La proposta dei "collaboratori civici": i Silver al servizio delle comunità

Gli anziani più o meno giovani possono produrre utilità sociale, trasformandosi in "collaboratori civici": in che modo i Silver possono mettersi al servizio della comunità? Il progetto delle case di quartiere e il ruolo delle amministrazioni locali

Ezio Chiodini

Sin dal prossimo futuro si manifesterà un decremento demografico mondiale che si accompagnerà a un aumento dell’età media e della speranza di vita. In altre parole, gli “anziani”, saranno un poco meno anziani grazie alla medicina e alla scienza ma diventeranno percentualmente più numerosi rispetto al resto della popolazione, con tutto quello che ciò significa dal punto di vista sociale ed economico, oltre che culturale. La società invecchierà. Sarà un bene oppure un male? A nostro parere non potrà (e non dovrà) che essere un bene, da tutti punti di vista purché il “pianeta anziani” sia considerato una risorsa e non un peso per la società. 

Francesco Antonini[1], nel suo libro I migliori anni della nostra vita, edito da Arnoldo Mondadori nel 1998, quando Antonini aveva 78 anni, scriveva: “Sarebbe molto più semplice e produttivo che a una certa età si lasciasse alle persone di graduare la propria uscita dal lavoro dipendente secondo i propri ritmi e le proprie convenienze. Molto probabilmente ci vorrà un nuovo modello sociale per realizzare tutto ciò e io sono convinto che questa nuova società comincerà a nascere nel prossimo secolo, che poi coincide con il prossimo millennio”. E ancora: “Quanto sarebbe più facile e proficuo per tutta la società facilitare il passaggio all’età libera, dove produrre (in senso lato) può diventare un piacere. Quanto più ricchi (certamente di esperienza, di cultura, di socialità e anche di democrazia) saremmo. E senza più conflitti fra “vecchi” e “giovani”, avendo ristabilito quel ponte fra le diverse generazioni che la società attuale ha distrutto”. 

Concetti saggi e ancora molto attuali ma purtroppo non all’ordine del giorno della politica e delle forze sociali. Dobbiamo quindi ricostruire un nuovo modello economico e sociale che ci viene imposto non dalle mode o peggio dall’ideologia, ma dalla natura (cambiamenti climatici, pandemie ed eccessivo sfruttamento del pianeta), dalla demografia con l’invecchiamento della popolazione mondiale e in particolare quella italiana e dallo sviluppo tecnologico. In quest’ottica un ruolo fondamentale può e deve essere giocato dalla risorsa “capitale umano” in cui una parte importante la giocano, come direbbe Antonini, le persone di una certa età che hanno voglia di impegnarsi a favore della società e hanno esperienza, professionalità e passione da trasmettere ad altri. 

Il capitale umano, un'enorme ricchezza di cui ci siamo finora dimenticati e che è scarsamente utilizzato dalle nostre società ma che invece potrebbe essere valorizzato e impiegato per crescere meglio e per meglio affrontare il futuro. Infatti, i sessantenni, gli attuali “giovani anziani” attivi possono essere una risorsa da usare, gratuitamente, nella realizzazione di servizi utili alla comunità, basta coinvolgerli con progetti utili e intelligenti; farli partecipare, concetto sempre sbandierato ma mai veramente perseguito, tanto più che di persone con esperienza, cultura professionale e tempo libero da offrire alla comunità in Italia ce ne sono milioni. 

Perché lo fanno? Per diversi motivi: perché non vogliono esser più relegati ai margini, perché vogliono continuare ad essere attivi producendo utilità, per amor proprio, per dare un esempio e anche per autostima. Hanno tanto da trasmettere” e da insegnare e la passione per farlo. È chiaro però che questa preziosa disponibilità gratuita va organizzata e gestita, oltre che usata per specifici progetti. Questa convinzione ci ha portati a esporre l’idea/progetto per la creazione di un servizio di “collaborazione civica”.

