Occupazione e mercato del lavoro, quali scenari dietro i numeri da record?

Gli ultimi dati Istat sull'occupazione descrivono un mercato del lavoro in piena ripresa dopo COVID-19 ma sempre sofferente nel confronto con gli altri Paesi europei: secondo l'ultimo Osservatorio Itinerari Previdenziali, tensioni geopolitiche, inflazione e mancato incontro tra domanda e offerta i fattori che più incideranno sul secondo semestre dell’anno

Mara Guarino

L’ultimo aggiornamento Istat, riferito al mese di giugno, sull’andamento di occupati e disoccupati è stato segnato da cifre decisamente positive: dopo il calo registrato a maggio, nelle ultime settimane del primo semestre 2022 il numero di occupati è infatti tornato a crescere, superando quota 23milioni. Più precisamente, al 30 giugno scorso i dati sullo stock di occupazione indicavano 23.070.000 occupati, per un tasso pari al 60,1%, dunque ben superiore al di sopra dei livelli pre-COVID e addirittura record assoluto dal 1977 (incide però ai fini statistici la riduzione del numero di persone in età da lavoro). Da record anche il numero di contratti permanenti in essere per i lavoratori dipendenti che, spinti anche dalle trasformazioni di contratti di apprendistato e a termine, hanno raggiunto le 14.968.000 unità. 

Numeri molto buoni sul versante sia della quantità sia della qualità dell’occupazione che, come rilevato anche dall’ultimo Osservatorio curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, restituiscono la fotografia di un mercato del lavoro che ha fruito di una forte crescita contingente per assestarsi ora su livelli solidi, complici anche i primi effetti del PNRR e il clima di fiducia suscitato dal governo Draghi, giunto a prematura conclusione lo scorso 20 luglio. 

Figura 1 – Andamento del tasso di occupazione nel tempo (valori percentuali)

Figura 1 – Andamento del tasso di occupazione nel tempo (valori percentuali)

Fonte: elaborazioni Itinerari Previdenziali su dati Istat

Malgrado il clamore mediatico anche legittimamente suscitato da questi dati, le previsioni sull’occupazione 2022 obbligano però a non lasciarsi andare a eccessi di ottimismo dovendosi confrontare con alcuni fattori critici, esterni e interni al mercato stesso. Da un lato, in particolare, la guerra in Ucraina e la concomitante/conseguente ripresa inflazionistica tendono a ridurre le prospettive di crescita, che comunque dovrebbe rimanere su buoni livelli, tanto che l’indice di fiducia delle imprese resta alto, mentre diminuisce quello delle famiglie (verosimilmente per effetto del rincaro dei prezzi); dall’altro, il mancato incontro tra domanda e offerta di impiego che affligge l’Italia già da diverso tempo potrebbe frenare, insieme al modesto tasso di incremento della produttività, la dinamica occupazionale. 

Quali dunque i possibili scenari per la seconda metà dell’anno? Un’indicazione importante arriva dal sistema informativo Excelsior, il quale evidenzia che le imprese italiane avrebbero bisogno di assumere 285mila dipendenti ad agosto (meno che nei mesi precedenti, verosimilmente anche per effetto delle ferie estive) e circa 1,3 milioni per l’intero trimestre agosto-ottobre (valore in questo caso leggermente superiore a quella di luglio-settembre e poco inferiore a quella di giugno-agosto). Già segnalata al tempo stesso una difficoltà di reperimento del 41,6% per le assunzioni programmate, con punte di quasi il 72% per artigiani e operai specializzati addetti alle rifiniture delle costruzioni: tra le motivazioni principali l’assenza delle candidature (26,8%) supera l’insufficienza di competenze (10,9% dei profili ricercati). Sintetizzando, dunque, dati dai quali si può ipotizzare un rallentamento nella crescita delle assunzioni ma non un calo dell’occupazione, cui fa tuttavia da contraltare la crescita costante della percentuale di difficoltà che incontrano le imprese nel trovare i profili professionali ricercati: mediamente, il 10% in più rispetto al 2021. L’impressione, secondo Alberto Brambilla e Claudio Negro, curatori dell’Osservatorio per il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, è dunque quella di un mercato del lavoro arrivato ai limiti delle proprie capacità e che, salvo interventi decisi, rischi di fermarsi davanti a una domanda che non sale più a un’offerta sempre più incapace di soddisfare la domanda, con inevitabili squilibri.

Se è infatti vero che la domanda verrà per il 70% dal comparto dei servizi, e in particolare per quasi il 30% (cioè quanto l’industria) da commercio e turismo, lo è altrettanto che questo settore – cruciale per l’occupazione e non a caso autentico traino dei recenti dati record (gli si possono imputare infatti ben 90mila dei 230mila posti di lavoro creati, come differenza tra attivazioni e cessazione, nel semestre) – è caratterizzato da una forte stagionalità, bassi trattamenti salariali, scarsa qualificazione della manodopera e bassissima produttività. Un peso, come si legge nell’Osservatorio, che si ripercuote sul quadro complessivo del mercato del lavoro, contribuendo a spaccarlo in due tra un comparto evoluto, industriale ma anche di servizi specializzati, che accuserà una mancanza di manodopera specializzata, e un comparto a bassa produttività che cercherà manodopera di basso profilo, ma non necessariamente la troverà, perché la domanda non offre condizioni appetibili per l’offerta (salari, orari, precarietà). Un tema che, salvo sorprese, è quindi destinato a diventare dominante nei prossimi mesi. 

D’altro canto, non si può trascurare come - al di là dei riscontri positivi di giugno (ultimo mese disponibile) - il nostro Paese continui a mantenersi al di sotto della media europea per tassi di occupazione globale, giovanile e femminile e sia addirittura il peggio in UE per numero di NEET, con il 24,4% dei giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni che non studiano, non lavorano né sono coinvolti in progetti di formazione, a fronte del 14,3% dell’Europa a 27 Paesi. Da qui, la necessità sollevata dagli estensori dell’Osservatorio di maggiori investimenti in politiche attive per il lavoro, troppo spesso trascurate in favore di misure assistenziali che, oltre a non risolvere le criticità che affliggono il Paese, finiscono con l’aggravare un debito pubblico già monstre, a discapito proprio delle giovani generazioni. 

Mara Guarino, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

9/8/2022

 
 

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