La risposta della sanità integrativa all'emergenza COVID-19

Il Sistema Sanitario Nazionale, sottoposto all'enorme pressione dovuta all’emergenza COVID-19, ha mostrato i suoi punti di debolezza. Come ha risposto la sanità integrativa e quali prospettive per il settore?

Michaela Camilleri

La diffusione del coronavirus ha messo a nudo le fragilità del Sistema Sanitario Nazionale che, già in tempi non sospetti, palesava i sintomi di uno stato di salute precario sotto almeno tre differenti punti di vista. 

Innanzitutto, sotto il profilo delle risorse impegnate, nel 2018 la spesa sanitaria pubblica è stata pari a 115,410 miliardi di euro, con un’incidenza del 6,5% sul PIL e del 13,52% sulla spesa pubblica totale, in costante riduzione rispetto ai fabbisogni della popolazione. L’aumento del valore assoluto della spesa per il 2018 appare modesto se si considera l’invecchiamento della popolazione che incide particolarmente su questo capitolo di spesa; nel dettaglio, si è ridotta la spesa per il personale sia in termini assoluti sia reali mentre è aumentata la spesa per consumi intermedi e per gli acquisti dal mercato. Al confronto internazionale, la spesa in rapporto al PIL è in linea con la media OCSE anche se inferiore rispetto a quella dei Paesi più avanzati (Germania, Francia, Svezia, Giappone, etc.), mentre in rapporto alla spesa pubblica complessiva il dato italiano scende sotto la media (15%) e ci colloca al 24° posto, molto lontano dai citati Paesi (Giappone 23%, Germania 20%, Svezia 19%).

Figura 1 – La spesa sanitaria pubblica negli anni dal 2013 al 2018

Figura 1 – La spesa sanitaria pubblica negli anni dal 2013 al 2018

Fonte: Settimo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Dal punto di vista organizzativo, va poi rilevato come l’Italia sia passata dai 595.000 posti letto del 1980 (1 ogni 94 abitanti) ai 151.600 posti letto del 2017 (1 ogni 398); di questi, uno ogni oltre 7.500 abitanti è dedicato alla terapia intensiva. Inoltre, la pandemia ha solo accentuato la carenza di personale sanitario (medici specialistici, anestesisti, medici di base e infermieri): al confronto con i Paesi OCSE, ci posizioniamo al 9° posto su 36 (a parimerito con Russia e Danimarca) per numero di medici (4 ogni 1.000 abitanti) e al 23° per numero di infermieri (6,7 ogni 1.000 abitanti). Il dato preoccupante è che si tratta di personale la cui età media è elevata (siamo al vertice della classifica OCSE per quota di medici over 55 sul totale) e che nei prossimi anni andrà in quiescenza lasciando scoperti molti posti di lavoro, fenomeno che peraltro si è già in parte verificato con l’entrata in vigore di Quota 100.

Infine, un ultimo aspetto non può che riguardare la fragilità degli anziani e dei servizi a loro rivolti. Stando ai dati diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità, l’84% dei deceduti per COVID-19 ha 70 anni o più, l’età media delle vittime è pari a 79 anni e il 61% ha almeno 3 patologie preesistenti; inoltre, molti di questi soggetti hanno contratto il virus all’interno di una RSA: sulla base dei risultati dell’indagine condotta dall’ISS, alla quale però hanno risposto solo 1.082 strutture (il 23% del totale censito dal GNPL National Register), dall'1 febbraio a oggi il 40,2% dei decessi è riconducibile a Covid-19 (2.724 soggetti su un totale 6.773, anche se solamente 364 sono stati accertati tramite tampone). Conseguenze drammatiche che, secondo quanto sostenuto dal Prof. Roberto Bernabei, Membro del Comitato Tecnico Scientifico della Presidenza del Consiglio e Presidente di Italia Longeva, in occasione del primo convegno virtuale organizzato da Itinerari Previdenziali lo scorso 22 aprile, dipendono dalla grave “dimenticanza di non aver costruito un Servizio Sanitario Nazionale sull’invecchiamento”. 

Posto di fronte all’emergenza COVID-19 e alla luce con le fragilità evidenziate, il governo ha varato un primo pacchetto di misure straordinarie a favore del Servizio Sanitario Nazionale contenuto nel cosiddetto decreto “Cura Italia”, prevedendo stanziamenti d'urgenza ad esempio per il finanziamento degli straordinari del personale medico-infermieristico o dell’aumento dei posti di letto, e misure eccezionali come la possibilità,  in caso di difficoltà a reclutare nuovo personale, di trattenere in servizio personale che pur avrebbe raggiunto i requisiti utili alla pensione.

