Come navigare in uno scenario inflattivo e dove trovare opportunità di investimento

Mentre prosegue il rialzo dei tassi per contrastare la spinta inflattiva, discesa dei prezzi energetici e riapertura della Cina giocano a favore della crescita economica: un contesto nel quale gli investitori istituzionali sono chiamati a guardare oltre l'asset class, considerando innanzitutto variabili come protezione, prezzo, profittabilità e prudenza 

a cura di Pictet Asset Management

In questo inizio di 2023 abbiamo visto diversi fattori giocare a favore della crescita. In Europa, la forte discesa dei prezzi del gas e dell’elettricità sui mercati all’ingrosso e il clima relativamente mite per la stagione hanno permesso di risparmiare sulla domanda, scongiurando così le ipotesi pessimistiche dello scorso autunno. Inoltre, la riapertura della Cina agevolerà gli spostamenti dei cittadini, incrementando il livello di consumi di beni e servizi (come hotel, ristoranti e turismo); attualmente, i consumi privati in Cina sono all’incirca il 20% in meno rispetto al periodo pre-COVID. Nel 2022 abbiamo visto la Cina crescere di circa 3 punti percentuali, mentre per quest’anno, secondo le previsioni dei nostri economisti, la crescita dovrebbe rimbalzare al 5%. L’economia cinese e quella dei mercati emergenti dell’area asiatica saranno i principali beneficiari di questo nuovo corso politico in Cina, sebbene il ritorno di tensioni geopolitiche nei rapporti con gli USA stia togliendo smalto agli indici domestici, come evidenziato dalle ultime sessioni. Dall’altra parte la riapertura cinese andrà anche a beneficio dell’Europa, in quanto area economica fortemente orientata all’export.

 

Lo scenario attuale e la sfida delle Banche Centrali

In questo contesto, le Banche Centrali in USA ed Europa stanno portando avanti il ciclo di rialzo dei tassi, attenuando però i toni aggressivi grazie anche al miglioramento nelle diverse dinamiche dell’inflazione, soprattutto nei settori food ed energy che rappresentano due componenti molto importanti.

Al momento, negli USA il mercato del lavoro si mantiene solidissimo: oltre 500.000 posti di lavoro creati a gennaio e un tasso di disoccupazione al 3,4 % (ai minimi dal 1969), due fattori che non si conciliano bene con la necessità di mantenere le pressioni salariali sotto controllo. La stagione degli utili appare contrastata, dove nel complesso le aziende stanno mantenendo una marginalità accettabile anche grazie a decisioni rapide di taglio dei costi del personale, come osservato in diverse aziende del settore IT negli USA. Tuttavia, gli obiettivi preannunciati per il resto dell’anno dipenderanno dallo stato di salute complessivo del consumatore americano e dell’economia nel suo complesso.

Il panorama attuale delle valutazioni azionarie e, in particolar modo, dei premi di rischio è coerente con un rallentamento dell’attività economica ma non con uno scenario recessivo che implicherebbe una discesa dei prezzi di almeno 15-20 punti percentuali. L’aspetto positivo è legato all’ancora scarso posizionamento degli investitori che potrebbe prolungare l’attuale intonazione positiva dei mercati finanziari. Inoltre, gli indicatori sulla fiducia dei consumatori e delle imprese registrano un miglioramento relativo, soprattutto in Europa, ascrivibile principalmente alla caduta dei prezzi dell’energia. Per questi motivi, riteniamo ottimistiche le attese rispetto ai tagli dei tassi (sotto il 4%) a partire dalla seconda metà del 2023.

 

Trend storici e correlazione tra inflazione, tassi di interesse e rendimenti

Così come il trend dell'inflazione, anche il rapporto tra i tassi di interesse a 10 anni e i rendimenti azionari sono cambiati nel tempo. In particolare, abbiamo assistito a un drastico cambio di regime nel 2001: il rapporto tra rendimenti azionari e tassi di interesse è stato negativo dal 1986 al 2001, per poi diventare e mantenersi prevalentemente positivi. Due le ragioni che meglio riescono a dar conto di una simile inversione di tendenza.

Anzitutto, questi due regimi hanno avuto luogo sotto diversi livelli di tassi di interesse. Dal 1986 al 2001, il tasso di interesse è stato tendenzialmente superiore al 5%, mentre dopo il 2001 il tasso di interesse si è attestato al 5%. Il livello dei tassi sembra quindi svolgere un ruolo importante: quando questo aumenta in un contesto di tassi elevati, si ha un impatto negativo sulle scorte, in quanto l'inflazione risulta persistente nonostante gli alti tassi di interesse, mentre le obbligazioni diventano più interessanti in termini di rendimenti. Quando, al contrario, il tasso di interesse aumenta in un contesto di bassi tassi, ciò identifica in generale due possibili situazioni: nel primo caso, l'inflazione è il risultato di un PIL elevato, che riflette un aumento della crescita economica; nel secondo, invece, l'inflazione è dovuta a un tasso di interesse considerato ancora molto basso e che spinge gli investitori a uscire dal mercato obbligazionario, mentre le azioni sono valutate come asset class attraente per battere l'inflazione.

