Riforma fiscale sì, ma attenzione ai dati sulla redistribuzione!

La spesa pubblica totale nel 2021 è stata di 871 miliardi, pari a 14.561 euro per abitante: solo il 5,01% dei cittadini versa però un'IRPEF superiore ai 15mila euro, sufficiente quindi a coprire le principali funzioni statali. Alla luce di questi dati, ha davvero senso parlare di riduzione del carico fiscale e di redistribuzione per mitigare le disuguaglianze? 

Alberto Brambilla

È vero, la ricchezza di un Paese dovrebbe essere prodotta da imprenditori, aziende, lavoratori e cittadini, non dallo Stato. A quest’ultimo compete una parte di questa ricchezza prodotta che, sotto forma di imposte, come un buon padre di famiglia, ha il compito di redistribuire a quella parte della popolazione che è in condizione di bisogno, necessità e rischio (per utilizzare una definizione di welfare state). Nel far questo lo Stato non deve opprimere con un eccessivo peso fiscale chi produce e chi lavora eliminando il più possibile anche complessità e burocrazia. Questo, in estrema sintesi,è il pensiero della Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni, espresso in occasione della presentazione alla Camera dei Deputati della riforma fiscale. Tutto condivisibile e da sottoscrivere, ma…

Se da queste ottime enunciazioni passiamo a quello che effettivamente oggi avviene nel nostro Paese, qualche riflessione occorre pur farla, anche perché tra TIR (Trattamento Integrativo del Reddito, l’ex bonus Renzi ampliato), decontribuzioni, Assegno Unico Universale per i Figli, aumento delle pensioni minime per quel quasi 47% di pensionati che in 67 anni di vita ha contribuito con tasse e contributi poco o nulla, il livello di assistenza sociale è degenerato e ha perso le connotazioni per cui era stato progettato. Per usare la definizione del padre del moderno welfare state, Sir William Henry Beveridge: «​Lo Stato nell’organizzare la sicurezza non dovrebbe soffocare l’incentivo, l’opportunità, la responsabilità e nello stabilire un minimo nazionale, dovrebbe lasciare spazio e incoraggiamento per l’azione volontaria da parte di ogni individuo per provvedere più di quel minimo per sé stesso e per la propria famiglia».

Quindi, per tasse, redistribuzione ed eccesso di assistenza, qualche scomoda domanda - supportata sempre dai numeri risultanti dalle elaborazioni dei dati dell’Agenzia delle Entrate, del MEF e dell’Istat - va pur fatta. Il primo interrogativo da porsi è: “Quanto denaro viene redistribuito in Italia e a chi”? Sulla base delle fonti citate è possibile calcolare il valore della redistribuzione per l’anno 2021, ultimo dato fiscale disponibile. Iniziamo con la sanità, la cui spesa totale nel 2021 è stata di 117,834 miliardi, pari a 1.989 euro per ogni cittadino italiano (pro capite). Per garantire i servizi sanitari al 55,75% di italiani che in totale versano 12,9 miliardi di IRPEF, occorrono 52,749 miliardi che sono a carico soprattutto del 13,94% della popolazione che dichiara redditi da 35mila euro in su e che versa il 62,5% dell’IRPEF, mentre il restante 30,32% è quantomeno autosufficiente per la sanità che costa, compresa la quota della persona a carico, 2.838 euro contro un'imposta media pagata, al netto del bonus, di 4.191 euro (il rapporto è di 1 contribuenti ogni 1,427 abitanti). Poi viene la spesa per assistenza sociale a carico della fiscalità generale che, nel 2021, è ammontata a 144,215 miliardi pari a 2.434,57 euro pro capite: un pro capite tutto teorico e sottostimato in quanto non ne beneficiano i redditi sopra i 35mila euro e che serve per garantire tutte le assistenze alla famiglia, ai soggetti privi di reddito, ai pensionati assistiti (circa il 47% dei 16,1 milioni di pensionati), ai disoccupati e agli invalidi con bonus, sussidi e reddito di cittadinanza. Per finanziare la parte di spesa non coperta dal 42,59% degli italiani senza redditi e da quelli che versano un'imposta inferiore a 4.424 euro (sanità più assistenza fanno 4.424 euro) occorrono altri 78,19 miliardi che sono a carico prevalentemente del solito 13,94%, cioè di 5,783 milioni di contribuenti pari a 8.254.759 di cittadini, e in parte del 22,10% che, autosufficiente per la sanità con un'imposta media di 2.935 euro, concorre all’assistenza per il 39%, cioè 946 euro su 2.435, lasciando il resto ai contribuenti di fascia più elevata. Si potrebbe proseguire ma ci fermiamo all’istruzione, una spesa pari al 4,1% del PIL, che vale circa 73,1 miliardi con un costo pro capite di 1.233 euro, questa volta a totale carico del 13,94%, per una redistribuzione pari a 62,9 miliardi.

Per queste sole tre funzioni, seppur di rilevante importo (le pensioni sono escluse in quanto quelle vere pagate dai contributi sono in equilibrio), la redistribuzione totale è pari a 193,84 miliardi su circa 598,941 miliardi di entrate al netto dei contributi sociali (dato relativo al DEF 2021), di cui 253 miliardi di imposte dirette (il valore è relativo ai redditi 2021). In pratica, viene redistribuito il 75,6% di tutte le imposte dirette  che va totalmente a beneficio del citato 55,75% di popolazione; poi c’è tutto il resto: ordine pubblico, giustizia, amministrazione, viabilità, etc, tutto a carico di pochi cittadini e del debito pubblico che ogni anno aumenta spaventosamente tra la totale indifferenza. È un'enorme ricchezza di cui i cittadini beneficiari probabilmente non si rendono nemmeno conto sentendo i politici che continuano a proporre sussidi e parlare di disuguaglianze al solo scopo di poter promettere ulteriori agevolazioni per guadagnare consensi elettorali.

Facendo la riprova, sulla spesa pubblica totale pari, per il 2021 a 871,003 miliardi, la spesa pro capite è di 14.561 euro per abitante ma solo il 5,01% dei cittadini versa un’IRPEF da 15.042 a 177.701 euro e sarebbe quindi più che autosufficiente. Se si considera che le restanti imposte dirette (IRES, IRAP e ISOST) sono prevalentemente a carico di poco più del 13% dei contribuenti e che le imposte indirette sono proporzionate ai redditi dichiarati, la percentuale di redistribuzione aumenta ancora. Ma non c’è solo una redistribuzione tra cittadini ma anche tra zone geografiche: solo a titolo di esempio la Lombardia con, circa 10 milioni di abitanti, versa più IRPEF di tutto il Mezzogiorno (8 Regioni e oltre 20,2 milioni di abitanti).

Alla luce di questi dati, ha ancora senso parlare di riduzione del carico fiscale e di redistribuzione per mitigare le disuguaglianze? O sarebbe forse meglio aumentare i controlli, parlare di doveri - e non solo di diritti - e “prendere in carico” i cittadini che si dichiarano bisognosi (5,6 milioni di poveri assoluti e 8,6 di poveri relativi) e assisterli al fine di farli uscire dalla povertà? Voglio essere provocatorio: se si vuole ridurre la povertà (finta) e aumentare di 1 milione quelli che lavorano, sospendiamo per due anni l’ISEE... Reddito di cittadinanza docet: +650mila nuovi occupati!

Alberto Brambilla, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

27/5/2024 

 
 

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