Le "falsità" sui migranti

Se i numeri ne certificano il fallimento sul piano quantitativo, la recente sanatoria fortemente voluta dal Ministro Bellanova non sembra aver centrato i propri obiettivi neppure sul fronte qualitativo: in sottofondo, una narrazione del fenomeno migratorio basata su assunti spesso infondati e destinati a generare politiche controproducenti per gli stessi migranti 

Alberto Brambilla e Natale Forlani

La sanatoria voluta con le lacrime dalla Ministra Teresa Bellanova si sta rivelando un fallimento, peraltro annunciato: bastava infatti leggere quello che è successo in passato. Non dubitiamo, conoscendone la storia, dei buoni propositi della Ministra delle Politiche agricole, ma quando si governa non bastano i buoni sentimenti.

L’andamento delle domande per la regolarizzazione dei rapporti di lavoro ricalca gli esiti della precedente sanatoria del 2012, promossa dal governo Monti, e che ha ispirato l’impianto normativo attuale. L’87% delle domande di regolarizzazione perfezionate, circa 98mila su 112mila, riguardano rapporti di lavoro domestico destinati a immigrati provenienti in grande prevalenza dal Bangladesh, Marocco, Albania, Cina, India, Pakistan, Egitto e altri Paesi centro-africani. Persone che con il lavoro domestico hanno poco a che fare. Viceversa, la componente delle domande provenienti dai Paesi storicamente più significativi per le colf e badanti, quelli dell’est Europa, Perù e Filippine rappresentano solo il 24% circa. Per contro, le domande di regolarizzazione per il settore agricolo, cioè l’obiettivo principale della sanatoria, per compensare le carenze di manodopera legate al mancato ingresso dei lavoratori stagionali comunitari, sono solamente 14.251. 

Numeri che riproducono gli esiti della sanatoria del 2012 quando la grande maggioranza delle regolarizzazioni per le colf e le badanti ha riguardato lavoratori maschi, per rapporti di lavoro a orario ridotto e che si sono dissolti subito dopo il rilascio dei permessi di soggiorno. Numeri ancora lontani dall’obiettivo del governo di oltre 200mila regolarizzazioni, tant’è che lo stesso governo con il recente D.L. n.52 ha disposto una proroga di un mese per la scadenza della presentazione delle domande.

Ma, al di là del dato quantitativo, l’efficacia del provvedimento dovrebbe essere valutata rispetto agli obiettivi che erano stati prefigurati: oltre a quello citato di reperire i lavoratori stagionali, quello di sottrarre i lavoratori irregolari dallo sfruttamento delle mafie e dei caporali e ridurre i rischi sanitari di questi “invisibili”. Su quest'ultimo obiettivo il dispositivo varato dal governo ha rinviato il tema alla potestà delle regioni. Il sostanziale fallimento delle prime due finalità era già stato preannunciato dalle associazioni degli imprenditori agricoli. Un esito del tutto scontato nell’ambito dei settori caratterizzati da rapporti di lavoro di breve durata e con una elevata mobilità del lavoro incompatibili con i tempi di gestazione delle sanatorie e non convenienti per i datori di lavoro di quasi tutti i comparti delle attività economiche che impiegano immigrati. Una situazione evidente nei numeri delle comunicazioni obbligatorie relative agli avviamenti dei nuovi rapporti di lavoro nel corso del 2019, circa 2,2milioni, oltre la metà dei quali di durata inferiore ai 3 mesi su una media di 2,5 milioni di occupati rilevata dall’Istat. Inoltre, nel lavoro stagionale agricolo le regolarizzazioni sono ostacolate dai “caporali” delle medesime etnie dei lavoratori sfruttati che intermediano le loro prestazioni. Una condizione che dovrebbe essere repressa con l’adozione di massicci interventi delle autorità ispettive, non certo con i condoni evocati dalle associazioni per l’accoglienza degli immigrati.  

La morale è che gli obiettivi governativi sono falliti perché è ormai provato che le sanatorie non servono per far emergere lavoro irregolare ma vengono utilizzate solo per ottenere permessi di soggiorno. Per questa finalità il rapporto di lavoro domestico, soprattutto per i maschi che non hanno alcuna intenzione di svolgere il ruolo di collaboratore familiare o di badante, rappresenta il veicolo ideale in quanto non richiede particolari vicoli sia per l’avviamento che per la risoluzione del contratto di lavoro. E perché risulta praticamente impossibile per le amministrazioni controllare la congruità di queste prestazioni. Il tutto tramite organizzazioni il cui scopo è di gestire la redazione di queste pratiche individuando nuclei familiari disponibili, non di rado stranieri delle stesse etnie dei regolarizzati. Per non farci mancare nulla, il Ministero dell’Interno - per le certificazioni della presenza nel territorio nazionale - ha disposto l’accettazione delle dichiarazioni rilasciate sia dai consolati dei Paesi di origine sia quelle delle associazioni di accoglienza degli immigrati. Il rilascio dei permessi di soggiorno, indipendentemente dalla condizione effettiva di un rapporto di lavoro, comporta un aumento delle persone immigrate in cerca di lavoro; una situazione che non ha creato particolari problemi per le sanatorie varate negli anni di crescita della economia, del 2002 e del 2006, con un ciclo economico favorevole e una forte espansione della popolazione attiva immigrata. Ma che nei periodi di grave crisi economica, come è avvenuto con le sanatorie del 2009 e del 2012, ha contribuito sensibilmente all’aumento del tasso di disoccupazione degli immigrati, dal 7% al 17%, e di quello degli inattivi e delle persone a carico per via del contemporaneo aumento della popolazione dovuto alle ricongiunzioni familiari.

La situazione descritta e gli effetti della crisi economica spiegano il progressivo impoverimento dei nuclei familiari composti da persone di origine straniera nel corso dell’ultimo decennio: l’Istat stima la condizione di povertà assoluta per il 30% delle persone immigrate e addirittura il 66% sommando quelle a forte rischio di impoverimento. Una condizione legata alla elevatissima incidenza dei contratti a termine, del lavoro a part-time, mansioni di bassa qualificazione che caratterizza i settori dei servizi, delle costruzioni e dell’agricoltura dove opera la stragrande parte degli immigrati irregolari. Proprio quelli predestinati a subire le maggiori conseguenze della crisi post pandemica.

Per questo è del tutto incomprensibile come nel nostro Paese, di fronte a tali evidenze, rimanga prevalente una narrazione del fenomeno migratorio basata su tre assunti palesemente infondati: che esista una domanda di lavoro con bassa qualificazione eccedente l’offerta disponibile; che tale domanda possa essere soddisfatta solo con l’ingresso di nuove corti di immigrati, e che tutto questo sia fondamentale per favorire un riequilibrio demografico e la sostenibilità delle prestazioni sociali. Narrazioni infondate che generano politiche sbagliate destinate a peggiorare le condizioni di lavoro e di vita degli stessi immigrati.

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

Natale Forlani, Comitato Tecnico Scientifico Itinerari Previdenziali 

22/7/2020

L'articolo è stato pubblicato su Libero Quotidiano del 22/7/2020
 
 
 

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