Mancata rivalutazione pensioni: in 30 anni bruciato un anno di assegno
Lo studio realizzato da Itinerari Previdenziali con il sostegno di CIDA denuncia una svalutazione strutturale delle pensioni medio-alte, che danneggia ancora una volta soprattutto il ceto medio. Una lunga storia di tagli trasversali e continui, che colpisce proprio quei pensionati che hanno versato più tasse e contributi, minando la fiducia nel patto generazionale
La Legge di Bilancio di previsione dello Stato per lanno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026, complice lelevata fiammata inflazionistica del biennio 2023-2024, ha penalizzato come mai prima dora i pensionati con trattamenti sopra i 2.500 euro lordi (meno di 2.000 euro il netto): secondo il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, la perdita legata alla mancata rivalutazione sarebbe quantificabile nei prossimi 10 anni in almeno 13mila euro; valore destinato a salire progressivamente fino ai 115mila per i percettori di assegni oltre i 10mila euro lordi (6.000 circa il netto). Un provvedimento iniquo che, lungi dal premiare il merito, penalizza proprio chi ha più contribuito al sistema, e peraltro non esente da possibili profili di incostituzionalità, con particolare riferimento alle quote di pensione calcolate con metodo contributivo, il quale prevederebbe la rivalutazione piena degli assegni.
È questa la fotografia scattata da Itinerari Previdenziali e CIDA in occasione della conferenza stampa di presentazione dellOsservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate La svalutazione delle pensioni in Italia: studio che analizza gli effetti sulle rendite dei meccanismi di rivalutazione delle pensioni applicati negli ultimi trentanni, concentrandosi soprattutto sulle novità introdotte dalle più recenti manovre finanziarie.
La travagliata storia della perequazione in Italia: una lunga sequenza di tagli bipartisan
Allo scopo di proteggere il potere dacquisto dei pensionati e garantire loro un tenore di vita adeguato e costante nel tempo, tutti i principali sistemi pensionistici internazionali prevedono adeguamenti degli assegni ai prezzi e/o ai salari. In Italia è dunque attuata la cosiddetta perequazione automatica, aumento periodico dellassegno collegato allinflazione, negli ultimi 30 anni oggetto di numerosi provvedimenti legislativi, che rappresentano di fatto e in negativo un unicum tra i Paesi OCSE; provvedimenti spesso perfino in contraddizione tra loro ma, in linea di massima, accumunati dal principio secondo il quale le pensioni di importo inferiore tendono a godere di un meccanismo più favorevole e, nella sostanza, economicamente più generoso. Se, in alcuni periodi gli assegni non hanno quindi ricevuto alcuna perequazione, in altri hanno subito indicizzazioni di varia misura e applicate secondo criteri differenti, che si sono tramutate in una riduzione strutturale, e non più recuperabile, del valore delle prestazioni.«Rispetto alle persone in età attiva ha spiegato il Professor Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali e curatore dello studio i pensionati hanno meno possibilità di difendersi dallinflazione, tanto che il mantenimento del loro potere dacquisto è affidato quasi esclusivamente ai meccanismi di indicizzazione: ecco perché sarebbe innanzitutto importante avere regole stabili nel tempo e, ancora di più, eque». Eppure, come rilevato nel corso della conferenza stampa promossa da CIDA, malgrado lavvicendarsi di esecutivi di varia appartenenza politica, nellultimo triennio tagli, blocchi e contributi di solidarietà si sono susseguiti in modo sistematico, da destra a sinistra, determinando una perdita crescente del potere dacquisto anche del 10-12% nellarco di un decennio, e soprattutto diventando più una leva contabile che uno strumento di giustizia previdenziale. Tanto più che, come evidenzia la pubblicazione, «per le quote pensionistiche calcolate con il metodo contributivo, destinate a crescere nel tempo, il rallentamento o il congelamento, anche temporaneo, della rivalutazione è da considerarsi alla stregua di unimposta. Con il pensionato che riceve così non solo meno di quanto gli spetterebbe ma anche meno di quanto gli sarebbe necessario per contrastare laumento dei prezzi al consumo».
I numeri delle svalutazioni più recenti
Con il 2022 il quadro sembrava in realtà essersi fatto più favorevole. Scaduta nel dicembre 2021 la disciplina transitoria introdotta dalla legge n. 147/2013 (più volte rinnovata), è stato infatti ripristinato lo schema originariamente stabilito dalla normativa del 1996, che prevedeva una rivalutazione a scaglioni al 100% dellinflazione per la quota di pensione di importo fino a 4 volte il trattamento minimo INPS (per il 2022 pari a circa 525 euro al mese); al 90% dellinflazione per limporto compreso tra 4 e 5 volte il TM; al 75% dellinflazione oltre 5 volte il TM. Con loccasione della successiva manovra finanziaria, il governo presieduto da Giorgia Meloni è però intervenuto sul biennio 2023-2024, prevedendo un meccanismo che, se da un lato rivalutava pienamente le pensioni sociali, gli assegni sociali e le pensioni al minimo (prevedendone addirittura un ulteriore incremento straordinario del1,5%, elevato al 6,4% per i pensionati di età pari o superiore ai 75 anni, per il 2023, e del 2,7% per il 2024), dallaltro peggiorava lo schema di rivalutazione delle prestazioni oltre 5 volte il TM. Nel dettaglio, le percentuali di rivalutazione previste sono state: del 100% per i beneficiari di prestazioni fino a 4 volte il TM, incrementato appunto di un punto e mezzo percentuale in più rispetto allinflazione effettiva; dell85% per le pensioni da 4 volte a 5 volte il TM; del 53% per gli assegni tra le 5 e le 6 volte il TM, al 47% tra le 6 e le 8 volte, al 37% tra le 8 e le 10 volte e al 32% per gli importi superiori. Valore, questultimo, ulteriormente ridotto al 22% per lanno successivo, quando le modifiche alla perequazione hanno in effetti riguardato i soli percettori di assegno superiore le 10 volte il Trattamento Minimo.
