Una storia pericolosa

Se è fuor di dubbio che bonus e agevolazioni varie siano stati indispensabili nel gestire le primissime fasi della pandemia, lo dovrebbe essere altrettanto che oggi non solo non lo sono più, ma rischiano anzi di "addormentare" l'economia: secondo Alberto Brambilla e Claudio Negro, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, al Paese servono semmai cantieri, lavori pubblici e infrastrutture (in particolare al Sud) per rilanciare produttività e occupazione

Alberto Brambilla e Claudio Negro

Nel Paese aleggiano alcune convinzioni molto pericolose alimentate più o meno consciamente da un governo tanto fortunato quanto poco capace: la prima è che i soldi per superare la crisi siano infiniti e la seconda che lo Stato, finora ignorato dai più, debba intervenire distribuendo risorse perché tutti hanno diritti (di doveri neppure l’ombra) e hanno avuto problemi a causa di COVID-19. La terza è che comunque la tanto vituperata Europa ci darà tanti, tanti soldi eliminando le odiate regole di Maastricht e i vincoli all'indebitamento; la quarta, che si possa campare anche senza lavoro.

E questo governo, per l'appunto tra i più fortunati degli ultimi 20 anni, perché l’Unione - pur di bloccare i “populisti” avrebbe fatto qualunque cosa - ha beneficiato dalla temporanea sospensione dei vincoli di bilancio e dei molti soldi europei, soldi di cui nessun esecutivo precedente aveva mai goduto. Eppure, come ha ben evidenziato il presidente di Confindustria in un'intervista su questo giornale, corre il rischio di sprecare questa occasione "unica" sperperando denari in bonus, incentivi inutili (escluso il 110% che è persino troppo) in monopattini e bici, acquisti discutibili (banchi scuola a rotelle) ed eccessivi ammortizzatori sociali, per non parlare del blocco dei licenziamenti e del pericoloso prosieguo dell'inutile stato di emergenza, unico Paese in UE. 

Un Paese immobile che continua a rinviare tutto il che, come affermato da Bonomi, potrebbero farci entrare in una crisi poco reversibile. La sola attività utile (e cioè progetti, progetti, progetti), nonostante la pompa magna degli Stati Generali, è inesistente e pensare che - con poca fantasia - si potrebbe creare lavoro diretto e indotto di enormi dimensioni. Proviamo a fare qualche esempio concreto.

Pensiamo agli oltre 7.900 comuni d’Italia che hanno municipi, scuole, biblioteche e altre strutture pubbliche bisognose di tanta manutenzione; pensiamo agli asili nidi, agli ormai necessari centri per la valorizzazione e integrazione sociale della "terza età" che, in Italia, varrà nel 2030 un terzo della popolazione (la Silver Economy); e che dire delle strade provinciali e comunali. Affidando con budget, schemi e regole precise ai sindaci e ai responsabili delle province questi progetti, si aprirebbero più di 16mila piccoli cantieri che potrebbero occupare oltre 100mila lavoratori e creare un indotto robusto con un parallelo aumento dei consumi. Po ci sono i medi e grandi progetti che potrebbero essere affidati alle regioni e alle amministrazioni centrali: tribunali (alcuni sono addirittura inagibili), carceri, poli scolastici, acquedotti, completamento delle autostrade, alta velocità, trasporto pubblico, riconversioni green: tutte iniziative indispensabili per il Paese, ma soprattutto per il non rinviabile sviluppo del Sud. Secondo l'ANCE ogni miliardo investito potrebbe generare 17mila posti di lavoro e un indotto di oltre 3 miliardi; 70 miliardi genererebbero 1,2 milioni di posti di lavoro, esattamente il numero previsto di nuovi disoccupati, e altri almeno 140 miliardi di indotto. La stessa storia dei bancho di scuola che, se pensati in modo industriale, e cioè facendo un prototipo con scheda di qualità e costo cui tutti i fornitori si devono attenere, e dando la responsabilità della richiesta pubblica al sindaco o al provveditore, avrebbero fatto lavorare - come suggerito da Renzo Piano - 16mila falegnami italiani, i quali in 5 settimane avrebbero prodotto 800mila banchi: altro che bando pubblico! 

