Alla ricerca della stabilità perduta
Le politiche dinvestimento attuate dagli investitori istituzionali si trovano oggi strette in una morsa contraddittoria: devono garantire una solidità di lungo periodo, ma attraversano e subiscono dinamiche che cambiano in modo repentino, fornendo instabilità. Lorigine di questa fluidità è però a monte, nelle crisi geopolitiche che influenzano landamento dei mercati...
È ormai abbastanza assodato che al giorno doggi sia difficile coniugare lanalisi macroeconomica e geopolitica con un respiro di lungo periodo. Ciò è dovuto a molti fattori, che variano da scenario a scenario, ma che generano un unico risultato: una costante e diffusa instabilità.
Instabilità che si può coniugare in diversi ambiti: tra questi, spicca quello dei mercati finanziari, che rispecchiando il sentore generale degli investitori, sempre più offrono il polso delleconomia mondiale. Tuttavia, ciò che ne caratterizza in modo sempre più marcato lazione è la repentina risposta agli eventi che li circondano, a volte anche esagerandone la portata.
Dunque, la combinazione di scenari in mutamento e di mercati schizofrenici nellesserne influenzati, genera un contesto assai arduo per coloro che devono pianificare investimenti a lungo periodo: chi, tra questi, sono più chiamati in causa degli investitori istituzionali, che per natura hanno come stella polare delle proprie politiche dinvestimento la solidità?
La grande sfida per questi attori, in sostanza, è quella di identificare gli investimenti meno rischiosi e instabili, e per fare ciò è certamente cruciale conoscere quali sono i principali driver geopolitici che determinano landamento dei mercati finanziari. Se pare eccessivo, infatti, chiamare in causa il conosci il tuo nemico di Sun Tzu, è altrettanto vero che avere contezza delle crisi che ci circondano è uno strumento decisivo per orientarsi in mari tanto tempestosi.
Il punto di partenza è senza dubbio la Presidenza di Donald Trump, che ha dato una svolta netta alla politica economica ed internazionale degli Stati Uniti. Le sue misure hanno generato un lungo periodo positivo per leconomia statunitense, arrivando a toccare il tasso minimo di disoccupazione dal 1969; tuttavia, lobiettivo di riequilibrare la bilancia commerciale con lestero, che è in negativo per ben 687 miliardi di dollari (dati 2017), ha innescato una lunga guerra commerciale con la Cina, che da una parte ha contribuito a rallentare la crescita delleconomia globale, e dallaltro rischia di influenzare negativamente la stessa crescita americana, come recentemente ribadito da Goldman Sachs. Inoltre, il Make America Great Again sta influenzando anche il processo della Brexit: è evidente come lavvento di Boris Johnson si sposi perfettamente con lambizione di Trump di giocare un ruolo attivo nella definizione (o meno) del deal UK-EU, in vista di una restaurazione della special relationship che ha sempre caratterizzato il mondo anglosassone.
Proprio la guerra commerciale con la Cina generata dalla politica economica americana è la seconda grande crisi internazionale. In particolare, tale tensione influenza decisamente i mercati europei soprattutto per i gravi effetti che sta generando sulleconomia tedesca: questa, storicamente molto legata al manufatturiero e di conseguenza allexport, in particolare del settore dellautomobile, nel 2019 sta pericolosamente oscillando sul crinale della recessione. Le vendite sono diminuite dell1,3% - ossia il minimo negli ultimi 6 anni. Peraltro, lo stesso Trump ha minacciato severi dazi sulle stesse merci europee, misura che indebolirebbe ulteriormente la crescita di Bruxelles e dintorni. A ciò, ovviamente, è legata anche la politica monetaria della BCE, che si appresta a salutare Mario Draghi, la cui azione espansiva è stata decisiva per sostenere leconomia europea durante la crisi, e ad accogliere lex Presidente del FMI Christine Lagarde, che sembra essere in continuità con lex Presidente della Banca dItalia.
La Cina, comunque, non influenza i mercati internazionali solo indirettamente tramite la guerra commerciale con gli Stati Uniti: le sue ambizioni globali, ormai acclarate dal progetto One Belt One Road, sono accompagnate da una forte crescita dellurbanizzazione e di conseguenza da maggiori necessità energetiche. Per questo lo sviluppo cinese influenza soprattutto i prezzi delle materie prime (si pensi alloro bianco, ossia il litio, metallo cruciale per il settore tecnologico), rendendoli estremamente volatili. Inoltre, lenorme ampliamento della classe media genera un aumento dei consumi in molti ambiti.
Il grande sviluppo economico ed energetico della Cina, nonché di molti altri paesi emergenti, richiama en passantun altro fattore cruciale per gli investitori, ossia quello ambientale. È aumentata esponenzialmente negli anni lattenzione ai criteri ESG, aventi lobiettivo di definire i comportamenti di diversi soggetti (principalmente aziende) anche in relazione al rispetto dellambiente. Dopo la grande spinta generata dallaccordo di Parigi, cè stato un rallentamento dato dal ritiro degli USA, ma a livello mediatico la sensibilità aumenta costantemente. Come emerge dallindagine effettuata dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali in merito alle politiche dinvestimento sostenibili, tale risalto nellopinione pubblica sembra avere un seguito anche nellazione pratica, se è vero che l80% degli investitori istituzionali intende intraprenderle o aumentarle.
Ultime, ma non per importanza, una serie di crisi regionali che ciascuna a suo modo influenzano fortemente landamento dei mercati: si pensi alla questione nucleare iraniana, che blocca una delle economie più grosse di tutta lAsia (e con cui lEuropa, lItalia in particolare, ha sempre avuto stretti rapporti commerciali), alla crisi del Golfo Persico, che genera oscillazioni sul prezzo del barile di petrolio, uno dei beni che stanno in cima alla piramide dei mercati, passando per il Venezuela (anchesso cruciale nel mercato del petrolio), lArtico (lo scioglimento dei ghiacci apre nuove rotte commerciali e nuovi accessi a vaste risorse di materie prime) o la Russia (le sanzioni mettono in difficoltà una delle principali economie mondiali).
Insomma, gli antichi romani direbbero mala tempora currunt, e la verità di tale osservazione è evidente. La speranza per gli investitori istituzionali è che non si riveli altrettanto fondato il seguito del famoso detto popolare, ossia sed peiora parantur. Le premesse, tuttavia, non sono esattamente rassicuranti, perciò la delicatezza delle scelte dinvestimento si manifesta ancor più nella sua chiarezza: trovare soluzione solide per soddisfare promesse liquide è oggi più importante che mai.
Giovanni Gazzoli, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
12/9/2019