Le prossime sfide della sanità italiana (e mondiale): l'antibiotico-resistenza

I numeri dell'ultimo Rapporto AIFA confermano come la resistenza agli antibiotici possa essere considerata una pandemia silente che, da qui al 2050, rischia di diventare la principale causa di morte nel nostro Paese: i numeri del fenomeno e le contromisure da adottare in un approccio One Health, che non trascuri quanto la salute di persone, animali, piante e ambiente siano interdipendenti tra loro

Mara Guarino

Quando si pensa alle pressioni che gravano sul Servizio Sanitario Nazionale, la mente corre soprattutto ai trend demografici che, se non associati a prospettive di invecchiamento in buona salute (come sembrerebbe purtroppo essere, statistiche alla mano, il caso nell’Italia), rischiano nel prossimo futuro di mettere a dura prova il nostro sistema di welfare pubblico e familiare. Preoccupazioni legittime, che hanno infatti ormai travalicato l’attenzione dei soli addetti ai lavori, a differenza di altri fattori critici, forse oggi meno noti ma non per questo meno preoccupanti per la salute dei concittadini e la tenuta della nostra sanità: uno su tutti, l’antibiotico-resistenza. Così come la definisce l’Agenzia Nazionale del Farmaco, una pandemia silente, che da qui al 2050 potrebbe diventare la prima causa di morte nel nostro PaeseE nel mondo, con l’Organizzazione Mondiale della Sanità che ipotizza a quella data circa 10 milioni di decessi sul piano globale. 

Secondo il Centro Europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), che ha presentato il suo ultimo rapporto di sorveglianza sul tema lo scorso 18 novembre,  in Europa si verificano ogni anno più di 670.000 infezioni da germi antibiotico-resistenti, per un totale di oltre 35mila decessi provocati: a capeggiare questa triste classifica proprio l’Italia dove, stando alle stime dell’ECDC, le morti cause da infezioni resistenti agli antimicrobici sarebbero circa 12mila, pari a circa un terzo di tutti i decessi che si verificano in ospedale. Nel biennio 2022-2023 sono stati 430mila i ricoverati che hanno contratto un’infezione durante la degenza, l’8,2% del totale dei pazienti, contro una media UE pari al 6,5% (a fare peggio solo il Portogallo con l’8,9%). Numeri che da soli bastano a spiegare come mai l’antibiotico-resistenza sia uno dei principali problemi di sanità pubblica a livello globale e nazionale, con importanti implicazioni sia dal punto di vista prettamente clinico, dall’aumento della mortalità alla maggiore possibilità di sviluppo di complicanze, sia in termini puramente economici, alla luce del maggior costo richiesto - nel migliore degli scenari - da degenze più lunghe e complicate. Come efficacemnte sintetizza l’AIFA, in buona sostanza, ci si ammala e si spende di più.

 

I numeri dell'antibiotico-resistenza e il ruolo dell’appropriatezza prescrittiva

Ma in cosa consiste esattamente l’antibiotico-resistenza  (AMR- Antimicrobial Resistance) e quali ne sono le principali cause, tra falsi miti e mezze verità? Semplificando e demandando a testi scientifici per approfondimenti più accurati, si tratta di quel fenomeno che si verifica quando gli antibiotici, farmaci usati principalmente per contrastare l’azione dei batteri, perdono di efficacia; eventualità che in senso più ampio inizia a coinvolgere anche antivirali, antifungini e antiparassitari. Le cause sono varie e spesso interrelate tra di loro: in particolare, non bisogna dimenticare che, in una certa misura, il fenomeno avviene in maniera naturale e spontanea, con i batteri che sviluppano “nuove difese” ai medicinali principalmente grazie a mutazioni genetiche. Un uso eccessivo o inappropriato di antibiotici dà però ai batteri maggiori opportunità di evolversi e adattarsi, guadagnando resistenza ai farmaci: ecco perché abitudini e tendenze, come l’aumentato impiego sia in medicina umana che veterinaria sia l’utilizzo in zootecnia e agricoltura, sono più o meno a ragione finite sul banco degli imputati negli ultimi anni. 

