COVID-19, welfare aziendale e Legge di Bilancio: un'occasione (quasi) mancata

Malgrado risorse economiche ridotte, la pandemia ha spinto molte realtà italiane, PMI comprese, a sfruttare il welfare aziendale per venire incontro alle necessità dei propri lavoratori in difficoltà: un'opportunità per rafforzarne - e meglio finalizzarne - gli strumenti, non colta dall'ultima Legge di Bilancio

Mara Guarino

Nonostante la crisi - sanitaria prima, e sociale ed economico-finanziaria poi - scaturita a seguito dalla diffusione di SARS-CoV-2 abbia seriamente minacciato tessuto imprenditoriale del Paese, la pandemia di COVID-19 non ha rallentato la diffusione del welfare aziendale in Italia. L’ultimo report del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali – con dati aggiornati al 14 dicembre 2020 – ne fornisce una buona prova: dall’entrata in vigore del Decreto Interministeriale del 25 marzo 2016 e dalla disponibilità della relativa procedura per il deposito telematico dei contratti aziendali e territoriali, sono state compilate 59.396 dichiarazioni di conformità; tuttora attivi 14.583 contratti, di cui 11.194 contratti aziendali e 3.389 territoriali. 

Nel dettaglio, dei 14.583 contratti attivi, 11.420 si propongono di raggiungere obiettivi di produttività, 8.690 di redditività, 6.658 di qualità, mentre 1.648 prevedono un piano di partecipazione e 8.365 misure di welfare aziendale. A gennaio 2020, i contratti attivi erano 10.272 e 5.843 erano quelli che prevedevano anche misure di welfare aziendale: malgrado il contesto delicato, quindi, è comunque possibile registrare una discreta crescita sia in termini assoluti che in valori percentuali - 56,89% vs 57,36% - per un totale di 2.577.827 lavoratori beneficiari coinvolti allo scadere dello scorso anno (di cui 2.459.808 per effetto di un contratto aziendale 118.019 per il tramite di un accordo territoriale). 

Tabella 1 – I contratti attivi al 14 dicembre 2020

Tabella 1 – I contratti attivi al 14 dicembre 2020

Fonte: Report sull’andamento dei premi di produttività, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

Persistono delle criticità, come la non sempre adeguata informazione e consapevolezza da parte della platea potenzialmente interessata o, ancora, la marcata disparità nella diffusione su base geografica e settoriale, con i beneficiari concentrati prevalentemente nelle regioni del Nord e nei settori dei servizi e dell’industria – ma, in generale, il welfare aziendale sembra essersi ben difeso. Cogliendo peraltro, come evidenziato da recenti ricerche sul temaquella necessità di una maggiore finalizzazione da molti esperti del settore rimarcata in più occasioni, anche in tempi non sospetti

Sotto la pressione del nuovo coronavirus, il welfare aziendale si è in effetti rivelato un prezioso sostegno innanzitutto per i lavoratori in difficoltà, concentrando - non a caso - i progetti avviati nel periodo (o opportunamente rimodulati) sui nuovi bisogni socio-sanitari emersi a seguito dello scoppio della crisi sanitaria, come salute, sicurezza sul posto di lavoro, work-life balance e formazione. E, in seconda battuta, anche per le comunità di riferimento, con diversi progetti volti a favorire sia a livello locale sia a livello nazionale una maggiore sinergia tra pubblico e privato, ad esempio intermediando domanda e offerta di beni e servizi in tempo di pandemia (qui, un approfondimento e alcuni esempi recentemente documentati dal Laboratorio “Percorsi di Secondo Welfare"). 

Mai come in questi mesi il welfare aziendale ha quindi messo in luce tutte le sue potenzialità, eppure a rendere il quello 2020 un bilancio in chiaroscuro è senza dubbio lo stallo sul fronte istituzionale, ben segnalato anche dall’ultima manovra finanziaria che, sulla scia delle Leggi di Bilancio per il 2019 e per il 2020, a differenza delle precedenti, non contiene grosse novità in materia. Anzi, bocciati in extremis alla Camera dei Deputati due emendamenti relativi al welfare, il cosiddetto bonus mobilità e, ancor di più, la proroga al 2021 dell’aumento del tetto dell’esenzione fiscale dei fringe benefit, portato a 516,46 euro (il doppio della quota precedentemente fissata) dal Decreto Agosto, con grande apprezzamento da parte degli operatori del settore. Ora, al contrario, perplessi dello scorso tempo utile a disposizione per valutare l’effettiva efficacia della misura e dunque già pronti a proporre nuovamente la questione all’attenzione dei decisori politici. 

Insomma, tra luci e ombre la partita su diffusione e finalità del welfare aziendale resta aperta. Se la normativa vigente è comunque già un buon punto di partenza, seppur migliorabile anche nel rispetto di un mercato del lavoro e di uno scenario socio-economico in rapido cambiamento, a legislatore, aziende e dipendenti spetta ora il compito di non trasformare COVID-19 in un’occasione (quasi) mancata. Quanto piuttosto in un’opportunità concreta per portare a termine quel definitivo salto di qualità che, senza snaturare la natura privata dello strumento, ne possa accentuare l’essenziale valore di pubblica utilità. 

Mara Guarino, Itinerari Previdenziali 

14/1/2021

 
 
 

Ti potrebbe interessare anche