 

Chi sono i collaboratori civici 

Anzitutto è bene specificare che i collaboratori civici non vanno confusi (tantomeno sovrapposti) ai volontari tradizionali, i quali orientano le proprie attenzioni quasi esclusivamente alle persone, singole o raggruppate, con iniziative e aiuti che tutti conosciamo, come, per esempio, volontari della croce rossa o di pronto soccorso, assistenza ai disabili, ai senzatetto, assistenza domiciliare, distribuzione di cibo e medicine e così via. 

I collaboratori civici sono invece interessati a dare una mano alla comunità di cui fanno e si sentono parte, sia che si tratti di un Paese, un comune piccolo o medio, o città più grandi come Milano nelle sue molte municipalità, con l’obiettivo di migliorarne le condizioni di vita, di rendere i quartieri e le città più vivibili e più piacevoli, più sicure, più smart, per usare una parola di moda, e le relazioni umane più amichevoli e produttive. Sono interessati a essere coinvolti in progetti che vanno in questa direzione e disponibili a essere impegnati in attività non remunerative: sono produttori di utilità a favore della comunità che spesso si traducono anche in vantaggi economici per tutti, ma anche un generatore di partecipazione sociale alla gestione della “cosa pubblica”, cioè della polis – come già scrisse Platone - e di rinnovare la vita sociale partendo dal basso, cioè dal locale, coinvolgendo i cittadini. 

I collaboratori civici sono soprattutto interessati a mettere a disposizione la propria esperienza lavorativa e la propria capacità professionale al fine di contribuire alla realizzazione di obiettivi specifici che possano essere utili alla comunità. E la partecipazione, come ormai scrivono apertamente sociologi e politologi, oltre ad alcuni (pochi) rappresentanti politici, può essere uno strumento formidabile con il quale affrontare il prossimo, impegnativo, futuro che coinvolgerà tutti e tutti dovranno essere impegnati a costruirlo se non vorranno soltanto subirlo. In definitiva essere “collaboratori civici” è particolarmente interessante per chi, dopo aver lavorato una vita, ha la voglia e il piacere di mettere a disposizione la propria esperienza umana e la propria professionalità ma è certamente di grande interesse anche per le amministrazioni locali, sempre alle prese con le ristrettezze economiche e con richieste sempre più ampie da parte della popolazione residente. L’utilizzo di questo capitale umano rappresenterebbe una “rivoluzione” che potrebbe avere significative conseguenze positive dal punto di vista sociale, culturale ed economico. Comunità e partecipazione: concetti essenziali per costruire il futuro che ci aspetta. 

 

Quali progetti possono coinvolgere i collaboratori civici? Le case di quartiere

Concetti fondamentali che vanno fatti propri e implementati soprattutto dagli enti locali, in primis, i Comuni. Ma in concreto, per fare che cosa? Molto dipenderà da come le istituzioni si attrezzeranno per sostenere e indirizzare le comunità ad affrontare l’evoluzione economico-sociale; ad affrontare una delle esigenze più importanti che riguarda il rilancio delle zone periferiche o centrali delle grandi città o dei piccoli e medi comuni, per i quali non basta, più verde e più pulizia ma serve maggiore “integrazione sociale”, l’opposto della “ghettizzazione” e della troppa solitudine. 

L’idea della “casa di quartiere” che qui suggeriamo, punta quindi alla realizzazione, in ogni municipalità o Comune, di un polo sociale, un edificio o più edifici con spazi all’aperto di proprietà pubblica, magari dismessi da tempo e quindi pericolosi ricettacoli di marginalità diffuse, in cui possono trovare spazio oltre ad alcuni servizi decentrati dei comuni (assistente sociale, anagrafe, ecc.) anche i locali di “collaborazione civica” in cui i Silver, per la maggior parte pensionati, possono offrire alla comunità una serie di servizi gratuiti. A rotazione in questi locali si alterneranno medici, avvocati, esperti fiscali, ingegneri, architetti, geometri, periti, e tutte le altre professioni che potranno fornire alla popolazione aiuti, informazioni sulla vita quotidiana a partire dai rapporti con la Pubblica Amministrazione fino a quelli con banche, assicurazioni; ma anche aiuti forniti da psicologi, nutrizionisti, sportivi, per vivere in buona salute; oltre alla infermeria, dove trovare anche chi possa farti una semplice puntura o una piccola terapia o le medicazioni necessarie offrendo anche medicinali con scadenze brevi  raccolti in settimana dai collaboratori civici. Ma anche artigiani, giardinieri, edili che possono dare piccoli aiuti a famiglie di giovani e a anziani soli e fare manutenzione di quartiere del verde e degli spazi pubblici, curare parchi, gestire orti sociali, segnalando alle autorità comunali particolari problemi di traffico e sicurezza. 

