Le ragioni del successo del welfare aziendale

La diffusione del welfare aziendale in Italia è così significativa da potersi definire inarrestabile: un fenomeno che non può essere spiegato solo con l'arretramento del welfare pubblico e i - pur positivi - recenti provvedimenti legislativi in materia

Emmanuele Massagli

La crescita del welfare aziendale è oramai un dato certo, tanto tra le grandi quanto tra le piccole imprese, sia al Nord che al Sud Italia, nei settori industriali così come in quelli dei servizi.

Poco prima dell’estate era circolata una capziosa polemica sui costi per lo Stato dell'esenzione da reddito del lavoro previste per i beni, i servizi e le prestazioni di welfare. La migliore risposta a critiche di questo genere, sovente giustificate da preoccupazioni di natura lobbistico/commerciale più che scientifica, è l’incessante diffusione dei piani di welfare aziendale nei luoghi di lavoro. Non c’è giorno nel quale non siano raccontati nuovi accordi sindacali, contenenti disposizioni originali e soluzioni sempre più adeguate ai bisogni dei dipendenti. I numeri del welfare (oltre 100.000 imprese coinvolte e quasi 2.500.000 lavoratori di imprese private beneficiari di piani di valore medio attorno ai 700 euro – Fonte AIWA) sono eccessivi per essere giustificati soltanto da opportunismo fiscale.

Certamente vi sono casi di progetti nati con un occhio più al bilancio che al benessere dei dipendenti e AIWA è in prima linea nel condannare utilizzi distorti di questo genere. Se si guarda ai dati, però, questi casi sono minoranza in un panorama di sempre maggiore coscienza dei benefici derivanti dall'approvazione dei piani di welfare. Benefici non solo per l’impresa, ma, soprattutto, per le persone coinvolte e, non da ultimo, anche per lo Stato, che vede rimborsato con gli interessi l’investimento fatto prevedendo l’esenzione dalla tassazione: il welfare aziendale, infatti, attiva un indotto che genera maggiore lavoro, più IVA, minori spese per servizi pubblici (quindi, anche una razionalizzazione del welfare di primo pilastro) e una rilevante emersione del nero.

Ecco spiegato il gradimento verso la normativa dei cosiddetti benefici di utilità sociale risalente agli anni Ottanta e ampliata nel 2016, 2017 e 2018 mediante le Leggi di Bilancio.

Attenzione quindi a non cadere nella tentazione di spiegare il successo del welfare aziendale con categorie del passato, in particolare correlandolo soltanto al costante arretramento del welfare pubblico: siccome lo Stato non è più capace di garantire previdenza, sanità e benessere sociale, questo compito è stato indirettamente affidato ai privati. Altrettanto incompleto è il giudizio di chi riduce la giustificazione dei numeri del welfare a un mero dato finanziario ed economico: c’è la crisi. È una risposta evergreen e anche in questo caso può apparire convincente: non riuscendo le imprese a concedere aumenti ai propri dipendenti, allora riconoscono loro beni e servizi sui quali risparmiano le tasse dovute allo Stato. Non si tratta di posizioni infondate, anzi, entrambe hanno del vero. Tuttavia, non sono in grado di spiegare la crescita di questo istituto.

È molto più comprensiva dei tanti fattori in gioco la posizione di chi ritiene che stia cambiando la natura del rapporto di lavoro in tutto il mondo occidentale e il welfare ne sia prova e conseguenza. Abbiamo tanti segnali di questa rivoluzione in atto: mutamento delle professioni (dal “mestiere” alla “professionalità”), la crescita del lavoro a distanza (smart working a risultato), la nascita dei cosiddetti nuovi lavori e la tecnologizzazione di quelli tradizionali (Industry 4.0). Sono situazioni nelle quali la retribuzione smette di essere soltanto monetaria e incomincia a ricomprendere, per volontà congiunta dell’impresa e del lavoratore, anche beni e servizi.

Così inteso, il welfare aziendale è un fenomeno (se non un processo o addirittura un sistema) inarrestabile, che non è generato da alcuna riforma legislativa e non è conseguenza delle crisi, siano esse dello Stato Sociale o economiche. Un fenomeno che merita di essere sempre di più studiato, praticato e, di conseguenza, migliorato.

Emmanuele Massagli, Presidente AIWA 

7/11/2019

 
 

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