Silver Economy, perché l'invecchiamento è (anche) una buona notizia

Sono molti, forse anche troppi, gli allarmi sul possibile rallentamento (innanzitutto economico) prodotto dagli attuali trend demografici: eppure, l'invecchiamento della popolazione italiana può diventare se, ben gestito e interpretato, una grande opportunità per la nostra società

Alberto Brambilla

Quanti allarmi eccessivi per l’invecchiamento della popolazione! Eppure, è una buona notizia avere 20 anni in più di vita, un grandissimo regalo! Ma è una grande opportunità anche per la società e per lo Stato. Certo, oggi siamo molto impreparati e i politici si devono impegnare un po’ di più per preparare la transizione demografica più grande di tutti i tempi con programmi precisi, tra cui prevenzione e screening, nuove protezioni tipo long terme care, nuovi contratti di lavoro che permettano di allungare la vita lavorativa, formazione continua e aumento graduale dell’età di pensionamento, ma ce la possiamo fare.

Invecchiare non è solo un costo per la collettività ma è una grande opportunità, anche economica: il nostro “petrolio”, come lo ha definito Roberto Bernabei, tra i massimi esperti di settore. Ebbene sì, perché quelli che ai tempi della riforma Brodolini del 1969 erano ritenuti anziani e la speranza di vita era di 65 anni, oggi sono arzilli “giovani anziani” desiderosi di essere utili alla società. Solo una follia come la legge Madia poteva mettere i pensionati in panchina e, se lavorano, lo possono fare solo per pochi mesi e gratis: per far posto a chi scrive queste demenziali leggi? 

Invecchiamo e, d’altra parte, se anche oggi ci mettessimo a far figli a tutto spiano visto che il problema principale paiono le “culle vuote” e non la totale impreparazione alla transizione demografica, nel momento di picco dell’invecchiamento, tra il 2045/50, questi nuovi nati sarebbero ancora su banchi di scuola. Quindi, attrezziamoci per una società che invecchia, nella quale cambiano la struttura per età della popolazione (inutile fare scuole, forse meglio prevedere case miste per giovani e anziani) e quella della famiglia, sempre più piccola e per un terzo mononucleare. E così, da qualche tempo, siamo entrati nella cosiddetta Silver Economy, intesa come l’insieme di consumi caratteristici dei 50/65enni (stili di vita) e degli over 65 e tutte le attività economiche e produttive per soddisfare questi bisogni che riguardano sempre più persone. Se, nel 1980, gli over 65 erano il 13,1% della popolazione e gli over 80 solo il 2,1%, oggi siamo rispettivamente al 24% e al 7,6% e nel 2050 saremo il 35% e il 4,1%; al momento gli over 65 in Italia sono più di 14 milioni!  

Ma non è solo l’elevato numero di persone che ingrossa questa nuova grande economia, ci sono anche i flussi di reddito che, dai 55 anni in su, sono più alti rispetto alle altre fasce di età. Non solo: in tutte le grandi crisi economiche dal 2008 alla crisi COVID, quelli che hanno risentito meno e che hanno mantenuto e addirittura incrementato i loro redditi sono proprio i pensionati e gli over 55. Del resto, il flusso annuo netto delle pensioni e delle assistenze sfiora i 300 miliardi che, ovviamente, non risentono né delle crisi e neppure dell’inflazione, vista la generosa rivalutazione almeno per le pensioni fino a 4 volte il minimo (poco più di 2100 euro). Non solo per i flussi di reddito annuo questi Silver sono anche i detentori principali della ricchezza. Le persone over 65 dispongono di un patrimonio medio mobiliare e immobiliare che, attualizzato all’1 gennaio 2022, è di circa 300mila euro: moltiplicando questo valore per 14,051 milioni di soggetti, si arriva a un totale della ricchezza Silver pari a 4.173,14 miliardi di euro. Considerando una ricchezza totale delle famiglie per il 2022 pari a 10.900 miliardi di euro (dato Banca d’Italia), valore composto anche da un 14% di proprietà di aziende o imprese e da un 3% di beni reali (oro, diamanti ecc.), posseduti principalmente dagli over 65 come le gestioni di private banking, si può agevolmente stimare che il 24% circa della popolazione composto da over 65 detiene quasi la metà della ricchezza nazionale. Si tratta quindi di un'importante patrimonializzazione che, nei prossimi 25 anni, verrà in parte destinata a incrementare i volumi dei consumi dei Silver e, per una consistente parte, verrà trasferita a figli o parenti (il passaggio generazionale naturale) che sono perlopiù gli over 40 di oggi e che diventeranno progressivamente gli over 65 del futuro, incrementando ulteriormente il valore complessivo della Silver Economy italiana.

Ma vediamo anche quale è l’impatto che l'economia d'argento può generare in Italia in termini di PIL, posti di lavoro aggiunti e nuove attività e start-up. Applicando all’Italia la metodica di calcolo adottata dalla Commissione europea per valutare gli impatti e le dimensioni della Silver Economy nell’Unione, considerando che quasi tutti i redditi degli over 65 saranno spesi in consumi o sostegni a familiari, possiamo calcolare che questo flusso di risorse genera: un’occupazione tra i 4,6 e 5,46 milioni di lavoratori, ricomprendendo anche le badanti regolari e irregolari, il personale delle RSA e quello medico e i fornitori di beni e servizi acquistati dal Silver. Il dato più basso è stato calcolato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali su fonti relative all’Italia, mentre il valore più elevato è ricavato applicando la metodica della Commissione UE. Con la stessa metodica possiamo calcolare l’impatto su Prodotto Interno Lordo dei Silver (over 65), e quindi dell’intera Silver Economy, che è stimabile intorno ai 350 miliardi di euro ossia circa il 20% del PIL 2021. Anche in questo caso, se si ampliasse il perimetro agli over 50 la stima dell’impatto sul PIL salirebbe a circa 583 miliardi di euro (poco meno di un terzo del PIL 2021). 

Come si vede, la transizione demografica non è solo un rischio ma rappresenta una grande opportunità per l’intera collettività non solo dal punto di vista economico ma anche e soprattutto da quello sociale ed etico. Con «rallentamento» economico prodotto dalla demografia ci sarà un mutamento degli stili di vita: probabilmente, avremo meno PIL complessivo e forse più PIL pro capite ma anche più umanità, meno pubblicità e, quindi, un passaggio di valori da uomo consumatore all'interno di un capitalismo sempre più “deviato” a essere umano, con maggiore percezione del valore del tempo e della crescita personale e sociale.

Insomma, non una decrescita infelice ma una vita eticamente felice.

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
 

 
 

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