Più immigrati, o più italiani, che lavorano

La demografia, e la necessità di "tutelare" i tassi di occupazione del nostro Paese, rappresentano per molti commentatori una leva per l'aumento dei flussi migratori. Un'analisi più accurata dei dati evidenzia però come i potenziali lavoratori non manchino all'appello, pur restando ai margini del mercato, anche per colpa di uno Stato eccessivamente assistenzialista

Alberto Brambilla

Da più parti, anche molto autorevoli, a causa dell'invecchiamento della popolazione e della bassa natalità, si ritiene assolutamente necessario per il nostro Paese un aumento del numero di immigrati. In astratto, il principio più immigrati perché nei prossimi 20 anni si ipotizzano 5 milioni in meno di persone in età da lavoro (non però nel 2030, come allarmisticamente affermato da alcuni), potrebbe anche reggere, ma la realtà italiana è più complessa e richiede un "supplemento di ragionamento".

La prima considerazione riguarda inevitabilmente i tassi di occupazione anche perché siamo proprio ultimi nelle classifiche Eurostat e OCSE. Infatti, nonostante il record nell’occupazione totale (63% circa) raggiunto dall'Italia in questi ultimi mesi, siamo sempre 8 punti meno della media europea, anch'essa in crescita: ci mancano quindi oltre 3 milioni di lavoratori per essere in media UE e altri circa 3 milioni per raggiungere la Germania  e i nostri competitor del nord Europa. È un caso ma i 5 milioni di lavoratori ci mancano oggi, proprio quando ne abbiamo estremo bisogno, mentre probabilmente tra 25 anni potrebbero non servire più. Va ancora peggio per il tasso di occupazione femminile che, malgrado il record, è sotto ancora di 12 punti rispetto alla media UE e addirittura del 20% rispetto ai Paesi del Centro/Nord Europa; rispettivamente, 15 e 30 punti in meno per l’occupazione 15/24 anni. Per i lavoratori tra i 55 e 64 anni, nonostante le riforme delle pensioni "lacrime e sangue" solo 57 su 100 lavorano contro i 64 della media UE e i 74 dei citati Paesi. Insomma, abbiamo 38 milioni di connazionali in età da lavoro ma le aziende faticano a trovare manodopera.

A questo punto scatta la seconda considerazione: difficile credere ai dati sulla povertà che indicano in 5,8 milioni i poveri assoluti (quelli che non arrivano alla terza settimana del mese e non si curano) e altri 8,7 di poveri relativi che faticano ad arrivare a fine mese. 14,5 milioni di italiani su meno di 59 milioni? Quasi il 25% di connazionali disperati? Se così fosse, pur di mangiare e far vivere dignitosamente la propria famiglia, dovremmo avere qualche milione di persone che fanno la fila per accettare un lavoro, quale che sia; e invece operai e impiegati, anche ai bassi livelli, non si trovano mentre le file si fanno alle mense per poveri dove, oltre a pranzo e/o cena, si può beneficiare anche del "pacco spesa". Ma perché, malgrado una spesa assistenziale mostruosa e fuori controllo, i poveri aumentano? Con una spesa di 73 miliardi nel 2008 i poveri assoluti e relativi erano rispettivamente 2,1 e 5,6 milioni; oggi spendiamo 167 miliardi e i poveri si sono moltiplicati (5,8 e 8,7 milioni). Allo stesso tempo, è esploso l'ISEE tanto che, nel 2024, 30 milioni di italiani hanno presentato la domanda (più della metà della popolazione in cerca di assistenza!); dai dati sembriamo un Paese in via di sviluppo! 

E qui scatta la terza considerazione visto che, se non ci fossero gli immigrati, bar, ristoranti, alberghi, trasporto a domicilio di cibo, pacchi e altre amenità, pulizie, badanti e così via, il Paese si bloccherebbe di colpo. Non sarebbe meglio ridurre i sussidi di ogni tipo a chi può lavorare e non lo fa, perché se lavora regolare perde bonus, agevolazioni scuola, bollette e tutte le altre assistenze compreso il ricco AUUF e lavorare in chiaro rende meno che stare a casa? Forse è per questo che abbiamo il record di lavoratori in nero, oltre 3 milioni? Una maggiore selettività nei bonus ci aiuterebbe a superare il tasso di occupazione: non dico di Germania o Olanda ma almeno di Grecia e Malta. Quindi, è lo Stato a creare una serie di "incentivi impliciti" al non lavoro, perlomeno quello in chiaro! Se per esperimento sospendessimo per due o tre anni l'ISEE, sarebbe più che probabile che i 5 milioni di lavoratori li troveremmo. 

Infine, un’ultima considerazione: abbiamo ancora bisogno di nuovi immigrati oppure ce n’è già un buon numero? Pare che (ma le stime sono scarse) gli immigrati regolari siano circa 5,6 milioni; quelli che negli ultimi 11 anni hanno ottenuto la cittadinanza italiana sono circa 1,6 milioni (217 mila nel solo 2024), mentre gli irregolari e quelli con permesso temporaneo (che in Italia significa permanente, come tutte le cose provvisorie) sono circa 600mila. Un totale di 7,8 milioni su circa 59 milioni di abitanti fa il 13,2% in media ma a Milano sono probabilmente più del 20%. Non è un rischio sociale una così forte immigrazione in pochi anni? Quello che succede in Francia e Germania non ci insegna nulla? E veniamo ai fatidici meno 5 milioni di lavoratori nel 2045/50. Intanto, continuiamo a calcolare le persone in età da lavoro a 65 anni ma è più che probabile che già nel 2030 l'età pensionabile sia sopra i 67 anni, quindi avremmo due coorti in più da conteggiare tra gli attivi e due in meno tra i pensionati. E poi le donne: ne lavora il 52%, arrivare almeno al 60% non dovrebbe essere un problema. Infine, se saremo 4 milioni in meno di abitanti, occorreranno meno lavoratori con profili medio-bassi, mentre con piani di invecchiamento attivo e contratti che prevedono un’evoluzione delle mansioni in funzione dell'età e con una buona formazione continua, potremmo meglio “utilizzare” gli over 60 con loro e nostra soddisfazione. 

Ma poi un'ultima domanda: quanti lavori inutili (a volte pure dannosi) ci sono oggi? Ha senso avere 70 canali che trasmettono 24 ore su 24 alimentati dalla pubblicità spesso inutile, se non pericolosa come il gioco d'azzardo, il lusso, i film o i videogiochi che allontanano dalla vita reale e creano un mondo di illusioni? Di quanti lavoratori di attività inutili potremmo fare a meno? Tanti: oltre un milione! E il PIL che crolla se la popolazione si riduce ha senso? Certo che no! Non siamo mica in gara; quello che conta è far di tutto per aumentare il PIL pro capite, con nuovi contratti di lavoro, applicando tutte le tecnologie (esoscheletri compresi) e tanta formazione per consentire di lavorare qualche anno in più. Ridurre l'immigrazione irregolare che lavora in nero e fa concorrenza agli altri lavoratori, immigrati regolari compresi, significa incassare più tasse e contributi e consentire stipendi più adeguati; incentivare gli investimenti significa migliorare la produttività e, quindi, di nuovo i salari riducendo il fabbisogno di forza lavoro. Puntare solo su un aumento dell'immigrazione trascurando le debolezze italiche attuali non è certamente la strada migliore. 

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

26/6/2025

L’articolo è stato pubblicato sul Corriere della Sera, L’Economia del 23/6/2025
 
 
 

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