Dal 2001 siamo rimasti in un regime di tassi in aumento, principalmente a causa dei forti dati del PIL. Tuttavia, a seguito degli choc economici post-COVID, la fonte dell'attuale pressione inflattiva non è più correlata a un PIL elevato, ma alla carenza delle materie prime e relative turbolenze del mercato. In un simile contesto, il basso livello dei tassi di interesse ci spingerebbe a ritenere le azioni una buona asset class su cui investire per battere l'inflazione. Per sovraperformare i mercati, tendiamo infatti a pensare in termini di asset allocation, soprattutto settoriale. E poiché ci aspettiamo che la crescita economica diminuisca, come risaputo, nelle fasi di recessione i titoli difensivi sovraperformano. Tuttavia, le azioni difensive sono anche correlate negativamente ai tassi di interesse e attualmente ci troviamo in un regime di tassi in rialzo.


Come navigare lo scenario inflattivo nei portafogli istituzionali

Nel contesto attuale, riteniamo fondamentale per gli investitori istituzionali guardare oltre l'asset class, prendendo in attenta considerazione, in particolare, quattro variabili: protezione, prezzo, profittabilità e prudenza. Quando investiamo facendoci guidare da queste “4P”, siamo in grado di selezionare azioni che hanno la forza di battere allo stesso tempo la decrescita economica e l'aumento dei tassi d'interesse, diversamente rispetto a quanto si potrebbe ottenere da una semplice allocazione settoriale.

In particolare, attraverso l'investimento in protezione, è possibile selezionare titoli a bassa volatilità e bassa correlazione con il mercato; una scommessa perfetta in una fase di bassa crescita economica. Infatti, come visto, l'andamento del mercato è positivamente correlato alla crescita economica. Durante la riduzione di quest’ultima, i mercati azionari tendono a scendere e le azioni storicamente poco correlate ai mercati sovraperformano, compensando la perdita proveniente da altri titoli. In particolare, le società ad alta redditività sono quelle la cui valutazione è generata principalmente dalle attività correnti e dal patrimonio netto, e non dagli utili di crescita attesi. Per questo motivo, un eventuale calo della crescita economica non inciderebbe particolarmente sulla valutazione di queste società.

Inoltre, tramite la componente di prezzo, è possibile selezionare azioni value, mentre il fattore prudenza protegge il portafoglio da azioni growth con una bassa crescita delle vendite. Le azioni value, infatti, sono una copertura perfetta contro l'aumento dei tassi di interesse, in quanto soffrono meno delle azioni growth, per via dell'effetto di attualizzazione dell'aumento dei tassi di interesse. Inoltre, durante i periodi di inflazione, le aziende value hanno guadagni e margini reali per migliorare. Al contrario, i titoli growth sono caratterizzati dagli utili attesi, beneficiando quindi meno di aumenti dei prezzi.

 

Come si colloca la componente ESG nei portafogli istituzionali?

Secondo Morningstar, nell’ultimo trimestre del 2022, l'Europa - il più grande mercato per i fondi sostenibili - ha registrato un aumento dell'88% degli afflussi, dopo tre trimestri di calo. Gli investitori istituzionali europei, infatti, hanno investito 40 miliardi di dollari in prodotti sostenibili nel quarto trimestre, nonostante le difficili condizioni del mercato finanziario. L’Europa continua quindi a porsi come guida ed esempio nel panorama della sostenibilità, detenendo a oggi l'83% delle attività globali dei fondi sostenibili.

Quello europeo rappresenta, inoltre, il mercato ESG più sviluppato e diversificato, seguito dagli Stati Uniti con l'11% delle attività globali dei fondi sostenibili a dicembre 2022. Segue poi l’Asia, Giappone escluso, in cui la Cina si configura come il più grande mercato sostenibile della regione, con oltre il 68% di base patrimoniale, collocandosi al terzo posto su scala globale in termini di dimensione del mercato dei fondi sostenibili. La spinta ESG è quindi ancora forte e la combinazione del “fattore sostenibilità”, insieme alle strategie sopra presentate, riteniamo possa rivelarsi una ricetta vincente per gli investitori istituzionali nella ricerca di rendimenti in una fase di incertezza quale quella attuale.

Marco Ghilotti, Senior Manager Institutional Clients Pictet Asset Management​
Gabriele Susinno, Senior Client Portfolio Manager QUEST Global Equities Pictet Asset Management

28/3/2023

 
 
 

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