ESG tra finanza, geopolitica e bene comune

Cambiamenti climatici, disastri naturali, scarsità idrica, migrazioni, conflitti: la finanza, additata da sempre come grande responsabile delle varie crisi mondiali, ha un’occasione per redimersi?

Giovanni Gazzoli

Nel discorso di fine anno rivolto alla Nazione, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha sottolineato come nell’esercizio del proprio mandato stia percependo «l’esigenza di sentirsi e di riconoscersi come una comunità di vita», dove «sentirsi “comunità” significa condividere valori, prospettive, diritti e doveri. [...] Significa responsabilità, perché ciascuno di noi è, in misura più o meno grande, protagonista del futuro del nostro Paese».

È curioso che anche Papa Francesco, nel primo Angelus del 2019, abbia insistito su un simile aspetto: «Non pensiamo che la politica sia riservata solo ai governanti: tutti siamo responsabili della vita della “città”, del bene comune».

Queste "provocazioni" introducono due questioni: il fatto che ciascuno possa avere un ruolo nella vita sociale; e la necessità che tale ruolo sia volto al bene comune. La sfida per ciascuno è trovare la modalità con cui declinare in questo senso il proprio mestiere/talento/impiego: ad esempio, non ci si aspetta che un banchiere si reinventi assistente sociale, ma che sfrutti la sua esperienza per fare un uso “etico” dei risparmi affidatigli.

Alla luce di ciò, acquista ancor più valore l’appello di poche settimane fa del Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari previdenziali Alberto Brambilla, che incitava alla necessità di trovare un nuovo modello di società, «una “terza via” [alternativa a comunismo-capitalismo] che sarà tanto più praticata quanto più la finanza e gli stakeholder saranno attenti ai problemi di “sostenibilità sociale degli investimenti”, ma anche quanto più i criteri etici (ESG) saranno alla base della maggior parte degli investimenti».

La “finanza etica”, come viene controversamente chiamato quel mondo che unisce sostenibilità e investimenti, ha infatti il merito di agire su due fronti: quello dei “soggetti”, ossia gli investitori che acquistano consapevolezza ed esercitano la decisione di non trascurare dinamiche sempre più urgenti; e quello degli “oggetti”, ossia i “beneficiari” degli investimenti, spronati a far sì che l’attenzione ai criteri ESG diventi sempre meno retorica e sempre più effettiva, con un beneficio per la loro società e per l’ambiente che la circonda.

Un esempio recente è dato dal green bond emesso il 30 novembre 2017 da Ferrovie dello Stato, che il mese scorso ha pubblicato il primo Green Bond Report che ne traccia un bilancio. Le “obbligazioni verdi”, appunto Green Bond, sono obbligazioni la cui emissione è legata a progetti che hanno un impatto positivo per l’ambiente, come l’efficienza energetica, la produzione di energia da fonti pulite, l’uso sostenibile dei terreni ecc. Ebbene, il green bond di FS è stato un successo sia per gli investitori, in particolare quelli istituzionali e soprattutto all’estero dove «è stato collocato circa il 60%, con una cedola allo 0,875%, la più bassa mai ottenuta da FS Italiane per un bond pubblico sul mercato dei capitali»; sia per l’azienda che, grazie alla prima e unica emissione green sul mercato fatta da un operatore ferroviario, ha «finanziato progetti con impatti positivi in termini di sostenibilità ambientale, nello specifico il rinnovo del materiale rotabile per il trasporto pubblico»

È chiaro che quanto più tali scelte d’investimento saranno diffuse, tanto più effettivi saranno i benefici. Al momento, in Italia, la grande maggioranza degli investimenti di questo tipo sono effettuati da investitori istituzionali, soprattutto compagnie assicurative e fondi pensione. Questo è anche dato da una bassa offerta di prodotti socialmente responsabili, che Morningstar quantifica in 400 fondi ed Etf, ossia meno del 6%; è da notare tuttavia che ben 114 sono stati lanciati negli ultimi tre anni, a dimostrazione di un settore in grande crescita.

In effetti, oltre alla fondamentale componente etica, è da rilevare che tali investimenti sono spesso più redditizi, come dimostra un inedito studio del Politecnico di Milano sul mercato europeo, e in particolare sui titoli dell’indice Stoxx Europe 600: si evidenzia infatti come, considerando il quinquennio 2012-2017, le imprese aventi un rating ESG più elevato abbiano «ottenuto rendimenti differenziali superiori, e che siano state più efficienti sia nell’aumentare i volumi di fatturato, sia nel miglioramento della marginalità operativa».

Insomma, investire in aziende attente ai criteri ESG è conveniente non solo da un punto di vista “etico” e sociale, ma anche prettamente economico. In virtù di ciò risulta meno utopistico l’ambizioso pacchetto di misure chiamato “Energia pulita per tutti gli europei” che la Commissione Europea ha presentato a fine 2016: un programma che richiede ulteriori 177 miliardi annui dal 2021 per raggiungere gli obiettivi individuati per il 2030 su clima ed energia.

È una partita, questa, nella quale l’Italia non può risparmiarsi, visto il peso che la green economy ha nella sua economia: stando ai dati del nono rapporto GreenItaly 2018, elaborato da Fondazione Symbola e Unioncamere, 345 mila imprese negli ultimi 5 anni vi hanno scommesso, ottenendo come risposta una maggiore competitività, un aumento dell’export e la possibilità di investire maggiormente in risorse umane. Del resto, nel nostro Paese sono 3 milioni i green jobs, vale a dire più di un decimo degli occupati in Italia; di questi, quasi mezzo milione attivati nell’ultimo anno.

Da parte sua, Borsa Italiana è molto attenta al tema, rientrando nell’iniziativa Sustainable Stock Exchange (SSEI) promossa dalle Nazioni Unite, che aggrega oltre 70 Borse a livello mondiale aventi l’obiettivo di promuovere la crescita dei mercati dei capitali sostenibili. Inoltre, si è classificata sesta nel rapporto sulla sostenibilità pubblicato dalla Sustainable Stock Exchange Initiative (SSE), programma lanciato nel 2009 dal Segretario Generale dell’ONU per favorire le performance di sostenibilità degli emittenti dei mercati finanziari: ha preceduto grandi borse come London Stock Exchange (14°), New York Stock Exchange (30°), Hong Kong Stock Exchange (32°) e Nasdaq (33°).

Giovanni Gazzoli

8/1/2019

 
 

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