Il "new normal" degli investitori istituzionali italiani

Andamento dell'inflazione, rialzo dei tassi di interesse e situazione geopolitica sono solo alcune delle variabili che determinano il "nuovo ordinario". Come gestire i patrimoni istituzionali in questo contesto e quali contromosse per recuperare il terreno perso nell'annus horribilis da poco concluso?

Michaela Camilleri

Durante il periodo pandemico l’espressione new normal è stata utilizzata per definire un nuovo stile di vita resiliente che si adattasse alla convivenza con un fenomeno straordinario divenuto ordinario. In realtà il new normal post-pandemico si è concluso nel breve termine, quando un altro avvenimento inaspettato, la guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina, ha sovvertito bruscamente abitudini e certezze. È sempre più difficile allora tracciare i contorni precisi di questo new normal, che per mesi è stato una terra promessa tanto desiderata quanto sconosciuta, e ora deve concretamente essere “abitata”.

Il mondo della finanza non sfugge a questa regola con la differenza che per i mercati finanziari il new normal non arriva con COVID-19 e la guerra ma comincia molti anni prima, dopo la grande crisi del 2008 che ha imposto un radicale ripensamento dei meccanismi di funzionamento e del ruolo nei confronti dell’economia e della società. Come gestire il patrimonio e gli investimenti in un contesto che potremmo definire di “crisi permanente”? E in cui l’andamento dell’inflazione, le strategie di politica monetaria e le vicende geopolitiche sono solo alcune delle variabili che determinano il nuovo ordinario?

Partendo dalla politica monetaria, da circa un anno le principali Banche Centrali hanno intrapreso un ciclo di inasprimento monetario che ha determinato la fine di un’era governata da tassi di interesse prossimi allo zero o addirittura negativi. Lo scorso febbraio la FED ha annunciato un aumento dei tassi d’interesse di 25 punti base al 4,50%-4,75%, il livello più alto dal 2007. Si tratta dell’ottavo rialzo dei tassi consecutivo: lo scorso dicembre, aveva alzato i tassi di 50 punti base; nelle quattro riunioni precedenti, tra giugno e novembre, li aveva sempre alzati di 75 punti base. Considerata la forza dell’economia USA, la Federal Reserve nella prossima riunione del 21-22 marzo è pronta ad aumentare il ritmo del rialzo dei tassi, portandoli a un livello finale più alto di quanto ipotizzato qualche settimana fa.

Seppur con un tempismo e un’aggressività diversa, anche la Banca Centrale Europea prosegue sulla strada dei rialzi. Nell’ultima riunione di febbraio la BCE ha deciso di innalzare di 50 punti base i tre tassi di interesse di riferimento. Pertanto, i tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la Banca Centrale saranno innalzati rispettivamente al 3,00%, al 3,25% e al 2,50%, con effetto dall’8 febbraio 2023. Alla luce delle spinte inflazionistiche di fondo, il Consiglio Direttivo ha già annunciato l’intenzione di innalzare i tassi di interesse di altri 50 punti base nella prossima riunione del 16 marzo, per poi valutare la successiva evoluzione della sua politica monetaria. 

La priorità di politica monetaria delle Banche Centrali è naturalmente fare in modo che l’inflazione ritorni al target del 2% in modo tempestivo. Secondo i dati Eurostat, nel 2022 l’indice armonizzato dei prezzi al consumo per i Paesi appartenenti all’Unione Europea è stato pari al 9,2%. In Italia, l’Istat per l’anno appena trascorso ha certificato un’inflazione media pari all’8,1% (+1,9% nel 2021 e -0,2% nel 2020), segnando l’aumento più ampio dal 1985 (quando fu +9,2%), principalmente a causa dall’andamento dei prezzi dei beni energetici (+50,9% in media d’anno nel 2022, a fronte del +14,1% del 2021). Al netto di questi beni, lo scorso anno, la crescita dei prezzi al consumo è pari a +4,1% (da +0,8% del 2021).

Figura 1 – L’andamento dell’inflazione in Italia dal 1955 al 2021

Figura 1 – L’andamento dell’inflazione in Italia dal 1955 al 2021

Fonte: elaborazioni su dati Istat

Guardando ai dati mensili, a febbraio, secondo le stime preliminari, si consolida la fase di rapido rallentamento dell’inflazione (scesa a +9,2% dal 10% del mese precedente) per effetto dell’attenuazione delle tensioni sui prezzi dei beni energetici.

Inflazione e volatilità del mercato energetico continueranno, dunque, a caratterizzare gli equilibri globali anche nel 2023, che dipendono inevitabilmente dagli sviluppi della guerra tra Russia e UcrainaCome ben riassunto dal Ce.S.I. - Centro Studi Internazionali nel Report “Ucraina Anno I”, dopo un anno di combattimenti, il dialogo politico tra Mosca, Kiev e l’Occidente è praticamente assente e l’esito della battaglia è ancora quanto mai incerto, nonostante le dichiarazioni e gli sforzi di tutte le parte coinvolte.

Considerata l’elevata volatilità di tutte le variabili in gioco, gli scenari con cui gli investitori sono chiamati a confrontarsi sono pertanto in continuo mutamento. Per gli investitori istituzionali, il 2022 è stato senza dubbio un anno molto penalizzante dal punto di vista delle performanceGuardando ai fondi pensione, a fine anno i rendimenti netti sono risultati negativi e pari, in media tra tutti i comparti, a -9,8% per i negoziali, -10,7% per gli aperti e -11,5% per i PIP di ramo III. Quali strategie di investimento risulteranno allora più in linea con le nuove condizioni dettate dal contesto macroeconomico, geopolitico e dai mercati finanziari? E quali “contromosse” saranno in grado di far recuperare il terreno perso nell’annus horribilis appena trascorso? I rappresentanti di fondi pensione, Casse di previdenza e Fondazioni di origine Bancaria ne discuteranno in occasione del tradizionale Convegno di Primavera organizzato da Itinerari Previdenziali.

Michaela Camilleri, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

13/3/2023

 

 

 
 

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