Ancora una volta, per fare chiarezza, bene partire da qualche dato concreto, a cominciare da quello che vuole il 75% delle infezioni da batteri resistenti agli antibiotici imputabile a infezioni correlate all’assistenza (ICA). Nonostante l’elevato numero di infezioni registrate, negli ospedali italiani gli antibiotici sono somministrati al 44,7% dei degenti, contro una media europea del 33,7%: come evidenzia l’AIFA, un cane che si morde la coda, visto che l’uso così massiccio non solo non abbatte i decessi nel confronto con il resto dell’UE ma agevola la nascita di superbatteri resistenti a quegli stessi farmaci. Enorme poi l’impatto economico, con un costo stimato fino a 2,4 miliardi l’anno e circa 2,7 milioni di posti letto occupati: risorse che potrebbero essere più virtuosamente investite nell’ammodernamento delle strutture ospedaliere. Si stima infatti che l’impatto di queste infezioni si potrebbe ridurre almeno del 30% lavorando sull’edilizia sanitaria e, in particolare, su impianti di riscaldamento e aria condizionata, a oggi importante veicolo di diffusione di microbi e agenti patogeni vari. 

Il tutto senza trascurare un tema che travalica l’ambito nosocomiale, vale a dire dell’appropriatezza prescrittiva, cui spesso si affianca anche l’impiego di antibiotici, da parte dei pazienti, con terapie e dosaggi fai da te. Nonostante le campagne di sensibilizzazione l’uso degli antibiotici in Italia è in aumento tanto che, come riportato nell’ultimo Rapporto AIFAnel 2023 il consumo complessivo per uso sistemico, pubblico e privato, è stato pari a 22,4 dosi medie giornaliere ogni mille abitanti, con un aumento del 5,4% rispetto al 2022 e una variazione ancor più elevata se si considerano solo gli antibiotici dispensati a livello territoriale (+6,3%). In crescita anche il consumo di antibiotici per uso locale che, con una media di 28 dosi giornaliere ogni mille abitanti, ha registrato sul 2022 un incremento del 4,3%. Valori che mantengono l’Italia al di sopra della media nel confronto con molti Paesi europei, con un’ulteriore “aggravante”, che vede il nostro Paese tra quelli che fanno più ricorso a molecole ad ampio spettro, a maggiore impatto sulle resistenze antibiotiche e pertanto considerate di seconda linea. Detto altrimenti, il gap con l’Europa non riguarda solo i consumi (l’Italia è, rispettivamente, settima e sesta in UE per consumo complessivo a livello territoriale e consumo ospedaliero) ma anche la tipologia di farmaci somministrati: il rapporto del consumo di molecole ad ampio spettro rispetto a quello di molecole a spettro più ristretto risulta infatti molto più elevato rispetto alla media (13,6% contro il 5,5%). 

Fa poi riflettere sul tema dell’appropriatezza prescrittiva anche la forte variabilità regionale dei consumi, decisamente più elevati al Sud: se al Nord sono 12,4 e al Centro 16,4 le dosi medie acquistate in farmacia in regime di assistenza pubblica , nel Mezzogiorno – dove la maggiore difficoltà di accesso alle cure potrebbe spiegare maggiori prescrizioni a carattere cautelativo - questo valore arriva a quota 18,9 dosi medie giornaliere. Interessante per le stesse ragioni anche lo spaccato per fasce anagrafiche. dal 2022 al 2023 la percentuale di bambini e ragazzi fino a 13 anni che hanno ricevuto almeno una prescrizione di antibiotici per uso sistemico è salita dal 33,7% al 40,9%; per gli over 65 il valore è addirittura pari al 48%, +1,5% rispetto al 2022. Non solo, i dati relativi all’ambito pediatrico rivelano ancora una volta, soprattutto al Centro e al Sud, la preferenza per molecole ad ampio spettro, indice – come scrive l’AIFA -  di un problema di inappropriatezza prescrittiva che richiede interventi mirati. 

 

Gli antibiotici a uso veterinario: quali implicazioni? 

