Banche Centrali e la corsa all'oro: una tendenza in crescita globale

La recente indagine del World Gold Council rivela un consenso quasi unanime tra le principali Banche Centrali mondiali: l'oro è destinato a crescere come asset di riserva strategico, mentre il dollaro continua a perdere peso, proseguendo un trend iniziato nel 2008 

Federica Cirone

A giugno 2025, il World Gold Council ha pubblicato la sua consueta indagine annuale sulle riserve auree delle principali Banche Centrali mondiali, coinvolgendo 73 istituti (di cui 16 appartenenti ai Paesi sviluppati e 57 a quelli emergenti). I risultati sono inequivocabili: la fiducia nell’oro non è mai stata così alta. Secondo il report, il 95% delle Banche Centrali intervistate prevede un aumento delle riserve auree globali nei prossimi dodici mesi, e il 43% afferma che aumenterà le proprie scorte. Inoltre, nessuna Banca centrale ha dichiarato l’intenzione di vendere il proprio oro nel corso del prossimo anno. Si tratta di un consenso quasi unanime e senza precedenti, che conferma una tendenza avviata con decisione nel 2022 e che oggi appare sempre più strutturale. Basti pensare che nel 2019 – prima della pandemia e dell’escalation geopolitica – solo il 54% prevedeva un aumento delle scorte globali, e appena l’8% pianificava di rafforzare le proprie riserve.

L’oro sta quindi consolidando ulteriormente il suo ruolo di bene rifugio in risposta alla crescente sfiducia nei confronti delle valute tradizionali, in particolare del dollaro statunitense. Pur rimanendo la valuta di riferimento a livello globale, il dollaro mostra segnali di declino: il 73% delle Banche Centrali intervistate prevede una riduzione della sua quota nelle riserve mondiali entro i prossimi cinque anni, e tra queste, il 28% si attende un calo significativo degli asset denominati in dollari. Questo trend era già visibile negli ultimi 15 anni: nel 2008 il dollaro rappresentava il 64% delle riserve valutarie mondiali, mentre oggi è sceso al 58%. Anche l’euro ha perso terreno: dal 26,5% è sceso al 19,8% nello stesso periodo. Al contrario, lo yen e lo yuan cinese hanno ampliato la loro quota, che è passata dal 3,3% del 2008 all’8% a fine 2024, secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, con prospettive di ulteriore crescita nei prossimi anni.

 

Quali motivazioni hanno spinto le Banche Centrali mondiali ad aumentare le proprie riserve d’oro?

La principale motivazione riguarda la diversificazione valutaria: l’81,4% delle Banche Centrali considera l’oro uno strumento strategico per ridurre la dipendenza dalle valute tradizionali, in particolare dal dollaro statunitense, che da inizio anno ha perso oltre l’11% rispetto al paniere delle principali valute mondiali preso in considerazione dal Dollar Index.

La seconda motivazione addotta dagli istituti centrali (79,7% degli intervistati) riguarda la sua collaudata capacità di protezione dall'inflazione, particolarmente preziosa in uno scenario dove i tassi di inflazione core restano ancora significativamente sopra i target istituzionali: l'Eurozona segna nell’ultima rilevazione +2,3%, gli Stati Uniti +2,8%, il Regno Unito +3,5% e il Giappone +3,7%, valori che, seppur ridimensionati rispetto ai picchi del 2022-2023, continuano a giustificare la domanda di coperture reali.

La funzione di scudo geopolitico rappresenta la terza motivazione alla base della domanda istituzionale di oro, indicata dal 71,2% delle Banche Centrali. Questo ruolo è diventato particolarmente rilevante a seguito del fallimento dei negoziati di pace tra Russia e Ucraina e dell’aggravarsi delle tensioni in Medio Oriente. L’ultima motivazione riguarda le caratteristiche intrinseche dell’oro: la totale assenza di rischio di default (scelta dal 71,2% degli intervistati), combinata alla sua elevata liquidità (52,5%) e l'immunità da rischi politici diretti (49,2%), lo rendono una soluzione efficace per preservare il valore nei portafogli istituzionali. Questo triplice vantaggio spiega perché l'oro mantenga una posizione privilegiata nelle riserve globali, fungendo da stabilizzatore sistemico in un'epoca di transizione monetaria e turbolenze geopolitiche. 

 

Da cosa è stata trainata la performance nel corso del 2025?

Dall’inizio del 2022, l’oro ha messo a segno una performance straordinaria. Prima dello scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina quotava 1.796 dollari l’oncia; a fine 2024 aveva già raggiunto i 2.653 dollari, con un rialzo del 48%. Il primo semestre del 2025 ha confermato questo trend con un ulteriore incremento del 28% che ha spinto le quotazioni dell’oro verso nuovi massimi in area 3.400 dollari l’oncia.

La motivazione principale è l’approccio coerente con quanto dichiarato nella survey da parte delle principali Banche Centrali: nel primo trimestre del 2025 sono state accumulate 244 tonnellate di oro, un volume nettamente superiore alle media degli ultimi 10 anni (165 tonnellate per trimestre). Tra le principali Banche Centrali acquirenti spiccano la Polonia, con 49 tonnellate, seguita da Cina (13 tonnellate), Kazakistan (6 tonnellate) e India (3 tonnellate). La seconda ragione è data dalla domanda di oro da investimento che ha raggiunto livelli record nel primo trimestre del 2025,toccando i massimi dell’ultimo triennio. Questo boom è stato trainato principalmente dai flussi record verso gli ETF,pari a +226 tonnellate, il livello più elevato dallo scoppio della guerra russo-ucraina del 2022. A guidare questa dinamica è stata la crescente ricerca di beni rifugio da parte degli investitori, alimentata dalle tensioni commerciali legate ai dazi statunitensi e, in particolare, dall’escalation militare in Medio Oriente.

In conclusione, mentre il dollaro perde progressivamente influenza, l’oro consolida il suo ruolo centrale nel sistema finanziario globale, rappresentando un rifugio sicuro in un'epoca di incertezze economiche e instabilità geopolitica.

Francesco Scinetti, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

3/7/2025

 
 
 

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