Le Fondazioni di origine Bancaria: un focus intrinseco sulla sostenibilità

La crescente attenzione agli aspetti etico-sociali sta coinvolgendo sempre più anche finanza e investitori istituzionali: da sempre protagoniste di iniziative a sostegno di territori e comunità di riferimento, spiccano senza dubbio le Fondazioni di origine Bancaria, con un ruolo di primo piano nel processo di transizione sostenibile 

Bruno Bernasconi

Il legame tra le Fondazioni di origine Bancaria e i temi legati ai fattori ESG appare evidente fin dalla loro mission istituzionale, ossia quella di perseguire esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico. Le Fondazioni, infatti, sono organizzazioni non profit, private e autonome, che intervengono in diversi campi, dal welfare alla cultura, dall’innovazione all’ambiente, dall’educazione alla ricerca, investendo risorse al fine di accompagnare lo sviluppo culturale, sociale ed economico delle comunità di riferimento e dell’intero Paese.

Ma come vengono implementati questi obiettivi all’interno delle proprie scelte di investimento? E, in particolare, quali le strategie di sostenibilità e integrazione dei criteri ESG adottate nel confronto con gli altri player istituzionali  italiani? A queste domande intende rispondere la quinta edizione della survey curata dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, intervistando 123 (in aumento dai 106 del 2022) soggetti tra Casse di Previdenza, fondi pensione negoziali e preesistenti, Fondazioni di origine Bancaria e Compagnie di Assicurazione. In particolare, alle 58 domande dell'indagine hanno risposto 36 Fondazioni di origine Bancaria (+9 rispetto al 2022 e +20 rispetto al 2021), per un totale attivo di 36,6 miliardi di euro, corrispondenti al 77% del totale patrimoniale fondazioanle, pari a 47,4 miliardi. Nel dettaglio, l’11% delle Fondazioni rispondenti gestisce un patrimonio che supera i 2 miliardi di euro, un altro 11% compreso tra 1 e 2 miliardi di euro, il 19% tra i 500 milioni e il miliardo e il 58% fino a 500 milioni.

L’indagine ha evidenziato come il 36% delle Fondazioni rispondenti adotti esplicitamente una politica di investimento SRI, in calo rispetto al 48% del 2022 complice l’incremento del campione analizzato, anche se vale la pena sottolineare come diversi enti applichino comunque criteri ESG ai propri investimenti pur in assenza di politiche formali. Solo una Fondazione, invece, dichiara di non averne mai discusso in CdA, mentre tutte le altre confermano che il tema è stato affrontato e verrà implementato in futuro. 

Approfondendo le motivazioni alla base delle scelte di investimento sostenibile, le Fondazioni rispondenti alla survey dichiarano, in linea alla propria mission, di farlo per contribuire allo sviluppo sostenibile nel 39% dei casi e, a parità di voti, per una migliore gestione del rischio, mentre il 25% per migliorare la reputazione dell’ente; ragioni che trovano poi effettivo riscontro nella valutazione ex post degli investimenti, da cui emerge che l’applicazione di politiche SRI ha consentito un miglioramento non solo per l’impatto positivo sul territorio di riferimento (per il 25% dei rispondenti) ma anche in termini di reputazione dell’ente (39%) e mitigazione del rischio (33%). Da sottolineare infine che solo l’11% sceglie gli investimenti sostenibili per “ottenere rendimenti finanziari migliori”. 

Per quanto riguarda le strategie SRI adottate, non sorprende che al primo posto si piazzi l’impact investing, che prosegue il proprio il trend di crescita già rilevato negli ultimi anni, nel corso dei quali l'investimento a impatto è passato  dall’11% delle preferenze del 2019 al 60% del 2023. A spiccare soprattutto l’housing sociale, a conferma dell’attenzione che le Fondazioni riservano nei confronti delle ripercussioni dirette sul territorio che possono avere i loro investimenti. Al secondo posto, seppure in lieve calo, la ricerca individua poi le esclusioni con il 57% delle preferenze (63% nel 2022), in particolare verso settori come pornografia, armi, gioco d’azzardo e lavoro minorile; seguono in terza posizione gli investimenti tematici con il 47% (41% nel 2022). Alle ultime posizioni si confermano, invece, le strategie best in class con il 17% delle preferenze e l’engagement con il 13%, anche se entrambe in aumento rispetto all’11% e al 7% del 2022. 

Figura 1 - Le strategie di sostenibilità adottate dalle Fondazioni di origine Bancaria

Figura 1 - Le strategie di sostenibilità adottate dalle Fondazioni di origine Bancaria

Fonte: Quaderno di Approfondimento 2023 “ESG e SRI, le politiche di investimento sostenibile degli investitori istituzionali italiani”

Il terzo Quaderno di Approfondimento Itinerari Previdenziali “ESG e SRI, le politiche di investimento sostenibile degli investitori istituzionali italiani”, al cui interno è appunto ospitata l'indagine, ripropone poi un confronto con il periodo della pandemia per capire effetti e conseguenze nel mondo delle Fondazioni. Nel dettaglio, per il 69% dei rispondenti l’onda lunga di COVID-19 ha accelerato il ricorso agli investimenti ESG, mentre la guerra in Ucraina è risultata meno impattante, tanto che “solo” il 44% degli enti evidenzia un incremento di questa tipologia di investimenti a seguito del conflitto. Volgendo lo sguardo al futuro, il 31% delle Fondazioni rispondenti afferma di voler aumentare gli investimenti in strumenti sostenibili; percentuale in forte calo rispetto al 60% del 2022, probabilmente anche a causa dell’incertezza che continua a regnare sovrana sui mercati finanziari e che fa prediligere un approccio wait and see in un contesto dominato da inflazione elevata, politiche monetarie più restrittivi e crescenti tensioni geopolitiche. In ogni caso, l’incremento dell’esposizione verso investimenti sostenibili avverrà per il 64% delle preferenze tramite la strategia delle esclusioni, per il 55% con l’impact investing e per il 45% attraverso gli investimenti tematici, mentre i settori verso cui saranno indirizzate maggiormente le risorse sono quelli delle infrastrutture sanitarie (per il 43%) e delle energie rinnovabili (per il 37%). 

Infine, vista la rapida evoluzione regolamentare sul tema, per il secondo anno sono state incluse nel questionario domande relative al regolamento 2019/2088 (SFDR), anche alla luce della nuova normativa UE 2022/1288 in vigore dall’1 gennaio 2023: in particolare, si è voluto valutare il livello di impatto che il regolamento avrà sulle politiche di investimento degli investitori istituzionali, se modificherà le modalità di attuazione della politica di investimento e, infine, se fossero già presenti in portafoglio fondi classificabili Art. 8 e Art. 9. La totalità delle Fondazioni ritiene che l’impatto della normativa nel prossimo futuro sarà nullo (23%) o limitato (77%), mentre per nessun ente avrà un impatto elevato. Cresce invece la presenza nei portafogli dei prodotti che rispondono ai criteri della normativa, con la percentuale di coloro che dichiarano di non detenere questa tipologia di fondi in discesa dal 46% del 2022 al 27% di quest’anno. Parallelamente, le Fondazioni che dichiarano di avere in portafoglio fondi Art. 8 e Art. 9 sale al 37% dal 29% del 2022, mentre, in linea con lo scorso anno, non si registra la presenza di fondi di diritto italiano. 

  Bruno Bernasconi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

30/5/2023

 
 

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