Busta paga più pesante, non c'è solo la decontribuzione

Il DL Aiuti Quater ha innalzato la soglia di esenzione dei fringe benefit a 3.000 euro: più dell'onerosa decontribuzione, una buona strada da percorrere per consentire ai datori di lavoro di intervenire a favore dei dipendenti, contenendo l'impatto dell'inflazione su salari fermi da anni

Alberto Brambilla

Durante la campagna elettorale per partiti politici, Confindustria e sindacati, il “problema” dell’Italia era uno solo, il “cuneo fiscale e contributivo”. Oggi, dopo la presentazione della manovra finanziaria (la Legge di Bilancio è stata approvata successivamente alla pubblicazione sulla stampa di questo articolo, ndr), il “mantra” del cuneo fiscale pare l’argomento principale mentre la più grande riduzione del carico fiscale e del costo aziendale dal 1986 a oggi, impostata dal Governo Draghi con il decreto Aiuti Bis e proseguita dal ministro Giorgetti con il decreto Aiuti Quater, non sembra interessare né a Landini né a Bonomi.

Eppure, come abbiamo più volte sottolineato, i politici - Enrico Letta in testa seguito da uno spaesato Berlusconi e soprattutto i sindacalisti e Confindustria - dovrebbero sapere come si fa una busta paga e avere ben chiaro il perché della differenza tra netto in busta paga e costo azienda. Dovrebbero sapere che il 75% dei lavoratori dipendenti che dichiarano fino a 26mila euro lordi l’anno, ai quali vorrebbero ridurre il “cuneo”, non è oppresso dalle tasse per il semplice motivo che ne paga talmente poche che per vedersi garantita la sola spesa sanitaria, 2.070 euro pro capite, il resto dei contribuenti, e in particolare i 5 milioni che dichiarano oltre 35mila euro lordi, deve versare ben 58 miliardi l’anno. E poi ci sono tutte le altre funzioni a partire da scuola e assistenza: altro che oppressione!

Il sospetto del totale disinteresse delle cosiddette parti sociali e dell’opposizione alle novità dell’Aiuti Quater è che vogliano ridurre il costo del lavoro attraverso la decontribuzione di una parte dei lavoratori, scaricandone i costi su tutti i cittadini, mentre il citato decreto dà alle aziende, ognuna per le sue possibilità, la facoltà di alleggerire il costo del lavoro di circa il 15%, offrendo 3.000 euro (più altri 200 euro del buono benzina) totalmente esenti da tasse e contributi. In pratica, se un datore di lavoro volesse dare 3.200 euro netti in busta, senza i citati decreti, costerebbe all’azienda circa 6.720 euro: si dovrebbero pagare infatti i contributi sociali e un po' più di tasse (questa volta), mentre aumenterebbe il valore del TFR e di altri istituti contrattuali. Con la norma Giorgetti l’azienda spende 3.200 euro e il dipendente ne incassa esattamente 3.200: altra cosa rispetto alla decontribuzione al 2% o 3% (Bonomi vorrebbe il 4%; se avessero scritto 4% avrebbe chiesto 5, e così via).

Un miraggio per un Paese che non ha uno straccio di politica industriale da 25 anni, salvo eccezioni come Industria 4.0, e che in 30 anni è l’unico ad aver perso il 2,9% di potere reale di acquisto dei salari nonostante il 97% dei lavoratori sia coperto da contratti nazionali firmati dalle parti sociali. Forse qualche domanda Landini e Bonomi se la dovrebbero fare! Tanto più che il differenziale di produttività tra Italia e i nostri maggiori competitor è di 1 a 5 ogni anno!

Finalmente, quindi, le vecchie 500mila lire di cui all’articolo 51 comma 3 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), D.P.R. n. 917 del lontano 22 dicembre 1986, grazie a Mario Draghi prima e a Giancarlo Giorgetti poi, si sono trasformate in 600 euro con il DL Aiuti Bis di Draghi e poi a 3.000 euro con il DL Aiuti Quater”, cui vanno aggiunti 60 euro di buono trasporti e 200 euro di buono benzina. Dunque già il decreto Aiuti Bis, convertito il 21 settembre 2022 (legge n. 142), aveva innalzato i 258,23 euro (le vecchie 500 mila lire) di erogazione liberale del datore di lavoro ai propri dipendenti - erogazione che, come precisato dall’articolo 12, è esente da tasse e contributi - a 600 euro evitando pure l’intervento ex post dell’Agenzia delle Entrate specificando che rientrano nell’agevolazione anche le somme erogate o rimborsate dai datori per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale.  Con il decreto Aiuti Quater i 600 euro passano a 3.000 euro a partire dal 10 agosto 2022, data di entrata in vigore del DL Aiuti Bis, per l’intero periodo d’imposta 2022 (anche se erogate entro il 12 gennaio del 2023, in virtù del cosiddetto principio di cassa allargato); l’erogazione si cumula inoltre con il “bonus benzina” per cui l’azienda potrà riconoscere ai suoi dipendenti (anche non a tutti) 3.200 euro, di cui i 3.000 del DL Aiuti Quater, che già comprendono i 600 del DL Aiuti Bis e 200 per il bonus benzina previsto dal cosiddetto “decreto Ucraina”, n. 50/2022.

Ovviamente si tratta di una "liberalità", e non di un obbligo per il datore di lavoro, per aiutare i propri dipendenti a contenere l’impatto dell’inflazione sui salari, considerando che i contratti collettivi in corso non potevano prevedere una spinta inflattiva così alta e che circa il 33% dei lavoratori è in attesa di rinnovi contrattuali. La circolare dell’Agenzia delle Entrate del 4 novembre scorso, con le sue eccessive 10 pagine (ne sarebbe bastata 1 più il titolo), ha reso più complicato lo schema precisando che il datore di lavoro deve acquisire e conservare la documentazione comprovante l’utilizzo delle somme da parte del dipendente coerenti con le finalità previste dalla legge (utenze a uso abitativo di immobili di proprietà del dipendente, coniuge o familiari a condizione che ne sostenga effettivamente le relative spese) e che in famiglia solo uno dei componenti può ottenere il beneficio che riguarda i lavoratori dipendenti e i percettori di reddito da lavoro assimilato a quello da lavoro dipendente (collaboratori coordinati e continuativi, amministratori, tirocinanti). La speranza è che l’utilizzo dell’articolo 51 del TUIR - fermo da oltre 36 anni (la lenta Italia) - possa diventare una parte di reddito per tutti i lavoratori, liberi professionisti e autonomi compresi, esente da IRPEF e da contributi sociali (quindi non genera quote di pensione ne incide su ferie, TFR e così via), risolvendo in modo totale il mantra del “cuneo fiscale e contributivo”. L’istituzionalizzazione dei 3.260 euro l’anno esenti (cumulo dei benefici sopra descritti), quale rimborso forfettario per le spese di produzione del reddito, consentirebbe oltretutto una riduzione del costo del lavoro per i redditi fino a 26mila euro lordi (circa il 75 di tutti i contribuenti) del 15% netto l’anno, soppiantando e sostituendo sia la costosa e diseducativa decontribuzione che già oggi costa ai contribuenti onesti circa 24 miliardi l’anno, sia la flat tax.

Sarà tuttavia necessario un’armonizzazione con la normativa sui fringe benefit e sul welfare aziendale per semplificare e ridurre ulteriormente il costo del lavoro anche per i redditi sopra i fatidici 35mila euro. 

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

27/12/2022

 
 
 

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