E, invece, continuiamo a distribuire soldi presi a debito per la lotta alla povertà, quando ormai è noto che gran parte della povertà economica deriva da condizioni di povertà educativa e sociale di cui soffrono - dati Istat - quasi 10 milioni di connazionali (i veri poveri), affetti da alcol e tossico dipendenze, ludopatia, problemi legati alla errata alimentazione (ad esempio, condizioni di obesità patologica), e così via. Come ha risposto finora in generale il sistema pubblico? Nel modo più sbagliato possibile, e cioè elargendo soldi: reddito di cittadinanza, reddito di ultima istanza e i più svariati bonus senza neppure scalfire la povertà che, anzi, aumenta ogni anno. Nel 2008 per l’assistenza lo Stato spendeva 73 miliardi l’anno; nel 2019 ne ha spesi 114, 41 miliardi in più strutturali. Nello stesso periodo la povertà assoluta e relativa, anziché diminuire, è aumentata da 8,6 milioni del 2008 agli oltre 14 milioni del 2018. Ma quel che più preoccupa è l’adagiarsi di molti lavoratori, anche giovani, al “metadone sociale” dell’assistenza: cassa integrazione, NASpI, DIS-COLL, reddito di cittadinanza o di emergenza, sussidi vari per disoccupati e inoccupati e così via. Se è fuor di dubbio che alcuni di questi strumenti siano stati indispensabili per i primi mesi di pandemia, oggi non lo sono più, e anzi corriamo il rischio di “addormentare l’economia”.

Proviamo a quantificare i costi di questa helicopter money sostenuti fino a fine agosto: cominciamo con il bonus da 600 euro che, secondo i dati INPS al 3 agosto, ha avuto 5,1 milioni di soggetti beneficiari per un costo di 12,3 miliardi che potrebbero diventare 15, considerando anche il mese di agosto. La NASpI e la DIS-COLL, per i circa 700mila disoccupati dipendenti e collaboratori, sono costati fino ad agosto, compresi i contributi figurativi, circa 4 miliardi. Per la cassa integrazione ordinaria, in deroga e il FIS (fondo di solidarietà) sono stati autorizzati oltre 2 miliardi di ore, anche se poi quelle effettivamente utilizzate sono state circa il 34%: ne hanno beneficiato per singoli periodi circa 7 milioni di lavoratori ed è costata - compresi i contributi figurativi - circa 5 miliardi. Escludendo i bonus Renzi (9,5 miliardi), il bonus baby sitter e bebè, i finanziamenti alle PMI a fondo perduto, i 4 miliardi di IRAP e altri sussidi, la spesa assistenziale è ammontata a oltre 25 miliardi, cui si dovrebbero aggiungere circa 24 miliardi di mancate restituzioni dei finanziamenti garantiti da SACE ("Garanzia Italia") e dal Fondo di Garanzia (che hanno erogato in totale poco più di 80 miliardi), se - come si dice - il 30% delle attività beneficiarie non riaprirà più i battenti.

La differenza degli occupati tra luglio 2019 e luglio 2020 è di circa 700mila in meno: cosa succederà quando finirà il blocco dei licenziamenti? Se ne prevedono almeno altri 500mila (ma potrebbero essere molti più) e a quel punto i soldi per cassa integrazione, indennità di disoccupazione e bonus saranno tutti finiti, senza aver prodotto alcun posto di lavoro. Se il governo non cambierà registro e non farà partire da subito cantieri, lavori pubblici e infrastrutture al Sud, sarà un inverno difficile aggravato dalla epidemia influenzale che, senza reagenti e macchine per l’analisi che ancor oggi mancano, potrebbe di nuovo bloccare il nostro Paese. 

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

Claudio Negro, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

3/9/2020

 
 
 

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