Pensioni, perché la Francia non è l'Italia

La riforma delle pensioni voluta dal Presidente Macron si pone l'obiettivo di "riportare il sistema previdenziale in equilibrio". Se, da un lato, la finalità potrebbe richiamare alla mente il sacrificio richiesto agli italiani dall'ex ministro Fornero, dall'altro, il vero motivo delle proteste non sembrerebbe essere legato all'aumento dell’età pensionabile…

Michaela Camilleri

Stando alle ultime dichiarazioni del Presidente Emmanuel Macron, la riforma delle pensioni appena approvata in Francia dovrebbe entrare in vigore entro la fine dell’anno. Respinte le mozioni di sfiducia al governo avanzate dall’opposizione, occorrerà ora attendere che si pronunci il consiglio costituzionale. La decisione arriverà il 14 aprile.

La novità principale è l’innalzamento dell’età di pensionamento da 62 a 64 anni nel 2030. L’incremento del requisito anagrafico sarà graduale e pari a 3 mesi ogni anno a partire dall'1 settembre 2023. Inoltre, il periodo di contribuzione per avere una pensione completa sarà aumentato dagli attuali 42 a 43 anni nel 2027 al ritmo di un trimestre all’anno; i lavoratori che non hanno accumulato 43 anni di contributi dovranno lavorare fino a 67 anni per poter ricevere una pensione senza riduzione (regola già attualmente valida). Si prevede anche l’innalzamento dell’importo minimo della pensione a 1.200 euro e finiscono i regimi speciali, trattamenti previdenziali di favore previsti per alcune categorie specifiche, come i dipendenti della Banca di Francia o dell’azienda di trasporto pubblico parigina. 

Il fatto che Macron abbia sostenuto che la riforma “è più che mai necessaria per riportare il sistema previdenziale in equilibrio” riporta alla mente le motivazioni finanziarie alla base della riforma Monti-Fornero, seppur con sostanziali differenze.

Sono passati dodici anni da quando l’allora Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Elsa Fornero, annunciò in lacrime l’omonima riforma. Sotto la guida del governo Monti, in un contesto di finanza pubblica estremamente delicato e sotto pressione per via delle raccomandazioni che arrivavano dall’Europa, la Professoressa Fornero mise mano al sistema pensionistico, innalzando i requisiti per l’accesso alla pensione e legandoli (entrambi, sia l’età anagrafica sia l’anzianità contributiva) all’aspettativa di vita. Ma la riforma francese non sembra essere così dura come la riforma Fornero: si passa da 62 a 64 anni a step di tre mesi fino a 2030. Non proprio un incremento paragonabile a quello introdotto in Italia nel 2012 (con uno scalone in alcuni casi fino a 6 anni), cui si è dovuto porre rimedio con ben nove operazioni di salvaguardia che hanno riguardato oltre 143mila soggetti. 

La riforma Fornero ha infatti introdotto una tale rigidità nel sistema che negli anni a seguire i governi che si sono succeduti hanno provato a porvi rimedio con risposte diverse, anche se temporanee e mai strutturali. Insomma, più che nell’innalzamento dell’età pensionabile (a causa dell’invecchiamento demografico tutti i principali Paesi europei tendono ormai ai 67 anni e l’Italia li ha già raggiunti), quindi, il vero motivo delle violente proteste di questi giorni è forse da ricercare nella volontà di mettere fine ad alcune situazioni di privilegio, quelle appunto dettate dai regimi speciali. E in questo caso il nostro Paese è intervenuto ben prima, già negli anni Novanta con i decreti di armonizzazione dei fondi speciali, ponendosi come modello di equità tra le diverse categorie di lavoratori. Peraltro si tenga conto che, se la riforma Fornero ha esteso il più equo metodo di calcolo contributivo a tutti (l’importo dell’assegno dipende da quanto effettivamente versato in termini di contributi durante l’intera vita lavorativa), in Francia l’importo della pensione viene ancora calcolato sul reddito medio annuo dei 25 anni migliori della carriera e non si discute di possibili cambiamenti su questo fronte.

Dunque, la riforma francese sembra non essere più rinviabile non solo per ragioni sociali di equità ma anche economico-finanziarie. 

Figura 1 – Spesa sociale in % del PIL, anno 2020

Figura 1 – Spesa sociale in % del PIL, anno 2020

Elaborazioni Itinerari Previdenziali su dati Eurostat

Il Paese è infatti alle prese con un debito pubblico in costante crescita e una forte incidenza della spesa pensionistica sul PIL (pari al 15,9% nel 2020). Stando agli ultimi dati Eurostat disponibili, la Francia si posiziona peraltro al vertice della classifica per spesa per protezione sociale in rapporto al PIL (35,2% contro una media EU 27 del 30,4%) e all’ottavo posto in rapporto alla spesa pubblica (57,32%).

  Michaela Camilleri, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

3/4/2023

 
 
 

Ti potrebbe interessare anche