Investitori istituzionali, alcune riflessioni alla luce dell'evoluzione normativa sul risparmio gestito

Capital Markets Union e Action Plan sono tra le principali direttrici lungo le quali si sta muovendo la Commissione europea in ambito finanziario: quali connessioni e implicazioni per il mercato istituzionale, anche alla luce delle evidenze emerse dal Nono Report Itinerari Previdenziali?

Giovanna Frati

Il Nono Report Annuale pubblicato da Itinerari Previdenziali pone in evidenza alcuni trend caratterizzanti il patrimonio degli investitori istituzionali italiani, tra i quali spicca quello concernente la crescita dimensionale: a fine 2021 il patrimonio ha raggiunto il 55% del PIL. Tale crescita è riconducibile sia all’incremento del numero degli iscritti che alle performance positive, queste ultime spiegate anche dalla diversificazione degli asset e dall’investimento in FIA (Fondi di Investimento alternativi).

L’interesse per l’investimento in FIA emerge anche in ottica prospettica: il 71% degli intervistati, infatti, ha manifestato l’intenzione di accrescere l’investimento ovvero di investire ex novo in tale tipologia di attività. Inoltre, dal focus sulle politiche di investimento sostenibile, emerge che il 56% degli investitori istituzionali dichiara di aver adottato una policy per l’investimento sostenibile, a fronte del 44% che dichiara di non averla adottata, pur procedendo all’acquisto di prodotti ESG di terzi.

Le suddette evidenze risultano connesse a 2 delle principali direttrici che stanno conformando le priorità dell’attività della Commissione europea: la Capital Markets Union (CMU) e l’Action Plan sulla finanza sostenibile; con riferimento a tale connessione è possibile sviluppare alcune considerazioni. Più nel dettaglio, l’Unione dei mercati di capitali dovrebbe risultare funzionale, nelle intenzioni del legislatore europeo, a consentire lo sviluppo di canali di finanziamento dell’economia reale alternativi a quelli bancari.

Tra le iniziative di policy che sono state adottate dal legislatore, sono di particolare attualità la revisione della direttiva sui gestori di fondi di investimento alternativi (Direttiva 2011/61/UE, cosiddetta AIFMD) e la revisione del Regolamento sui fondi di investimento europei a lungo termine (Regolamento UE 2015/760, cosiddetto Regolamento ELTIF). Ambedue tali revisioni sono orientate a consentire una più ampia affermazione dei fondi di investimento alternativi, che sono i veicoli di investimento specificatamente dedicati al finanziamento dell’economia reale.

In questo quadro, tra le molteplici proposte di modifica sul tavolo, assumono rilievo quelle relative all’innovazione di prodotto. Per quanto riguarda l’AIFMD, l’innovazione di prodotto concerne, innanzitutto, l’introduzione di una disciplina armonizzata sui fondi di credito. Al riguardo, la proposta di revisione formulata dalla Commissione europea nel novembre 2021 prevede non solo requisiti di tipo organizzativo in capo al gestore (in particolare, l’adozione di una policy e delle procedure per la valutazione del rischio di credito e per il monitoraggio del portafoglio di crediti), ma anche requisiti sulla diversificazione del portafoglio (ad esempio, il limite del 20% del patrimonio del fondo per l’erogazione di crediti nei confronti di un singolo debitore).

La portata innovativa dell’introduzione di requisiti concernenti il portafoglio dei fondi di credito risulta particolarmente significativa alla luce della contestualizzazione degli stessi in una disciplina - l’AIFMD – che, fino a ora, ha riguardato esclusivamente il gestore. In proposito, il testo del general approach del Consiglio dell’UE, che è stato raggiunto nel giugno 2022 sotto la presidenza francese del Consiglio, ha apportato alcune precisazioni rispetto alla proposta inizialmente elaborata dalla Commissione europea. Tra l’altro, è stato precisato che la disciplina sui fondi di credito si applica sia ai fondi che erogano credito (cosiddetti loan origination) sia a quelli che acquistano da terze parti crediti già emessi (cosiddetti loan participation) e, in riferimento alla forma (aperta vs chiusa), è stato specificato che i FIA di credito in via generale assumono la forma chiusa – in considerazione del profilo di illiquidità dell’asset sottostante - con possibilità di deroga al ricorrere di determinate condizioni concernenti, tra l’altro, l’utilizzo di liquidity management tools, la disponibilità di attività liquide e gli stress test.