La "casa di quartiere" così come l’abbiamo ipotizzata, realizzata in edifici non utilizzati e/o dismessi, opportunamente ristrutturati, dovrebbe prevedere locali notturni e diurni, camere, uffici, cucine e quanto serve; la ristrutturazione potrebbe essere realizzata dal Comune con il contributo di privati, lasciti, e finanziamenti provenienti dalle fondazioni locali. L’edificio dovrebbe ospitare piccoli uffici (una decina di locali) per le consulenze o le “visite” dei professionisti senior, ma non solo. Oltre a questi locali ci saranno anche spazi di relax e di relazione, dove i cittadini, in particolare i Silver, possono trovare ospitalità diurna per giochi, lettura, piccoli eventi culturali, lezioni, corsi per la “terza età”; ma anche una grande cucina dove, con la raccolta di cibi in scadenza ritirati dai senior ogni sera dai vari negozi di quartiere (riducendo tra l’altro i rifiuti con enormi risparmi per la collettività considerando che spesso si tratta di rifiuti speciali) si può cucinare, rendere più economica e sociale la vita dei senior, soprattutto quelli soli o con qualche problema di salute. Per questi ultimi si possono prevedere alcune camere a rotazione in cui persone sole possano trovare ospitalità e assistenza. 

Insomma, una sorta di casa da frequentare per necessità e per svago. Dove incontrare persone del quartiere, assistere a conferenze, dibattere e trovare il modo di risolvere alcuni problemi quotidiani. Una “casa” adatta anche a tenere corsi di formazione (per esempio l’uso adeguato delle nuove tecnologie), di formazione (per esempio per gli immigrati) e di doposcuola per i bambini e gli studenti che ne necessitano, realizzate dai collaboratori civici, direttamente in sintonia con le autorità comunali. Ecco che all’occorrenza possono esserci ingegneri, architetti, geometri, avvocati, manager esperti di gestione, insegnanti scolastici e professori universitari, oppure imbianchini, elettricisti, carpentieri, coltivatori, artigiani disponibili pronti a dare una mano a chi ne ha bisogno, senza dimenticare, ovviamente, medici e infermieri. E senza dimenticare la "vigilanza sul territorio" che in altri Paesi funziona assai bene. I collaboratori civici possono così diventare gli “occhi” dell’Amministrazione affinché nel quartiere non si sviluppino attività fuorilegge e quindi migliorare la "vigilanza sul territorio". [...]

Per evitare fraintendimenti è bene precisare che la nostra idea dei "collaboratori civici” e della "casa del quartiere" in cui opereranno, è solo una proposta, un esempio offerto alle amministrazioni locali e nazionali, consapevoli che si tratta di un progetto complesso da realizzare e che presuppone la partecipazione fattiva di tutti; dalle amministrazioni locali ai cittadini, compresi i collaboratori civici dalle diverse professionalità ed esperienze lavorative, uniti per realizzare un progetto ambizioso e di gestirlo al meglio nell’interesse della comunità. Ovviamente non è il solo esempio; si possono trovare anche altre soluzioni. 
 

Il ruolo delle amministrazioni comunali 

Tuttavia, proseguendo nella nostra proposta, per implementare tutto ciò abbiamo immaginato, giusto per rafforzare l’idea, una organizzazione che potrebbe stimolare la partecipazione individuale alla “collaborazione civica” garantendo assistenza giuridico-amministrativa e quant’altro serva per affiancare i promotori di questi progetti. A nostro avviso, il Comune è il livello più adatto per la sperimentazione, che può essere realizzata nei piccoli comuni o nelle strutture decentrate dei comuni maggiori. La forma cooperativa può essere la forma societaria più naturale chiamata a raccogliere con i soci le persone disposte a prestare la propria attività e a organizzarne le modalità di svolgimento. I settori di attività potranno essere determinati sulla base dei bisogni collettivi legati al territorio, all’ambiente, alla domanda sociale.

