Gli interventi da fare sulle pensioni

Il recente intervento del Ministro Giorgetti sul tema pensioni palesa che in Legge di Bilancio non ci saranno grandi spazi per intervenire sulla riforma Monti-Fornero. A dispetto dei proclami fatti in campagna elettorale e dei correttivi di cui il sistema avrebbe bisogno

Alberto Brambilla

La pietra tombale sulle ipotesi di cancellazione della legge Fornero l’ha messa al Meeting di Rimini il Ministro dell'Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti.

Già nel corso della campagna elettorale del 2018 Salvini prometteva la cancellazione della riforma Monti-Fornero nei primi 100 giorni di governo; e al governo ci andrà davvero ma, anziché apportare le necessarie correzioni a una legge fatta troppo in fretta e sottopressione, si inventa Quota 100 e per far contenti i compagni di viaggio del Movimento 5 Stelle, approva Decreto Dignità e reddito di cittadinanza (una botta da oltre 30 miliardi). Durante la campagna elettorale dello scorso anno promette ancora la cancellazione della legge Fornero e l’introduzione di Quota 41 per tutti ma, di nuovo al governo, il risultato è modesto e meno dannoso di Quota 100: la nuova proposta è Quota 103, con 62 anni di età e 41 di contributi, aperta a tutti e con l'immancabile divieto di lavorare, un tetto all’importo della pensione pari a 5 volte il minimo (2.818,7 euro lordi) fino al compimento dei 67 anni e con le finestre di 3 o 6 mesi rispettivamente per privati e pubblici. E tutto questo solo per un anno, il 2023. Molto meglio 42 anni e 10 mesi (un anno in meno per le donne) senza alcun vincolo. Il divieto di cumulo tra redditi da lavoro e da pensione, dopo molti anni di duro confronto, è stato abolito nel 2010 dal governo Berlusconi proprio perché fonte di lavoro irregolare e prestazioni in nero. Si replica quindi l'esperimento, sbagliato ma molto costoso per le Casse dello Stato rispetto a Quota 100, che ha prodotto nei tre anni di vigenza, dal 2019 al 2021 (più le code 2022/23), 433mila pensionati in più con 29 mesi di anticipo pensionistico e un costo, a oggi, di circa 25 miliardi che si sommano alle varie salvaguardie, APE e così via. 

Certo, sarebbe stato più saggio prorogare la cosiddetta Quota 102, 64 anni di età e 38 di contributi con i primi 35 anni effettivi, che ha il pregio di aver risolto a una'età di uscita ragionevole rispetto all'aspettativa di vita uno dei tre problemi creati dalla riforma Monti-Fornero, e cioè l'eliminazione della pensione di anzianità o di vecchiaia anticipata. Che tutti i Paesi hanno e questo per due motivi: il primo perché i 64 anni sono compatibili con la media europea e, di fatto, sono già accettati dalla UE, considerando che l’età effettiva di uscita anticipata (il grosso del pensionamento) è stata nel 2021 di 61 anni e 8 mesi, poco compatibile con una delle popolazioni più vecchie d'Europa; secondo, perché l'Italia ha un rapporto attivi pensionati tra i più bassi dell'Unione e dei Paesi OCSE.

Siamo in dirittura della nuova Legge di Bilancio e il tema delle pensioni, passati cinque anni dai proclami non è più al centro dell’attenzione. Se tutto va bene, per il 2024 verrà riproposta Quota 103 che a giugno dovrebbe registrare circa 15mila domande (lo stesso numero di Quota 102 per l’intero 2022) ma con un'anticipazione media rispetto ai 42 anni e 10 mesi per gli uomini (un anno in meno per le donne), al netto delle finestre di circa 17/18 mesi, contro i 22 di Quota 102 (il numero delle donne è modesto e incide poco nella media).

Eppure, la legge Fornero avrebbe necessità di una buona manutenzione almeno su alcuni punti: a) il primo è fortemente equitativo e riguarda i cosiddetti contributivi puri, cioè, tutti quelli che hanno iniziato a lavorare dall’1 gennaio 1996 e che hanno condizioni meno favorevoli dei retributivi e misti. Occorre quindi equiparare la condizione di questi ex giovani con quella degli altri lavoratori eliminando i vincoli di accesso alla pensione di vecchiaia e vecchiaia anticipata (64 e 67 anni indicizzati alla aspettativa di vita) di 2,8 volte il minimo (quasi 1.500 euro lordi al mese), e quello di 1,5 volte il minimo per la vecchiaia. Inoltre, considerando che il metodo contributivo non contempla un'integrazione al trattamento minimo, di cui oggi beneficia circa il 25% dei pensionati (integrazione e maggiorazione sociale), per motivi di equità intergenerazionale e tenuto conto che è proprio con i contributi di questi lavoratori che si pagano le pensioni attuali, sarebbe necessario prevedere anche per loro l’integrazione al minimo su valori pari all’integrazione al minimo o alla maggiorazione sociale (tra 517 e 654 euro al mese) ma calcolati maggiorando la pensione a calcolo esclusivamente in base al numero di anni lavorati. b) Il secondo punto riguarda la reintroduzione della flessibilità in uscita alla base della riforma Dini, consentendo un pensionamento flessibile con 64 di età anagrafica (indicizzata all'aspettativa di vita), con almeno 38 anni di contributi (la Quota 102 del Governo Draghi) ma con non più di 3 anni figurativi (esclusi dal computo maternità, servizio militare, riscatti volontari) ed eliminando qualsiasi divieto di cumulo. c) Terzo punto, rendere stabile la pensione di vecchiaia anticipata, con 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva (41 anni e 10 mesi per le donne) indipendentemente dall’età anagrafica, senza più adeguamenti all'aspettativa di vita anche dopo il 2026, data di scadenza del provvedimento 4/2019 introdotto da Salvini, considerando che senza blocco oggi saremmo a 43 anni e 3 mesi per i maschi e 42 anni e 3 mesi per le donne, requisito destinato a crescere nei prossimi anni e che non ha uguali negli altri Paesi. Infine, oltre al rafforzamento dei provvedimenti di anticipo per le donne madri previsti dalla legge Dini, la reintroduzione del cosiddetto super bonus per incentivare i lavoratori a restare al lavoro anche dopo la maturazione dei requisiti minimi, introdotto dal governo Berlusconi nel 2004 con un grande successo ed eliminato dal successivo governo Prodi senza alcuna motivazione. 

Con queste variazioni le preoccupazioni dei giovani dovrebbero essere fugate perché, con un ingresso nel mercato del lavoro intorno ai 18 anni (considerando il vantaggioso riscatto degli anni di laurea) e un pensionamento intorno ai 68 anni, in un periodo di circa 50 anni, riusciranno a mettere assieme almeno 35 anni di contribuzione per avere una pensione pari a circa il 68% dell’ultimo reddito. Anche alla luce del fatto che, oggi, le imprese hanno necessità di oltre 1 milione di lavoratori che non trovano nonostante, come tasso di occupazione, l’Italia si classifichi all’ultimo posto nelle statistiche Eurostat, superata quest’anno pure dalla Grecia con quasi 10 punti di distanza dalla media e 16 dai Paesi nostri competitorAumentare l’occupazione e ridurre l’enorme spesa assistenziale dovrebbe essere la sfida di esecutivo e opposizioni, senza inutili contrapposizioni demagogiche. Avremmo almeno 4 milioni di occupati in più, oltre 8 milioni di poveri in meno e un rapporto attivi pensionati in zona sicurezza, con 1,65 occupati per ogni pensionato e, di conseguenza, maggiori garanzie per i giovani.  

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

28/08/2023

 
 

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