Per quanto riguarda la normativa sugli ELTIF, in relazione al quale il trilogo tra i colegislatori si è concluso nel dicembre 2022 sotto la presidenza ceca del Consiglio dell’UE, in materia di innovazione di prodotto si evidenziano: l’ampliamento del novero degli asset investibili (con riguardo, tra l’altro, alla nuova, più ampia definizione di real asset e all’investimento in altri OICR - a oggi limitato ad altri ELTIF, nonché a fondi EUVECA o EUSEF, in prospettiva esteso anche ai FIA generici e persino agli OICVM -); l’innalzamento dei limiti di investimento (con un generale raddoppio di tutti i limiti di diversificazione attualmente previsti), nonché il cosiddetto carve-out degli ELTIF riservati esclusivamente agli investitori professionali (tramite il quale gli ELTIF in parola sono esentati dai limiti di diversificazione del portafoglio, pur essendo soggetti all’obbligo concernente la soglia minima di investimento nelle attività caratterizzanti gli ELTIF, che dall’attuale 70% è stata ridotta al 55%).

Premesso che una valutazione ponderata delle suddette revisioni potrà essere condotta solo alla luce dell’implementazione delle stesse (tra l’altro, la revisione dell’AIFMD non è ancora stata ultimata e in relazione ai fondi d credito esistono già, anche in Italia, discipline nazionali che dovranno essere riviste ed eventualmente sostituite da quella europea), si può tuttavia fin da adesso osservare che, tra gli altri,  l’obiettivo perseguito è, in prospettiva, quello di permettere anche agli investitori istituzionali di beneficiare di un perimetro ben più ampio e diversificato di fondi target, con auspicabili impatti positivi anche in termini di performance.

Con particolare riguardo alla revisione del Regolamento ELTIF, occorre evidenziare anche le novità introdotte in merito alle regole per la distribuzione agli investitori retail che, con la simultanea rimozione del cap all’investimento in ELTIF da parte degli investitori retail (che, nel regime attuale, è pari al 10% del portafoglio finanziario dell’investitore) e dell’obbligo di prestazione della consulenza, vanno nel senso di una accentuata deregolamentazione. Il tema delle regole per la distribuzione degli ELTIF agli investitori retail acquista particolare rilievo nella realtà nazionale in considerazione dell’espansione che gli ELTIF hanno avuto in Italia a motivo della compatibilità tra la relativa disciplina e quella dei PIR alternativi (introdotta dal Decreto Rilancio del 2020); ne è conseguito che i PIR alternativi hanno, di frequente, assunto la forma di ELTIF. Il tema della distribuzione degli ELTIF richiama, inoltre, il profilo di attenzione relativo alla classificazione delle Casse di Previdenza come investitori professionali piuttosto che retail. Si tratta di un profilo ben presente al legislatore nazionale, tant’è che è stato anche evidenziato nel “Libro verde sulla competitività dei mercati finanziari italiani a supporto della crescita”, su cui il MEF, in accordo con la CONSOB e la Banca d’Italia, nel 2022, ha svolto apposita consultazione.

In materia di sostenibilità (su cui, nel contesto del Nono Report è stato svolto uno specifico focus in apposito Quaderno di Approfondimento), occorre, innanzitutto, evidenziare che l’UE, con la pubblicazione nel 2018 dell’Action Plan, ha indubbiamente assunto il ruolo di leader a livello globale. In particolare, l’Action Plan include una serie molto articolata di iniziative, che, dal punto di vista finanziario, coprono sia la parte degli emittenti (di recente pubblicazione è la Direttiva UE 2022/2464 del 14 dicembre 2022 in materia di rendicontazione societaria di sostenibilità, cosiddetta corporate sustainability reporting directive o CSRD) che quella degli intermediari (rilevano, al riguardo, il Regolamento UE 2019/2088, cosiddetto SFDR o Regolamento disclosure e il relativo Regolamento delegato 2022/1288, nonché le modifiche apportate agli atti delegati della direttiva UCITS e della AIFMD e al framework MIFID). A ciò si aggiunge che il Regolamento 2020/852 Tassonomia ha introdotto un EU green standard, tramite la definizione di attività eco-sostenibile a livello europeo – definizione connotata da requisiti ben più stringenti rispetto a quelli previsti per l’investimento sostenibile di cui all’art. 2(17) del SFDR – e ha posto obblighi informativi sul grado di allineamento alla tassonomia con riguardo sia ai prodotti (integrando gli obblighi già previsti da SFDR) che agli emittenti (andando a integrare il framework sul sustainability reporting).

