Inflazione in calo, crescita debole: perché l’Occidente torna a ridurre i tassi

Dalla seconda metà del 2023 a oggi le principali Banche Centrali occidentali, eccezion fatta per il Giappone, hanno continuato a tagliare i propri tassi di interesse, con un range variabile tra i 50 punti base dell'Australia e i 250 di Canada e Nuova Zelanda. La BCE, dal picco del 4,5% raggiunto a settembre, ha tagliato i tassi fino al 2,15%, mentre la Federal Reserve dai massimi del 5,5% fino al 4,25%

Francesco Scinetti

A partire dalla fine del 2021, complici le politiche monetarie e fiscali espansive mondiali adottate per contrastare la pandemia e i successivi choc energetici derivanti dalle sanzioni europee contro la Russia, l’inflazione sia negli Stati Uniti che nell’Eurozona è salita vertiginosamente. Nel dettaglio, negli Stati Uniti l’inflazione misurata dal CPI, è passata dall’1,4% a gennaio 2021 al 9,1% a giugno 2022. Nell’Eurozona, invece, è aumentata dallo 0,9% a gennaio 2021 al 10,6% a ottobre 2022. Una dinamica simile si è verificata anche negli altri principali Paesi mondiali. Di conseguenza, dagli inizi del 2022 fino alla seconda metà circa del 2023, la quasi totalità delle Banche Centrali hanno alzato i tassi di interesse allo scopo di contrastare l’inflazione.

Figura 1 - Tassi interesse delle principali Banche Centrali mondiali

Figura 1 - Tassi interesse delle principali Banche Centrali mondiali

Fonte: elaborazioni Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali su dati Trading Economics


Nel dettaglio, tra le principali Banche Centrali che hanno maggiormente tagliato il proprio tasso di interesse di riferimento dal 2023 troviamo il Canada e la Nuova Zelanda con 250 punti base. Seguono l’Eurozona e la Svizzera con tagli rispettivamente pari a 235 e 125 punti base. Gli Stati Uniti e il Regno Unito invece hanno tagliato entrambi i propri tassi di 125 punti base. Fanalino di coda per l’Australia con 50 punti base in meno rispetto a due anni fa. Questi tagli rispecchiano la discesa inflattiva che ha accompagnato questi Paesi negli ultimi due anni. Nello specifico, gli ultimi dati sull’inflazione mostrano che negli Stati Uniti, dopo il picco del 2022, il tasso è rientrato al 2,9% ad agosto 2025. Nell’Eurozona è sceso fino al 2,1%, mentre nel Regno Unito si è ridimensionato al 3,8% rispetto all’11,2% toccato nell’ottobre 2022.

L’unica eccezione nel mondo occidentale è rappresentata dal Giappone. Dal 2023 a oggi, infatti, la Banca Centrale giapponese ha aumentato i tassi di interesse di 60 punti base dallo -0,1% allo 0,5%. Una scelta che riflette la fragilità dell’economia interna e, in particolare, il timore di un possibile ritorno a uno scenario di stagflazione. Secondo gli ultimi dati, infatti, il Giappone si ritrova con un’inflazione in significativo aumento dai minimi toccati ad ottobre 2024 del 2,4% e con una crescita economica stagnante.

Per quanto riguarda i Paesi emergenti la situazione è meno omogenea. India e Cina si muovono allineati ai Paesi occidentali con la Cina, in particolare, che ha fatto dei modici tagli riflettendo l’esigenza di sostenere la crescita economica in rallentamento senza indebolire troppo lo yuan. Molto diversa, invece, la traiettoria di BrasileRussia e Turchia, che hanno dovuto spingere i tassi ben più in alto rispettivamente di 175, 400 e 1.050 punti base rispetto al 2022 a causa di un’inflazione che resta ancora fuori controllo: il dato mensile misurato ad agosto 2025 registra per il Brasile un’inflazione annua del 5,1%, la Russia dell’8,1% e la Turchia addirittura del 33%.

In conclusione, il mondo si muove oggi su due binari diversi. Da un lato, l’Occidente e parte dell’Asia, che con l’inflazione ormai rientrata hanno iniziato ad abbassare i tassi; dall’altra, la maggior parte dei Paesi emergenti, ancora alle prese con un’inflazione elevata. La vera incognita nel breve periodo sarà capire se i tagli nelle economie avanzate riusciranno a dare slancio alla crescita, soprattutto nell’Eurozona, senza far ripartire l’inflazione, in un contesto macroeconomico ancora fragile, caratterizzato da guerre commerciali e tensioni geopolitiche.

Francesco Scinetti, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

30/09/2025

 
 
 

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