Spesa e mobilità sanitaria: quel gradiente Nord-Sud che persiste da troppo tempo

Nel corso del 2022 si conferma (purtroppo) il forte gradiente territoriale Nord-Sud della mobilità sanitaria: un risultato grave e che dovrebbe portare a importanti riflessioni sul nostro Servizio Sanitario Nazionale, ancor di più alla luce dell'andamento della spesa regionalizzata

Lorenzo Vaiani

Il Servizio Sanitario Nazionale è costituito […] secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio. […] Nell’ambito delle sue competenze persegue: a) il superamento degli squilibri territoriali nelle condizioni socio-sanitarie del Paese. 

Con queste parole nasce e viene istituito il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) nel 1978 (legge 883, 1978). 45 anni dopo il nostro Paese continua a non riuscire a garantire un livello equo ed eguale sul suo territorio nazionale, comportando così la necessità di spostarsi, solitamente risalendo lo Stivale, per poter trovare risposta ai bisogni di cura.

In base all’ultimo rapporto dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS), nel corso dell’anno 2022 la mobilità sanitaria ospedaliera è valsa poco meno di 2,7 miliardi di euro andando a recuperare quasi completamente i valori del periodo pre-pandemico (2,83 miliardi nel 2019). Confrontando questi due anni si osserva come restino sostanzialmente invariate le principali regioni attrattive e di fuga: da una parte, infatti, troviamo sempre Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, mentre dall’altra, Campania, Calabria e Sicilia. 

Nel dettaglio, la figura 1 mostra i saldi della mobilità regionale espressi in milioni di euro e raffrontando il dato 2019 con quello 2022. La Lombardia rimane la Regione italiana maggiormente attrattiva con un saldo positivo di quasi 362 milioni di euro (nel corso del 2019, quando è stato raggiunto il punto di massima, il saldo sfiorava i 500 milioni); segue l’Emilia-Romagna con un segno positivo di oltre 337 milioni di euro (297 nel 2019) e chiude al terzo posto, molto distante, il Veneto con un saldo positivo di 108 milioni, in crescita rispetto ai 93,4 del 2019. Sul lato opposto, si segnalano invece la Campania, che ha un saldo negativo superiore ai 200 milioni di euro nel 2022 e in riduzione di circa 40 milioni di euro in confronto al dato pre-pandemico, la Calabria che rispetto al 2019 mostra una dinamica pressoché identica (182 milioni nel 2019 179 nel 2022) e, infine, la Sicilia con un valore negativo di oltre 131 milioni (156 nel 2019).

Figura 1 – Saldi della mobilità sanitaria regionale, raffronto 2019-2022

Figura 1 – Saldi della mobilità sanitaria regionale, raffronto 2019-2022

Fonte: AGENAS

Emerge in maniera chiara ed evidente come sia presente e persistente un gradiente territoriale Nord-Sud che spinge a una forte mobilità sanitaria, la quale a sua volta, comporta e alimenta le difficoltà delle Regioni dalle quali i residenti fuggono, tanto che e non a caso 4 delle 5 Regioni con i saldi negativi maggiori sono sottoposte a Piani di Rientro. In vigore, in media, da 13-15 anni, il che dovrebbe far riflettere sulla quantomeno scarsa efficacia dello strumento.

Per capire quanto il fenomeno della mobilità ospedaliera sia estremamente persistente e fortemente radicato si consideri che, come sottolineato dalla dott.ssa Maria Pia Randazzo, Responsabile Unità Operativa Statistica e Flussi Informativi Sanitari di AGENAS, in occasione della presentazione dei dati 2022 sulla mobilità sanitaria interregionale: “Durante il 2020 e 2021 i volumi di fuga sono diminuiti mentre gli indici di fuga sono sovrapponibili a quanto registrato negli anni precedenti, questo fa capire come l’effetto di COVID sia intervenuto solo in termini di riduzione dei volumi mentre gli indici sono rimasti costanti”.

Ma come si è evoluta la spesa sanitaria regionale nel corso dell’ultimo quinquennio? Come emerge dalla Settima Regionalizzazione del Bilancio Previdenziale italiano a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, la spesa sanitaria a livello nazionale è cresciuta di 12 miliardi di euro passando dai 114,3 del 2017 ai 126,6 del 2021. A livello regionale le Regioni con gli incrementi assoluti più elevati sono: la Lombardia (+1,93 miliardi di euro), il Veneto (1,35 miliardi di euro), il Lazio (1,12), la Campania (1,09), e l’Emilia-Romagna (1,03). Tuttavia, dall'analisi della spesa sanitaria pro-capite emergono differenze importanti. Se a livello di media nazionale l’importo è cresciuto di circa 235 euro, in alcune Regioni (o province autonome) l’incremento è stato significativamente maggiore. Ad esempio, nella provincia autonoma di Bolzano e nella Valle d’Aosta, l’aumento è stato superiore ai 420 euro pro-capite; nel Molise è prossimo ai 311 euro e in Sardegna è di poco inferiore ai 300 euro. Viceversa, gli incrementi minori si osservano in Basilicata (150 euro pro-capite), Calabria (178) ma anche in Lombardia (191 euro); persino l’Emilia-Romagna è al di sotto della media nazionale con un aumento di 233 euro. 

Tabella 1 - Evoluzione della spesa sanitaria regionalizzata, confronto 2017-2019-2021
(spesa sanitaria e popolazione in milioni)

Tabella 1 - Evoluzione della spesa sanitaria regionalizzata, anni 2017-2021 (spesa sanitaria e popolazione in milioni)
Fonte: Settimo Rapporto “La Regionalizzazione del Bilancio Previdenziale italiano”, Itinerari Previdenziali

Come mostra la tabella, la spesa sanitaria regionale è sostanzialmente uniforme sul territorio nazionale e l’incremento di spesa registrato nel periodo considerato non è andato a beneficio delle cosiddette Regioni attrattive né tantomeno a discapito di quelle di fuga. Le ragioni dietro a questo persistente e grave gradiente Nord-Sud della mobilità sanitaria parrebbero dunque da rintracciare in meccanismi e dinamiche che vanno ben oltre la mera questione economica e di finanziamento della sanità regionale. 

Un punto di partenza può senza dubbio essere quello di rimodellizzare lo strumento dei Piani di Rientro e ripensare la figura del Commissario, poiché emerge in maniera abbastanza evidente come fino a oggi non abbiano portato benefici alle Regioni soggette a queste misure straordinarie; anzi, in alcuni casi, la situazione risulta perfino peggiornata. È indubbiamente solo uno degli aspetti sui quali occorre intervenire per riuscire finalmente a dare effettiva attuazione al dettame originario previsto dalla legge 78/883 ma, d’altronde, da qualche parte bisogna pur cominciare.  

Lorenzo Vaiani, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

27/12/2023 

 
 

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