In tale quadro, si delineano importanti sfide sia dal punto di vista normativo che di quello della vigilanza. Dal punto di vista normativo, merita segnalare il mandato conferito dalla Commissione europea alle ESAs nell’aprile scorso per una ampia revisione del Regolamento delegato (UE) 2022/1288 (Regolamento delegato del Regolamento disclosure) con riguardo ai PAI e, più in generale, alla presentazione dell’informativa precontrattuale e di quella periodica; ai dossier di livello 1 ancora in fase di negoziato (la proposta di direttiva in materia di corporate sustainability due diligence, nonché la proposta di regolamento sui cosiddetti green bonds) e a quelli su cui deve ancora essere formulata una proposta da parte della Commissione europea (in particolare, la tassonomia sociale, su cui la platform on sustainable finance nel febbraio 2022 ha pubblicato un apposito report, nonché i rating ESG, su cui la Commissione europea, nel corso del primo semestre 2022, ha svolto una targeted consultation).  

Di non minor rilievo sono le sfide dal punto di vista della supervisione. Al riguardo, la sfida cruciale è indubbiamente rappresentata dalle cosiddette pratiche di greenwashing, che dovranno essere identificate anche alla luce dei più granulari obblighi di disclosure in capo agli intermediari definiti dal già citato Regolamento delegato del Regolamento disclosure, in vigore da gennaio 2023. In tale contesto, rileva la definizione a livello di Unione Europea di un approccio coerente da parte delle singole Autorità nazionali che dovrà basarsi sulla condivisione dei criteri per l’identificazione di siffatte pratiche e per l’attivazione delle conseguenti azioni di vigilanza. Vanno in tale direzione alcune iniziative già intraprese dall’ESMA; in particolare, la pubblicazione, nel maggio 2022, del supervisory briefing sull’inclusione dei rischi di sostenibilità nell’area dell’Investment Management, volto a definire direttrici comuni in termini di supervisory expectations, nonché l’avvio, nel novembre 2022, di una pubblica consultazione in relazione a possibili linee guida per l’inclusione nella denominazione degli OICR dei cosiddetti ESG o sustainable-related terms.

Nel suddetto quadro il Quaderno di Approfondimento e il Nono Report evidenziano l’ampia autonomia lasciata ai gestori che – come viene detto – attesta la progressiva credibilità acquisita dalle società di gestione. Al riguardo non stupisce che l’approccio gestorio inclusivo dei principi ESG abbia trovato una compiuta regolamentazione nelle direttive sul risparmio gestito, in particolare negli atti delegati della Direttiva UCITS e della AIFMD. Ciò in considerazione del fatto che i gestori collettivi sono geneticamente gli intermediari dedicati all’attività di asset management.

L’asse portante di questa disciplina è rappresentata dall’inclusione del rischio di sostenibilità nel processo gestorio (nelle varie fasi in cui lo stesso può essere articolato, dalla due diligence, all’implementazione delle scelte di investimento, al relativo monitoraggio) e nella conflict policy. Al di là della definizione di rischio di sostenibilità di cui alla normativa di riferimento («rischio di sostenibilità»: un evento o una condizione di tipo ambientale, sociale o di governance che, se si verifica, potrebbe provocare un significativo impatto negativo effettivo o potenziale sul valore dell’investimento) e dell’affermazione, con riferimento alla parte ambientale, della distinzione nelle due componenti di rischio fisico e di rischio di transizione, ciò che rileva è che l’integrazione di tale rischio nel processo decisionale dei gestori collettivi non è più un’opzione, bensì è un obbligo. Al riguardo, la sfida è rappresentata dalla valutazione di come siffatto rischio interagisca con i rischi tradizionali (di mercato, di credito, di liquidità, di controparte e operativo) e li modifichi.

Da ultimo, in merito ai margini di miglioramento in materia di trasparenza informativa sulle tematiche ESG che vengono evidenziati nel Quaderno, si osservi che il Regolamento disclosure fornisce un framework talmente pervasivo e articolato in termini di informazioni agli investitori da poter rappresentare un benchmark anche per i soggetti e le entità che non rientrano strettamente nell’ambito di applicazione del medesimo regolamento. Tali standard di disclosure, peraltro, sono tali da incidere anche sugli assetti organizzativi e comportamentali del gestore; ciò sulla base del presupposto per il quale le informazioni che devono essere trasmesse all’investitore potranno ritenersi elaborate correttamente soltanto se basate su meccanismi operativi solidi ed efficaci.

Giovanna Frati, Vice Responsabile dell’Ufficio Vigilanza SGR e OICR CONSOB*

24/01/2023


* Le opinioni sono espresse a titolo personale e non impegnano in alcun modo l’Istituto di appartenenza

 
 

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