La previdenza complementare dimenticata dalla politica

Gli ultimi anni hanno visto avvicendarsi numerosi governi, con diverse connotazioni politiche e proposte per il Paese, ma un preciso minimo comun denominatore: l'aver drammaticamente dimenticato la previdenza complementare

Niccolò De Rossi

Bankitalia rivede le stime sul debito pubblico italiano che fa segnare un nuovo record: 2.363,7 miliardi a febbraio. Mentre qualcuno parla di “una lenta e graduale ripresa dell’economia”, molti analisti prevedono una crescita nazionale dello zero virgola per l’anno in corso. A frenare però non è soltanto l’Italia. L’Unione europea evidenzia infatti in più settori un raffreddamento della crescita economica. Sullo sfondo restano il nodo Brexit, con l’ennesimo rinvio concesso dalla Ue per tentare di evitare una exit senza accordo, la guerra in Libia che alimenta tensioni politiche nella gestione dei flussi migratori, ma soprattutto le ormai imminenti elezioni europee. Un appuntamento questo che sembra aver congelato le agende politiche di molti Paesi, che restano alla finestra in attesa di conoscere l’esito delle votazioni di fine maggio.

Sulla scia di un quadro macroeconomico internazionale complesso e soprattutto molto variabile, gli investimenti pubblici nazionali, che peraltro mancano da molti anni, sembrano latitare. A fronte infatti del progressivo innalzamento del debito pubblico, le misure rivolte alla crescita del Paese sembrano essere troppo ridotte e da sempre troppo incentrate su tagli di spesa anziché su concreti piani di sviluppo. Ma c’è un altro tema che accomuna indistintamente gli ultimi Governi: l’assenza di iniziative volte a incentivare l’adesione alla previdenza complementare. L’ultimo vero e strutturale intervento corrisponde infatti al D.lgs. n. 252/2005 che, tra le altre cose, ha dato un importante contributo al settore introducendo la possibilità di scegliere se lasciare in azienda il proprio TFR o destinarlo alle forme di previdenza integrativa. Al contrario la politica, invece di prevedere una possibile revisione del sistema di tassazione dei fondi pensione, che a oggi si basa sullo schema ETT, ha provveduto a innalzare l’aliquota di tassazione sui rendimenti conseguiti dal fondo con la Legge di Stabilità 2015 (dall’11,5% al 20%). Inoltre, se da un lato sono state perse numerose occasioni per riformare il sistema pensionistico di primo pilastro dalla riforma Monti-Fornero in poi preferendo rattoppi e rammendi spesso meno equi e decisamente più onerosi, la previdenza complementare (sempre più necessaria per i grandi cambiamenti demografici e del mercato del lavoro) è scomparsa dai radar della politica.

Questo colpevole silenzio è stato invece paradossalmente accompagnato negli anni da una crescente attenzione verso gli stessi investitori istituzionali e previdenziali affinché investano maggiormente nell’economia reale del Paese. Da un lato, dunque, la “richiesta” di investire parte dei capitali dei fondi pensione a favore dello sviluppo del Paese, senza però, dall’altro, dare un aiuto concreto alla diffusione della stessa previdenza complementare di cui invece c’è estremo bisogno.

Come evidenziato dall’ultima relazione COVIP, la somma degli iscritti ai fondi pensione sfiora per il 2017 gli 8 milioni di unità (compresa qualche duplicazione relativa a lavoratori iscritti contemporaneamente a più forme). Se si considera che alla fine dello stesso anno i lavoratori attivi erano circa 23 milioni, gli iscritti ai fondi pensione, di cui però una parte non versa contributi (è bene evidenziarlo), corrisponde a circa il 35% del potenziale dei lavoratori attivi. Il dato non è di per sé scoraggiante. Ma se si guarda alla composizione e alle caratteristiche degli iscritti alla previdenza complementare, si nota come vi sia la necessità di un intervento importante per aumentarne la diffusione. La COVIP evidenzia infatti come sia ancora marcato tanto il divario di genere (60% uomini, 40% donne) quanto quello territoriale, che mostra una prevalenza di iscritti nel Nord Italia. Altro aspetto da tenere ben in considerazione è la distribuzione per età degli iscritti: la maggiore quota si concentra nelle fasce di età medio-alte della popolazione (per oltre il 56% tra i 35 e i 54 anni e oltre il 26% per gli over 55), pesando per oltre l’80% del totale, evidenziando invece un’adesione ancora marginale dei più giovani, coloro che in realtà ne avrebbero più bisogno.

Nonostante quindi le dimensioni dei fondi pensione italiani siano ancora difficilmente comparabili con quelle internazionali, è evidente come la contenuta diffusione della previdenza complementare nazionale contribuisca negativamente alla crescita dei patrimoni dei nostri investitori previdenziali. C’è da dire che percorsi di fusione tra fondi pensione sono già in atto da qualche tempo, proprio per raggiungere economie di scala efficienti e soprattutto poter accedere a strumenti finanziari più complessi, in particolare nei private markets. A fronte infatti di strutture interne a volte ridotte, già oggi sono i maggiori investitori in private equity e venture capital in Italia. E questo dimostra una presa di coscienza importante verso il ruolo potenziale che gli investitori previdenziali possono avere per il Paese.

La politica dovrebbe tornare dunque a fare la sua parte e riprendere a parlare di previdenza complementare. Prevedere piani di educazione finanziaria e soprattutto previdenziale, in particolare incentrata sull’importanza di aderire ai fondi pensione, potrebbe essere una prima via da percorrere per incrementare il numero degli iscritti. Parallelamente all’aumento delle adesioni dovrebbero essere incentivati percorsi di fusione tra quei fondi che presentano un patrimonio contenuto e una platea di iscritti ridotta, per arrivare a creare soggetti con importanti patrimoni e strutture interne più efficienti. Se i fondi pensione sembrano aver raggiunto una consistente maturità sull’importante ruolo che ricoprono per il Paese, è arrivato forse il momento anche per la politica di ricordarsi della previdenza complementare troppo a lungo dimenticata.

Niccolò De Rossi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

15/5/2019

 
 
 

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