 

Quali sono state invece le risposte della sanità integrativa? 

Con riferimento ai fondi sanitari integrativi, sono diverse le iniziative promosse attraverso la contrattazione collettiva a favore dei lavoratori ai quali si applicano i CCNL di riferimento. Si tratta per lo più di coperture specifiche legate a COVID-19 come indennità per ricovero e per isolamento domiciliare, contributi per servizi assistenziali e post ricovero, contributo eredi, rimborso per prestazioni mediche, diagnostiche e infermieristiche effettuate a domicilio

Solo per citare alcuni esempi, MètaSalute ha avviato un piano sanitario integrativo dedicato alla copertura delle sindromi influenzali legate a Covid-19, che andrà ad aggiungersi - senza alcun contributo aggiuntivo per imprese e lavoratori - a quelli già attivi e che avrà decorrenza retroattiva (dall'1 febbraio e fino al 31 luglio 2020). Il piano, rivolto a circa 1,2 milioni di lavoratori del settore metalmeccanico[1], prevede un’indennità giornalieri di ricovero pari a 30 euro, un’indennità una tantum di 1.000 euro a seguito di dimissioni da un reparto di terapia intensiva (ridotta a 500 euro nel caso di terapia sub-intensiva o assimilabile) e un contributo di 1.000 euro destinato agli eredi per le spese funerarie in caso di decesso. Anche i fondi di assistenza sanitaria integrativa dei settori terziario, turismo e servizi (Aster, Cadiprof, Fondo Est, Cassa Portieri, Cas.sa.colf, Coopersalute, Fasiv, Fast, Fontur, Sanimpresa, Quas) hanno esteso il proprio piano sanitario con effetto dall'1 gennaio 2020 al 30 giugno 2020, includendo: indennità giornaliera da ricovero pari a 40 euro per un massimo di 50 giorni, diaria da isolamento domiciliare di 40 euro per un periodo non superiore a 14 giorni e contributo per la riabilitazione respiratoria; è inoltre prevista l’erogazione di un contributo in via rimborsuale per le prestazioni mediche, diagnostiche e infermieristiche effettuate in forma domiciliare.

Sul fronte assicurativo, come ha rilevato da IVASS nell’ultimo Report sui trend dell’offerta assicurativaanche le compagnie si sono mobilitate creando prodotti assicurativi ad hoc o integrando le polizze sanitarie con prestazioni specifiche per fornire sostegno all’emergenza COVID-19. Oltre all’erogazione di diarie giornaliere per ricovero ospedalieri e convalescenza così come previsto dai fondi sanitari integrativi, tra le misure adottate dalle compagnie assicurative, emergono iniziative diverse come l’attivazione di servizi di teleconsulto medico COVID-19 attivo h24 e 7 giorni su 7, anche tramite app, e di video consulto specialistico nelle varie discipline mediche per i casi in cui non sia necessario un contatto diretto (ad esempio, per condivisione referti e documenti o avere risposte a dubbi o domande su terapie)In questa direzione si sono mossi, ad esempio, Unisalute, Generali e Alleanza. 

Al di là della gestione dell’emergenza sanitaria che spetta inevitabilmente al Servizio Sanitario Nazionale, ciò che si ricava da questa prima panoramica d’insieme sul settore è che gli attori della sanità integrativa siano intervenuti principalmente con misure di sostegno ex post, rivolte ai soggetti colpiti dal virus o agli assicurati che hanno subito perdite economiche, lasciando emergere ancora ampi spazi di manovra nell’ottica di una vera e propria sinergia tra pubblico e privato. Ciò nonostante alcune delle soluzioni più innovative intraprese da fondi e compagnie di assicurazione siano già esempi concreti di uno sguardo proiettato in questa direzione.

L’occasione è allora utile per ribadire con ancora più forza quanto sia necessario rinforzare il ruolo della sanità integrativa, magari partendo da una chiara e definitiva regolamentazione del sistema, così da alleggerire il carico che grava sul sistema sanitario pubblico, sotto pressione già ben prima della pandemia ma soprattutto in prospettiva alla luce degli effetti dell’invecchiamento della popolazione e delle debolezze nell’attuale gestione dei SilverSia pubblico che privato dovranno allora riorganizzarsi secondo una logica di maggiore integrazione e ripensare a un modello maggiormente basato sull’assistenza territoriale e domiciliare. Modello che, peraltro, nel caso del Veneto e a differenza della Lombardia, si è dimostrato vincente anche nella gestione di questa crisi.

Michaela Camilleri, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

4/5/2020


[1] Fonte: Sesto Report sugli investitori istituzionali italiani a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

 
 
 

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