Riforma del lavoro: fare come la Spagna... ma non si capisce il perché
Dal Congresso nazionale della CGIL arriva la richiesta, sostenuta anche dal Partito Democratico, di approvare una riforma del lavoro come quella spagnola: una richiesta che non solo si adatta poco al mercato italiano ma che sembra trascurare l'importanza di rilanciare innanzitutto produttività e crescita economica
Lotta dura, e senza paura, al precariato: lesempio da imitare sarebbe la riforma del lavoro approvata in Spagna. Dal Congresso della CGIL proviene un messaggio chiaro: dobbiamo abrogare il Jobs Act, approvato dal governo Renzi nel 2014, colpevole di aver tolto di mezzo larticolo 18 sui licenziamenti e di aver favorito un aumento dei rapporti di lavoro precari. Lesempio spagnolo ha tracciato la via, con lintroduzione di una riforma del lavoro approvata nel febbraio del 2022 che ha posto un limite per lutilizzo dei contratti a termine e che ha prodotto il risultato di aumentare del 248% le nuove assunzioni a tempo indeterminato e ridotto dal 24% al 17% lincidenza sul totale dei rapporti a termine.
La proposta ha riscontrato limmediata adesione della UIL e il sostegno del nuovo Partito Democratico. Ivi compresa una buona parte degli esponenti di questo partito che avevano votato a suo tempo lodiato Jobs Act. Unabiura resa necessaria per confermare lallineamento con il nuovo corso della rivendicazione di una serie di diritti universali incondizionati rappresentato dal pensiero della nuova Segretaria, Elly Schlein.
Lesperimento spagnolo è degno di attenzione, ma estrapolato dal suo contesto, quello delloggettiva deriva dei contratti a termine che ha sollecitato una riforma condivisa con le parti sociali, ha poco da insegnare allItalia. Basti pensare che in quel Paese la colonna portante della flessibilità lavorativa rimane la possibilità da parte delle imprese di licenziare senza giusta causa i lavoratori pagando una sanzione equivalente a 33 giorni di salario per ogni anno di anzianità lavorativa, per un massimo di 2 anni.
Fatta questa precisazione, ogni altra considerazione riguardo lutilizzo dei contratti a termine che in Italia risultano allineati alla media europea, inferiore di 4 punti rispetto a quella attualmente registrata in Spagna, risulta superflua. Ma, entrando ancor di più nel merito della riforma spagnola, si scopre lintroduzione: della continuità di vigenza dei contratti collettivi anche dopo la loro scadenza; del vincolo di remunerare i lavoratori somministrati e degli appalti con trattamenti non inferiori a quelli dei contratti collettivi in vigore per i lavoratori dellazienda appaltante; delle causali per lutilizzo dei contratti a termine affidate alla contrattazione collettiva; la possibilità di utilizzare forme simili alle nostre casse integrazioni per mantenere nellorganico delle aziende i lavoratori nei periodi di carenza delle attività. Tutte cose già vigenti, e da tantissimo tempo, in Italia. Tanto da immaginare che nei congressi dei sindacati spagnoli sia echeggiato lo slogan facciamo come lItalia. Magari per importare anche il famigerato Jobs Act approvato a suo tempo dal Parlamento italiano che mantiene in vita: lesistenza di una giusta causa per i licenziamenti; la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro per quelli di natura discriminatoria; 2 mesi di salario di risarcimento per ogni anno, con un minimo di 6 mesi e un massimo di 36 mesi, nel caso di licenziamento che risulti ingiustificato per motivi economici. Una normativa che ha dato un contributo alla crescita di circa un milione di posti di lavoro tra il 2015 e il 2018.
Una semplice comparazione tra i due sistemi di regolazione per lobiettivo di importare quello spagnolo farebbe inorridire qualsiasi delegato della CGIL, e non solo, al punto di reclamare a gran voce la proclamazione di uno sciopero generale preventivo. Ma, evidentemente il egretario generale Maurizio Landini, riconfermato nellincarico dal Congresso della CGIL, gode di un prestigio tale da consentire di evitare spiegazioni. Ovvero di poter continuare a rivendicare i salari alla tedesca, le pensioni alla francese, il welfare scandinavo, il tasso di occupazione olandese, trascurando che quei risultati sono il frutto di una crescita economica e della produttività che consente di finanziare queste prestazioni.
Esattamente quello che dovremmo fare in Italia con il contributo attivo delle parti sociali, anziché richiedere al Parlamento di legiferare per rimediare alle proprie lacune.
Natale Forlani, Comitato Tecnico Scientifico Itinerari Previdenziali
28/3/2023