ESG, nonostante tutto… keep pushing!

Dopo anni di boom, nei quali si è addirittura temuto l'effetto "moda", gli investimenti ESG hanno vissuto la loro prima vera fase di crisi. Diverse le ragioni, tra cui spicca certo l'insediamento di Trump alla Casa Bianca, alla base di un rallentamento che, soprattutto in Europa, può in realtà diventare l'occasione per un rilancio e per una ritrovata consapevolezza

Gianmaria Fragassi

Gli investimenti ESG – che, per memoria e per essere precisi e corretti, non sono esclusivamente focalizzati sui temi della sostenibilità ambientale o green ma sono altrettanto importanti per le tematiche sociali e di governance – hanno vissuto e stanno vivendo in questi tempi la più grandi crisi dalla loro nascita. Nascita che, sempre per memoria e completezza di informazione, possiamo datare tra il 2005 e il 2006 quando vennero introdotti i  Principi per l'Investimento Responsabile da parte dell’ONU. Ecco perché, si può appunto affermare che a vent’anni dalla loro nascita, dopo aver vissuto tendenzialmente curve e trend crescenti per masse, prodotti, fama e rendimenti, si trovino di fronte alla prima vera grande crisi di sistema. 

Crisi della quale il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali aveva già individuato i primi segnali nell’edizione 2024 del Quaderno di Approfondimento “ESG e SRI, le politiche di investimento sostenibile degli investitori istituzionali italiani”, citando in particolare il raffreddamento delle linee guida in materia di sostenibilità degli USA, all’epoca ancora sotto l’amministrazione democratica (tendenzialmente più sensibile alle questioni ambientali di quella repubblicana, anche al netto del fattore Trump), con scelte sempre più focalizzate sulla ricerca del rendimento, in nome ad esempio del sostegno dell’industria statunitense, come produttori di armi e combustibili, e sempre meno attente invece ai principi sostenibili. Pioniere fu lo Stato del New Hampshire che, seguendo le orme di quanto già fatto dal Texas, aveva avanzato una proposta di legge che addirittura sembrava voler vietare ai fondi pensione di investire con i criteri della sostenibilità rimarcando come l’obiettivo di rendimento dovesse essere l’impegno primario da perseguire, nonché quello assunto nei confronti degli aderenti. 

Se questa pressione da parte degli esponenti repubblicani si leva a partire dalla fine del 2022 in Texas, più di recente, anche a seguito dell’insediamento di Donald Trump, la situazione è, se possibile, peggiorata. ClimateAction100+ e The Net-Zero Asset Managers Initiative, due delle più rilevanti organizzazioni a livello globale nel panorama dello sviluppo e promozione delle politiche ESG, hanno registrato fortissimi deflussi della base associativa, con defezioni anche da parte di alcuni degli asset manager più importanti al mondo. Addirittura, Net-Zero Asset Managers Initiative, lanciata nell’ottobre del 2020 con lo scopo di supportare l’industria del risparmio gestito verso il net zero dei propri portafogli, ha annunciato che sospenderà le proprie attività.

Come si diceva, salvo questa recente e importante battuta d’arresto, l’andamento degli investimenti ESG è stato costantemente positivo e crescente negli anni fin dal 2006: sono aumentate le masse, sono aumentati i prodotti, sono aumentati gli investitori in taluni prodotti ed è in generale sempre aumentata l’appetibilità dei prodotti ESG, che sono passati dall’essere disponibili sostanzialmente per i soli investitori istituzionali al diventare alla portata anche degli investitori retail, grazie anche all’ampia diffusione e disponibilità di dati sul tema. Nel corso degli anni, il numero dei prodotti e dei fondi sostenibili lanciati è sempre cresciuto fino al 2021/2022, quando questo trend ha iniziato a invertirsi e il numero di nuovi prodotti e fondi è calato. In Europa, nel 2023, sono stati lanciati 350 nuovi fondi sostenibili, in calo rispetto ai 616 del 2022 e ai 760 del 2021; per il 2024 ALFI ne stima 57.  

Ma quali sono i motivi di questo rallentamento? Le elezioni USA, con i repubblicani a favore del fossile e contro la sostenibilità, sembrano aver dato il colpo del KO ai fondi sostenibili. Basti ricordare il “drill, baby drill…” trumpiano durante il discorso di insediamento in risposta alle prospettive per le politiche energetiche americane. A questa causa, per così dire primaria ma anche relativamente più recente, se ne possono in realtà affiancare diverse “secondarie” nel confronto ma non per questo meno importanti e che partono forse ancora da più lontano: rendimenti che spesso non hanno soddisfatto gli investitori, soprattutto se paragonati con i rendimenti azionari di fondi tradizionali; la pratica del greenwashing, oggi proposta in una versione 2.0; il boom di riscatti e deflussi; le tensioni geopolitiche e i due conflitti aperti in Ucraina e Medio Oriente; tassi alti per decine di mesi consecutivi, un’inflazione non ancora sotto controllo.

C’è però un ulteriore problema, che nessuno cita, vale a dire la strategia di comunicazione che Trump adotta da quando è Presidente della nazione più potente del mondo. Dichiarazioni forti, strategie politiche inedite e minacce verbali, che grazie a un’eco mediatica mondiale, suscitano un effetto a catena sul resto del mondo, Europa compresa. Si pensi per un attimo al caso dei dazi sulle importazioni: basta la minaccia di un dazio per far impazzire industrie e Borse di mezzo mondo. Si può dire che la minaccia di un dazio sia essa stessa il dazio, e così accade anche per le tematiche ESG: bastano poche interviste e qualche conferenza stampa per infliggere un durissimo colpo ad anni di politiche e investimenti sostenibili, senza poi la controprova che le dichiarazioni corrispondano o meno al vero. Una potenza di fuoco mai vista che a volte spinge a dimenticare non solo che non è sempre tutto vero ciò che leggiamo ma anche e soprattutto che i dati andrebbero studiati e contestualizzati, tanto più che, per fortuna, Europa e USA sono separati da una distanza oceanica!

Cosa succede in UE? Da sempre leader degli investimenti ESG, anche per via di questa potentissima comunicazione targata USA, l’Europa ha vissuto – proprio come il resto del mondo - un periodo di raffreddamento, allentamento e ancora ripensamento ma, a differenza degli statunitensi e nonostante il Pacchetto Omnibus (con deregulation e politiche meno stringenti per le imprese), ha reagito continuando a perseguire l’impegno sulle politiche sociali di governance e sostenibili. Una crisi può fare bene, può pulire il mercato dai player meno virtuosi e lasciare lo spazio a chi ha davvero le carte in regola, e le spalle abbastanza larghe per giocare la partita.  

In conclusione, la sostenibilità deve semplicemente evolversi e diventare “sostenibile” a propria volta. La svolta in questo senso potrebbe dipendere dallo stato di salute dell’economia. Se si pensa agli investimenti ESG correlati con la fiducia nei mercati, allora si potrebbe assistere a un rimbalzo nell’interesse verso questi temi quando le condizioni finanziarie miglioreranno. La strada è tracciata, indietro non si torna, si tratta solo di attendere un miglioramento degli scenari e di rivedere al contempo la sostenibilità con un approccio più sostenibile in termini economici e sociali. Il mercato ESG mantiene infatti una straordinaria resistenza e continua a rappresentare una scelta consapevole per milioni di individui. Non si tratta allora che di attendere fiduciosi le prossime mosse dell’Unione Europea sul Green Deal… e la nascita di una nuova sostenibilità “sostenibile”!

Gianmaria Fragassi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

17/4/2025

 
 

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