Tabella 1 I continui cambiamenti delle norme per la perequazione dal 1996 a oggi
Fonte: Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate Itinerari Previdenziali 2025, La svalutazione delle pensioni in Italia
«Cosa ancora più grave la puntualizzazione del Professor Brambilla è che la perequazione sfavorevole è stata applicata sullintero reddito pensionistico e non per scaglioni: giusto per fare un esempio riferito al 2023, un pensionato con una rendita pari tra 2.627 e 3.152 euro si è visto rivalutata lintera pensione al 4,3% (a fronte di un tasso di inflazione definitivo dell8,1%), e non la sola quota eccedente le 5 volte il TM». Solo per il 2025, di pari passo con lattenuazione dellimpennata inflattiva, si è di fatto tornati allapplicazione a scaglioni su uno schema a 3 fasce: il tasso di inflazione provvisorio dello 0,8% sarà applicato al 100% fino a 4 volte il TM INPS, al 90% tra le 4 e le 5 volte e al 75% al di sopra delle 5 volte il Trattamento Minimo dellIstituto. Il che, tuttavia, non rimedia a quanto accaduto nel biennio precedente: come puntualizza la pubblicazione, non si tratta di una perdita circoscritta a 2023 e 2024 ma di una sottrazione di reddito pensionistico permanente nel tempo e destinata anzi a trascinarsi anche negli anni successivi.
Il grande paradosso: più paghi, più perdi
Considerate le mancate indicizzazioni patite dal 2012 al 2022, i trattamenti pensionistici oltre le 10 volte il minimo hanno perso rispetto a uninflazione totale dell11,6% circa 9 punti percentuali. Svalutazione cui si aggiunge quella del triennio 2023-2025, ancora più ingente per leffetto combinato del boom dellinflazione e dei meccanismi di perequazione introdotti dallesecutivo attualmente in carica: in questo caso, le perdite ammontano a circa il 12% e, sommate alle precedenti, determinano una svalutazione delle pensioni di oltre il 21% nellarco di 14 anni. Volendo fare un esempio concreto, ciò significa che in questo periodo di tempo una pensione da 10.000 euro lordi (circa 6.000 netti) ha perso quasi 178mila euro, mentre una pensione da 5.500 ero lordi mensili (circa 3.400 euro netti) ha subito una perdita pari a circa 96mila euro. Tenuto conto delleffetto trascinamento, questo significa che i cosiddetti pensionati del ceto medio, oltre a sobbarcarsi il grosso dei 56 miliardi di IRPEF in arrivo dalle pensioni, si vedranno ingiustamente sottratti altri 45 miliardi circa.
Ecco perché secondo lo studio Itinerari Previdenziali - CIDA saremmo insomma davanti un autentico paradosso: quello di un sistema che non tutela ma anzi penalizza quel 1,8 milioni di pensionati con redditi da 35mila euro in su (poco meno del 14% del totale) che da solo corrisponde il 46,33% dellIRPEF dellintera categoria e che, attraverso la fiscalità, si è fatto nel corso della propria vita attiva e si fa tuttora sostanzialmente carico del finanziamento del nostro sistema di protezione sociale. Mentre le pensioni assistenziali - spesso erogate a fronte di contribuzioni minime quando non assenti vengono tutelate dallinflazione, proprio questo segmento di contribuenti subisce le decurtazioni maggiori.
Una giurisprudenza che ha più volte legittimato i tagli
Numeri che spiegano facilmente come mai Cassazione e Suprema Corte siano state spesso chiamate a esprimersi sulla legittimità dei meccanismi di perequazione che si sono succeduti negli ultimi 15 anni, così come accaduto lo scorso gennaio quando, con la sentenza n.19 del 2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato legittimo il meccanismo di raffreddamento della rivalutazione per fasce di reddito, previsto dalla Legge di Bilancio 2023, e non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in merito allart. 1, comma 309, della Legge di Bilancio n. 197 del dicembre 2022. «Si tratta della terza volta in 11 anni che i giudici incaricati si esprimono in questi termini, e proprio questo suggerisce il Professore dovrebbe far riflettere: in occasione delle sue precedenti pronunce, infatti, la stessa Corte aveva infatti raccomandato che il taglio subito dalle pensioni di importo medio-alto fosse di breve durata, proporzionato e non ripetitivo».
Una condizione, soprattutto quella relativa alla non ripetitività, evidentemente non rispettata cui si aggiungono ulteriori questioni di natura tecnica ed etica da non sottovalutare. Nellultima pronuncia, in particolare, la Corte afferma che la mancata rivalutazione non è da considerarsi un prelievo forzoso, ma una misura economico-previdenziale che lesecutivo può discrezionalmente decidere di mettere in campo, con il fine di favorire le pensioni più basse e al contempo portare avanti una progressiva riduzione del debito pubblico. E, se lobiettivo di contenere la spesa resta in sé apprezzabile, severa è la condanna della pubblicazione nei confronti della scelta di farlo toccando ancora una volta la perequazione automatica, ormai utilizzata dallo Stato come leva contabile per fare Cassa, alla stregua di un prelievo forzoso: come possono i giovani fidarsi del sistema previdenziale se le regole del gioco sono destinate a cambiare continuamente, minando la certezza della correlazione tra versamenti contributivi e futuro importo degli assegni?
Mara Guarino, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
17/9/2025