Ultimi per tasso di occupazione ma mancano i lavoratori

E se a mancare non fosse il lavoro ma la politica? Sussidi, ristori e reddito di cittadinanza sono gli emblemi di un paradosso tutto italiano: il nostro Paese è ultimo per tasso di occupazione, eppure con il giusto incontro tra domanda e offerta di posti disponibili molte imprese avrebbero margine per crescere

Alberto Brambilla

I progetti per le nuove infrastrutture, quelli per le energie rinnovabili, per i trasporti e la mobilità sostenibili previsti dal PNRR non sono ancora partiti, eppure nel nostro Paese non si trova un'impresa edile che sia disponibile a iniziare anche un piccolo lavoro. La risposta è standard: non si trovano muratori, specializzati edili, elettricisti, idraulici, impiantisti, termotecnici, responsabili di cantiere e così via; tutti i pochi che hanno finito, o stanno finendo la scuola edile, sono già iper prenotati.

Sono bastati i bonus ristrutturazione, risparmio energetico e il super bonus 110% per saturare la nostra esangue forza lavoro. Il turismo non è ancora partito, gli stranieri ci stanno ancora pensando e già mancano cuochi, camerieri e personale per la ristorazione e gli alberghi. Sono bastati un lockdown (non una guerra) e la riapertura nelle zone gialle e bianche per mettere a nudo una pericolosa carenza di lavoratori di settore; anche qui, i pochi iscritti alle scuole professionali, turistiche e alberghiere (nel Paese in cui il turismo è un asset strategico) sono tutti prenotati. E che dire poi del settore manifatturiero che non trova tecnici specializzati o il settore artigianale che non riesce a trovare i rimpiazzi quando gli anziani artigiani decidono di pensionarsi. Tutti posti sicuri e ben remunerati ma che non vengono occupati per carenza di professionalità richiesta e per la mancanza di un sistema intelligente di incontro tra domanda e offerta di lavoro.

Le soluzioni escogitate dalla nostra classe politica sono i navigator, il decreto Dignità e tanti soldi distribuiti tra cassa integrazione, sussidi, pensioni di cittadinanza, reddito di emergenza e prepensionamenti. Certo, lo comprendono tutti che è più facile distribuire danaro, che peraltro porta molti consensi come accaduto per il reddito di cittafinanza, piuttosto che progettare un efficiente sistema di incontro tra domanda e offerta e far funzionare gli inefficienti Centri per l’Impiego; è complicato modernizzare la scuola troppo sindacalizzata e con docenti che nelle nuove materie, soprattutto tecniche, non hanno alcuna dimestichezza. Ci sono più consensi dei suddetti a parlare di “classi pollaio". E così tra scuola professionale inesistente (evitiamo per pietà il confronto con Germania e Francia), con mancanza di indirizzi scolastici coerenti con le necessità produttive del Paese, e una politica del lavoro totalmente insufficiente soprattutto negli ultimi 4 anni, ma anche molto prima, le soluzioni sono il blocco dei licenziamenti (unico Paese tra i 28) e la cassa integrazione gratuita, oltre a NASpI e sussidi.

Eppure, secondo Excelsior-Unioncamere, sarebbero disponibili già oggi circa un milione di posti di lavoro. Addirittura, la stessa indagine prevede che entro il 2024 occorreranno tra 1,2 e 2 milioni di lavoratori nel settore privato e 720mila per il pubblico. Dati molto differenti secondo l’ANPAL (meno di 50mila posti disponibili), ma visti i risultati di questa agenzia sarebbe un bene chiuderla. I motivi sono molti: gli italiani non vogliono più fare determinati lavori tipo giardinieri, saldatori, operai, camerieri. Mancano poi le professionalità richieste, mentre c’è abbondanza di laureati triennali o magistrali in materie belle ma con scarsi sbocchi occupazionali: scienza delle comunicazioni, scienze politiche, beni culturali, lettere, ecc. D’altra parte molti di questi giovani hanno una laurea (seppure con scarsissime possibilità di impiego) e, quindi, si sentono sottooccupati nell’accettare questi lavori. E così l’Italia si trova all’ultimo posto con la Grecia nelle classifiche per occupazione totale (58% contro la media UE del 68% e oltre il 75% dei Paesi del nord Europa), per occupazione femminile (49% contro 63% UE e 75% del nord Europa) e giovanile, dove siamo addirittura alla metà rispetto alla media UE e a distanza stellare rispetto ai Pesi più virtuosi.

E, guarda caso, dove l’età effettiva di pensionamento è più alta, maggiore è l’occupazione giovanile: un monito per la prossima revisione delle età di pensionamento. In Italia i cittadini in età da lavoro sono circa 36,5 milioni ma quelli che lavorano sono 22,5 milioni, che fanno gli altri 14 milioni? Tolti gli inabili, le persone che svolgono lavori di cura e domestici e l’ipotetico milione di impiegati nelle quattro organizzazioni malavitose di cui l’Italia è esportatrice netta, mancano all’appello molti milioni. Infatti, siamo i primi nella classifica europea per i NEET tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano ma mangiano e telefonano, con 2.116.000 milioni, secondo gli ultimi dati dell’Istat: qui sbaragliamo anche la Grecia (24% Italia contro il 21% della Grecia, l’8% della Germania e il 6% di Olanda e Svezia). Poi ci sono i disoccupati che secondo Eurostat erano 2 milioni e 479mila nel 2019. Infine i lavoratori in nero, molti di più da quando i voucher sono stati eliminati.

A fronte di quest'insostenibile situazione siamo sicuri che a breve ricomincerà la richiesta di maggiore immigrazione perché gli italiani non fanno più lavori umili (il razzismo più bieco) e gli immigrati lavorano e fanno più figli; questo nonostante la stessa Istat ci dica che quasi la metà delle persone in povertà sono immigrati. Nel Paese delle soluzioni facili a problemi complessi, della distribuzione di denari in cambio di scarsi servizi e della mancanza di progetti seri (altro che ascensore sociale o dote ai diciottenni), non ci resta che aggrapparci con tutte le nostre forze al governo di Mario Draghi.

Alberto BrambillaPresidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

5/7/2021

L'articolo è stato pubblicato su Il Corriere della Sera, L'Economia del 28/6/2021
 
 
 

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