Insomma, come ben riassume sempre l’AIFA nel suo ultimo Rapporto Nazionale sull’uso degli antibiotici, la scoperta e l’utilizzo degli antibiotici nella pratica clinica hanno contribuito in modo determinante a migliorare lo stato di salute della popolazione mondiale. Tuttavia, il loro uso eccessivo e inappropriato sta contribuendo ad accelerare la diffusione dell’antibiotico-resistenza, una priorità in ambito sanitario cui nel 2017 l’Europa ha reagito adottando uno specifico piano d’azione, con il duplice obiettivo di ridurre il divario tra gli Stati membri per quanto riguarda l’uso degli antibiotici e di incoraggiare l’adozione e l’attuazione di piani nazionali di contrasto all’antimicrobico-resistenza. Sotto i riflettori, oltre al consumo umano, anche quello in ambito veterinario: benché la causa principale di resistenza nei microrganismi che interessano l’uomo sia proprio l’uso degli antimicrobici in medicina umana, parte del problema sarebbe cioè da imputare anche all’uso degli stessi antimicrobici negli animali d’affezione e/o destinati alla produzione alimentare. 

Un fenomeno, anche per evitare sotto o sovrastime, che può essere utile inquadrare – ancora una volta senza pretesa di esaustività - proprio nel confronto tra consumo negli esseri umani e negli animali destinati alla produzione di alimenti. Secondo il Rapporto AIFA, nel 2023 sono state consumate 1248,5 tonnellate di antibiotici, 597,3 in ambito umano e 651,2 in ambito veterinario, con un consumo medio ponderato tuttavia superare negli esseri umani: 159,6 mg/kg rispetto 104,7 mg/kg agli animali destinati alla produzione alimentare. Diverse le classi di antibiotici maggiormente sollecitate, con la sola eccezione delle penicilline, che rappresentano la prima categoria per consumo sia in ambito veterinario che umano. Fatta questa premessa, l’impiego delle stesse classi di farmaci seppur con diversi ordini di priorità contribuisce ad alimentare lo sviluppo della resistenza. Il tutto mentre, parallelamente, lo sfruttamento degli ecosistemi, la perdita di biodiversità e suolo e il cambiamento climatico stanno invece contribuendo in modo significativo ad aumentare il rischio di zoonosi, ovvero di malattie che si trasmettono direttamente o indirettamente dagli animali all’uomo, e viceversa.

 

L’approccio One Health: quali possibili soluzioni all'antibiotico-resistenza? 

Di qui l’importanza di una risposta multisettoriale che, proprio come vuol suggerire la definizione One Health fatta propria anche dall’Unione Europea, riconosca che la salute delle persone, degli animali, delle piante e dell’ambiente sono strettamente collegate e interdipendenti. Un approccio integrato e unificante, che mira a equilibrare e ottimizzare sostenibilmente la salute di persone, animali ed ecosistemi, ribadito con forza anche dalla raccomandazione del Consiglio dell’UE del 26 aprile 2023, la integra ed estende il piano del 2017 nell’intento di rafforzare ulteriormente le iniziative di contrasto all’antibiotico-resistenza nei settori della salute umana, veterinaria e ambientale: tra gli obiettivi fissati, una riduzione del 20% del consumo totale di antibiotici degli esseri umani, il raggiungimento del 65% dell’utilizzo di antibiotici del gruppo Access (semplificando, antibiotici a spettro ristretto associati a una minore probabilità di indurre fenomeni di resistenza) e il dimezzamento di quelli utilizzati per animali d’allevamento e in acquacoltura entro il 2030. Non occorre infatti trascurare che i residui di molecole antibiotiche nell’ambiente possono contaminare acqua, suolo e vegetazione, restando attivi e contribuendo così a rendere più resistenti i batteri che popolano quegli ambienti.  In linea con queste raccomandazioni la resistenza antimicrobica è stata poi inserita come componente chiave nell’attuale revisione della legislazione farmaceutica europea e nell’accordo internazionale sulla prevenzione e preparazione in materia di pandemie.

Contrastare un uso eccessivo e improprio degli antibiotici è insomma oggi una priorità a livello mondiale. Un’emergenza che richiede una risposta altrettanto vasta e stratificata, la quale non può tuttavia prescindere da un uso più consapevole di queste sostanze sia in ambito umano che veterinario. Richieste, dunque, sì consapevolezza ma anche prevenzione, sia in ambito ospedaliero dove i batteri resistenti agli antibiotici tendono a diffondersi maggiormente sia incentivando e promuovendo, a livello tanto finanziario quanto normativo, la ricerca di nuove molecole. 

Mara Guarino, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

8/5/2025

 
 
 

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