Il sistema pensionistico italiano soffre COVID-19 ma regge anche nel 2020

Secondo il Nono Rapporto Itinerari Previdenziali, la pandemia ha interrotto il trend di miglioramento di alcuni fondamentali indicatori di tenuta del sistema previdenziale: nel complesso, però, il sistema italiano regge il confronto con COVID-19, con buone prospettive di "recupero" già nel breve termine

Mara Guarino

Dal Nono Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali emergono alcune notizie utili a valutare l’impatto di COVID-19 sulla previdenza italiana: 1) Nel 2020 aumentano, seppur di poco, i pensionati, che salgono fino a 16.041.202 unità; 2) Si riducono di 537mila unità gli occupati, portando dal 59,1% del 2019 al 58,1% del 2020 il tasso di occupazione totale; 3) Cala di riflesso, e principalmente proprio per effetto dell’emergenza sanitaria, il rapporto tra occupati e pensionati, che si ferma a 1,4238, registrando un ribasso di quasi 2,4 punti percentuali (-2,33%) rispetto alla precedente rilevazione. 

Numeri, quelli presentati questa mattina in diretta streaming dalla Sala “Caduti di Nassirya” del Senato della Repubblica (Piazza Madama, Roma), che scattano una fotografia fortemente condizionata dal costo della pandemia in termini sia di risorse sia di vite umane, e che meritano pertanto di essere analizzati nel dettaglio. 

 

Pensionati 

Dopo un trend positivo avviatosi nel 2009 e proseguito in modo costante fino al 2018 per effetto delle ultime riforme previdenziali, che hanno innalzato gradualmente requisiti anagrafici e contributivi, il numero di pensionati si mostra di nuovo in risalita: erano infatti 16.035.165 nel 2019, e diventano 16.041.202 nel 2020 (+6.037 unità). Un incremento comunque inferiore a quanto ci si aspettasse a seguito dell’entrata in vigore di Quota 100 e della conferma di altri provvedimenti finalizzati all’anticipo pensionistico (APE sociale, Opzione Donna, etc.), e in parte motivabile con la contestuale e numericamente significativa cancellazione di molte prestazioni a lunga decorrenza. All’1/1/2021 risultavano in pagamento presso l’INPS 423.009 prestazioni previdenziali con durata quarantennale, erogate cioè a persone andate in pensione nel lontano 1980 o ancora prima; l’anno precedente erano 502.327. Il decremento è del 16%, pari a 79.318 prestazioni eliminate, molte delle quali a causa del nuovo coronavirus, i cui esiti si sono manifestati più severamente nei confronti degli over 65: come evidenzia il Rapporto, il 96,3% dell’eccesso di mortalità registrato nel 2020 ha riguardato persone con età uguale o superiore a 65 anni, per la quasi totalità pensionate e che percepivano in media circa 1,17 pensioni IVS (non disponibili i dati sulle prestazioni assistenziali eliminate). Considerando per compensazione l’erogazione delle nuove reversibilità, la pubblicazione quantifica dunque in 1,11 miliardi di euro il risparmio, tristemente prodotto nel 2020 da SARS-CoV-2 a favore delle casse INPS, e in circa 11,9 miliardi la minor spesa nel decennio (2020-2029). 

 

Occupati 

Nel 2020 il numero degli occupati scende dai 23.376.000 del 2019 ai 22.839.000 del 2019, con una diminuzione del tasso di occupazione totale di un punto percentuale (dal 59,1% al 58,1%). Si riducono anche il tasso di occupazione femminile, dal 50,1% al 49%, e quello degli over 55, che cala al 54,2%, mentre aumenta significativamente – a causa di lockdown e misure di contenimento dei contagi – il ricorso alla Cassa Integrazione e ad altri ammortizzatori sociali in costanza o in assenza del rapporto di lavoro. Tra CIG, NASpI e altre misure a supporto dei lavoratori e delle loro famiglie, l’ammontare complessivo degli interventi di sostegno al reddito è stato di poco inferiore ai 42 miliardi: basti pensare, sempre con riferimento al 2020, che i beneficiari di NASpI sono stati circa 3.200.000 per una spesa complessiva di 16,7 miliardi tra prestazioni e contributi figurativi (erano 15 i miliardi spesi l’anno precedente), mentre i beneficiari della CIG nelle sue varie forme sono passati dai circa 600mila del 2019 ai 7 milioni – la gran parte con causale COVID-19 - del 2020, per una spesa totale tra trattamenti e contributivi figurativi pari a 17 miliardi e 500 milioni di euro. 

 

Rapporto attivi/pensionati 

Per l’effetto combinato del pur leggero aumento del numero di pensionati e del calo degli occupati, scende a 1,4238 il rapporto attivi/pensionati, valore fondamentale per la tenuta di un sistema pensionistico a ripartizione come quello italiano e che, solo nel 2019, toccava invece la quota record di 1,4578 (-2,4%), miglior dato di sempre tra quelli registrati dal Rapporto. Si allontana dunque quell’1,5 già indicato nelle precedenti pubblicazioni come soglia necessaria per la stabilità di medio-lungo termine del sistema ma, secondo il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, senza troppo spazio per allarmismi eccessivi. Considerati sia gli investimenti pubblici e privati previsti tra il 2022 e il 2026 sull’onda del PNRR sia gli scenari previsionali di ripresa economica e occupazionale post COVID, il documento ipotizza infatti un’inversione di tendenza del rapporto attivi/pensionati già entro il 2024, quando il valore dovrebbe assestarsi in prossimità dell’1,49.

Figura 1 – Numero di occupati, pensionati e rapporto occupati/pensionati 

Figura 1 - Numero di occupati, pensionati e rapporto occupati/pensionati

Fonte: Nono Rapporto “Il Bilancio del Sistema Previdenziale italiano”, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

«A oggi il sistema è sostenibile e lo sarà anche tra 15 anni, nel 2035, quando le ultime frange dei baby boomer nati dal Dopoguerra al 1980 - in termini previdenziali assai significative, data la loro numerosità – si saranno pensionate», spiega il Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali Alberto Brambilla, precisando: «Perché si mantenga la sostenibilità pensionistica, sarà però indispensabile intervenire su 4 ambiti fondamentali: 1) le età di pensionamento, attualmente tra le più basse d’Europa (62 anni l’età effettiva in Italia contro i 65 della media europea), nonostante un’aspettativa di vita tra le più elevate a livello mondiale; 2) l’invecchiamento attivo dei lavoratori, attraverso misure volte a favorire un’adeguata permanenza sul lavoro delle fasce più seniordella popolazione; 3) la prevenzione, intesa come capacità di progettare una vecchiaia in buona salute; 4) le politiche attive del lavoro, da realizzare di pari passo con un’intensificazione della formazione professionale, anche on the job».

Insomma, serve un serio cambio di rotta da parte del nostro Paese, che oggi vede la quasi totalità della spesa pubblica indirizzata verso sussidi e assistenzialismo, quando invece necessiterebbe di una seria revisione della propria organizzazione del lavoro e dei propri modelli produttivi. 

Mara Guarino, Itinerari Previdenziali 

15/2/2022

 
 

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