordi da 55mila a 100mila euro (che sono 1.635.728 e pagano il 18,11% del totale), si ottiene che il 5,45% paga il 41,69% dell’IRPEF. Includendo anche i redditi dai 35mila ai 55mila euro lordi, 4.125.640 soggetti rappresentativi del 9,82% dei contribuenti versanti, si ottiene quindi che il 15,26% paga il 63,39% dell’imposta sui redditi delle persone fisiche.  Per arrivare infine al 24,20% che paga il 75,57% se si tiene conto anche dei 3.754.371 contribuenti che dichiarano redditi dai 29mila ai 35mila. 

Guardando al quadro complessivo, dunque, il 2022 (ultimo anno di rilevazione disponibile) evidenzia una diminuzione del numero di contribuenti per tutte le fasce di reddito fino a 20mila euro, che passano da 23,133 a 22,356 milioni, rispettivamente il 55,74% e il 53,19%; l’IRPEF da loro versata scende quindi da 12,83 a 11,94 miliardi, pari al 6,31% dell’imposta complessiva. Aumentano invece i contribuenti/versanti della fascia intermedia dei redditi, quella da 20 a 29mila, che pur versando 2 miliardi in più, riducono la percentuale di versamento sul totale al 18,15%. Crescono infine come numero di contribuenti tutti gli scaglioni di reddito dai 29mila euro in su (dal 22,15% al 24,2%): il carico fiscale cresce dal 74,26% al 75,57%. 

Dati che, di pari passo con il miglioramento anche dei principali indicatori economici e occupazionali, sembrerebbero anche positivi nella misura in cui, per il secondo anno consecutivo, diminuiscono i cittadini con redditi bassi, mentre aumentano quelli con redditi medio-alti. Il problema, ed è questo forse il punto su cui dovrebbe concentrarsi una seria riforma del nostro sistema fiscale, è che resta ancora molto esigua la quota di contribuenti che effettivamente sostiene il Paese con tasse e contributi, e di contro troppo alta quella di cittadini totalmente o parzialmente a carico della collettività. Insomma, una differenza tra le classi troppo marcata per risultare sostenibile (e credibile) e, in assenza di prove dei mezzi e controlli adeguati, verosimilmente incentivata dall’elargizione di risorse a piè di lista nei confronti delle fasce di reddito più deboli. Il fatto poi che, all’aumentare del reddito diminuiscano fino a sparire del tutto deduzioni, bonus e detrazioni, non può che concorrere ulteriormente a incentivare gli italiani a non dichiarare quanto davvero percepiscono per poter così beneficiare di prestazioni sociali o altre agevolazioni da parte di Stato, Regioni e comuni. 

Mara Guarino, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

 9/12/2024 

 
 

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