Come per tutte le cose nuove, la fase applicativa richiederà competenze adatte in particolare alla soluzione di problemi giuridici in termini di relazione con le forme di lavoro remunerato o volontario di assetto dei controlli, di garanzia di legalità. L’esperienza porta però a sapere che le questioni tecniche sono, per definizione, risolvibili. Le risorse per sostenere i costi di avvio e per concorrere al necessario equilibrio gestionale non dovrebbero mancare. Esse potrebbero venire anche dalla sostituzione di erogazioni esistenti che si sono mostrate inefficaci o superate come le forme di sussidi, aiuti, detrazioni fiscali corporative che hanno svolto una funzione talora importante ma che oggi appare inadeguata perché la natura del problema sociale è cambiata.

Una parte importante della società chiede oggi strumenti di inclusione e di partecipazione, non solamente di aiuto. Per questo, coinvolgere gli anziani in forze e in salute capaci di una pensione e sprovvisti di un impegno può generare esperienze capaci di ottenere effetti di inclusione sociale e di vantaggio economico mutuati dall’Economia di comunione e dell’Economia civile che indicano le vie da percorrere per creare utilità che sfuggono ai criteri della contabilità nazionale, ma sono concretamente portatrici di benessere individuale e collettivo. Si tratta di lavoro organizzato per produrre beni e servizi destinati non necessariamente al mercato, ma utilizzati in forme diverse, con il criterio della gratuità, per conseguire il miglioramento della vita delle persone. Si potrebbe immaginare, al solo scopo propositivo, che un comitato provvisorio formato dai promotori della "casa" e da rappresentanti della struttura tecnica del municipio, per un periodo di qualche mese gestisca la fase costitutiva della associazione/cooperativa sociale inserita magari nel Terzo Settore, dove successivamente gli iscritti eleggono un “comitato di gestione” e un “comitato esecutivo” con deleghe su ciascuna materia cui partecipano anche tecnici (non politici) nominati dal Comune e da soggetti e fondazioni partecipanti.

Le "case" potrebbero pagare un minimo di affitto al Comune o al soggetto proprietario dell’immobile considerando la ristrutturazione e la funzione sociale; avrebbero un loro bilancio no profit pagando tutte le utility (luce, riscaldamento, acqua, rifiuti e così via), finanziato dalla piccola quota associativa e da un contributo per ogni consumazione,  oppure con i servizi di manutenzione aiuole e verde pubblico e altro, [...]. Insomma, una casa del fare non dell’assistenza. L’importante è la laicità e la non appartenenza politica di queste "case" che potranno altresì collaborare con le organizzazioni di volontariato e sociali presenti sul territorio. Milano in uno dei suoi quartieri potrebbe essere il primo esperimento italiano di “collaborazione civica” grazie alla mobilitazione, già preannunciata, di associazioni professionali.

E pensare che nel costruire il progetto iniziale eravamo partiti dall’idea di far stare insieme tra loro i “vecchietti” per superare la solitudine e le ansie della terza e quarta età ma poi ci siamo resi conto che c’era tanto altro: partecipazione sociale nella comunità fatta da giovani, anziani, famiglie. Tanti potenziali risparmi di spesa per il Comune che potrebbe ampiamente compensare i costi dell’iniziativa. 

A cura di Ezio Chiodini e Alberto Brambilla,
con la collaborazione di 
Carlo Buora e Roberto Mazzotta
 

3/8/2022


[1] Il professor Francesco Antonini fu il primo ad avere una cattedra di gerontologia al mondo (Università di Firenze); fu geriatra e gerontologo di fama mondiale e da molti ritenuto il “nume della libera età”, cioè la terza fase della vita, da non considerare vecchiaia perché, come diceva, si è vecchi solo quando non si è più autosufficienti perché colpiti da gravi patologie o da altre infermità.

 

 
 

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