Fondi pensione aperti, fare i conti con i rendimenti reali negativi

I recenti rendimenti registrati dai fondi pensione aperti obbligano a una riflessione sulla difficile situazione in cui versano mercati finanziari ed economie mondiali: quali saranno i settori più capaci di resistere a volatilità e turbolenze? 

Leo Campagna

Dopo un mese di settembre da dimenticare, si è chiuso ottobre che ha fatto rifiatare i mercati finanziari. Grazie alla buona impostazione di fondo delle Borse anche i comparti dei fondi pensione aperti hanno potuto registrare performance mensili positive. In particolare, quelli censiti dal Comparatore dei Fondi Itinerari Previdenziali evidenziano un recupero medio a ottobre dell’1,5%, che sale al +3,6% per i comparti a indirizzo azionario. 

Per quanto riguarda la fine dell’anno e soprattutto il 202,  tutto dipenderà dall’evoluzione dell’inflazione e degli ulteriori interventi sui tassi. Resta il fatto che, nonostante gli interventi di politica monetaria fin qui annunciati, i tassi reali oggi sono ancora negativi. D’altra parte, al Presidente della FED Paul Volcker furono necessari 7 anni per piegare l’inflazione dal 13,6% del 1980 al 3,7% del 1987. E, in realtà, già a partire dalla fine degli anni Sessanta i predecessori di Volcker avviarono fasi di rialzo dei tassi per contrastare i prezzi al consumo ma si fermarono di fronte ai primi segnali di rallentamento economico. Se si osserva l’inflazione, si scopre che tende ad assumere un andamento a ondate e non in lineare: come si comporteranno stavolta Powell e Lagarde? Proseguiranno fino a stroncare il carovita o si fermeranno troppo presto?

Una cosa sembra certa: senza crescita economica, la repressione finanziaria, cioè il mantenimento di tassi reali negativi, rappresenta l’unica soluzione per mantenere entro livelli accettabili il costo di un debito pubblico in aumento. Questo porta a ritenere piuttosto probabile che i tassi di interesse, seppure in aumento, possano mantenersi al di sotto dell’inflazione. Può allora tornare utile ripercorrere quanto accaduto durante la lotta all’inflazione dal 1966 al 1982. Sedici anni nei quali il mercato azionario statunitense ha mantenuto invariato il proprio valore registrando per gli investitori perdite reali (per effetto dell’inflazione sostenuta del periodo). Tuttavia, se la media di mercato oscillò intorno alla parità, diversi titoli e settori riuscirono a distinguersi con rendimenti rialzisti a doppia cifra. 

Uno scenario che potrebbe riptersi ance se, in questo nuovo contesto caratterizzato da un diverso regime macroeconomico, non si può affatto escludere che ci possa essere un “cambio di leadership” nei settori e titoli.Per esempio, tra i nuovi leader potrebbero figurare le materie prime, l’energia, le azioni value, soprattutto europee, e gli industriali, mentre il testimone di leadership ora detenuto dall’hi-tech potrebbe passare alle aziende in grado di abilitare le grandi transizioni verso la sostenibilità energetica e l’efficienza produttiva.

Leo Campagna      

25/11/2022

 
 

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