Chi (e quanto) paga l'IRPEF? L'analisi per tipologia di contribuente

Dai dati MEF e Agenzie delle Entrate rielaborati dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali emergono evidenti squilibri relativi ai profili di distribuzione dei redditi dichiarati: a meritare attenzione non solo i divari territoriali ma anche quelli per tipologia di contribuente

Mara Guarino

Come rilevato dall’ultimo Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate Itinerari Previdenziali, il totale dei redditi prodotti nel 2023 e dichiarati nel 2024 ai fini IRPEF è ammontato a 1.028 miliardi, per un gettito generato - al netto di TIR e detrazioni - di 207,15 miliardi, di cui 185,58, vale a dire l’89,9%, di IRPEF ordinaria: valore in aumento del 9,43% rispetto all'anno precedente. Crescono sia i dichiaranti (42.570.078, a superare il record del 2008) sia i contribuenti/versanti, cioè coloro che corrispondono almeno 1 euro di IRPEF (33.540.428); crescono poi anche i contribuenti con redditi compresi superiori ai 20mila euro, mentre calano i dichiaranti per tutte le fasce di reddito fino a 20mila euro, che scendono da 22,356 a 21,241 milioni. Dati, se non positivi, quantomeno in miglioramento rispetto alle rilevazioni degli anni precedenti, che non devono distrarre l’attenzione dai pesanti squilibri del fisco italianomentre il carico fiscale resta sostanzialmente sulle spalle di uno sparuto ceto medio, persistono grandi disomogeneità anche nella ripartizione territoriale delle imposte, così come in quella relativa alla tipologia di contribuente. 

Dichiarazioni dei redditi ai fini IRPEF alla mano, come si redistribuisce il peso contributivo tra le diverse tipologie di contribuenti (dipendenti, autonomi, pensionati e altri contribuenti)? Questa una delle domande cui risponde la pubblicazione, realizzata dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali con il sostegno di CIDA, ricorrendo all’analisi per “reddito prevalente”: poiché l’individuazione delle tipologie di contribuenti sulla base della sola dichiarazione non è univoca, nella misura in cui il singolo contribuente può disporre di ricavi derivanti da diverse tipologie di reddito, per l’attribuzione a una delle categorie di dichiaranti viene cioè considerato il cosiddetto “reddito prevalente” ricavato dai dati resi pubblici dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. 

Figura 1 – L’analisi per tipologia di contribuente, anno di imposta 2023


Fonte: Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate 2025, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali


Lavoratori dipendenti 

Nel 2023, su un ammontare complessivo di IRPEF versata netta di 186 miliardi, i lavoratori dipendenti ne hanno corrisposti 101,195 miliardi,che divengono però 96,830 al netto dell’effetto TIR, trattamento di cui costituiscono i maggiori beneficiari: dati che indubbiamente rispecchiano tanto la numerosità della categoria, la quale rappresenta da sola il 53,3% del totale contribuenti (da considerare tuttavia che nei 22,70 milioni di soggetti censiti nell’anagrafe fiscale sono ricomprese anche posizioni temporanee), quanto la sua – per certi versi inevitabile – fedeltà contributiva. 

Di  pari passo con i miglioramenti fatti registrare dal mercato del lavoro italiano, il trend è oltretutto positivo rispetto al 2022. Aumenta il gettito, pari a poco più di 91 miliardi nella precedente rilevazione, per un peso sul totale dell’IRPEF ordinaria che sale dal 52,35% al 53,33%, e ammontano al 57,61% i (19,324 milioni su 33,540 milioni) i lavoratori subordinati che presentano una dichiarazione positiva. Di contro, i dipendenti con redditi negativi o con redditi da 0 a 15mila euro, i quali di fatto non corrispondono alcuna imposta, diminuiscono dai 7,9 milioni del 2022 ai 7,6 del 2023. A salire la scomposizione per fasce reddituali mostra poi i circa 2,764 milioni di lavoratori che dichiarano redditi da 15 a 20mila euro (186mila in meno rispetto al 2022) e versano un’IRPEF pari a circa 1.110 euro, vale a dire un’imposta inferiore al costo pro capite della spesa sanitaria (2.222 euro); seguono quindi i redditi tra 20 e 29mila euro lordi l’anno, vale a dire 6.209.448 di lavoratori rappresentativi del 27,35% del totale contribuenti della categoria e del 19,98% dell’IRPEF versata, e dunque quelli tra 29 e 35mila euro (l’11,78% del totale) che, con un’imposta media di 5.678 euro, vale a dire 4.510 euro per cittadino, corrispondono il 15,68% dell’IRPEF complessiva versata dai subordinati. 

A sobbarcarsi il grosso del carico fiscale è allora di fatto un 15,37% di contribuenti con redditi da 35mila euro in su: poco meno di 3,5 milioni di persone che versano il 62,19% dell’ammontare IRPEF derivante da lavoro dipendente. Ancora una volta, dati che impongono riflessioni innanzitutto sulla qualità della nostra occupazione e, in particolare sull’adeguatezza dell’offerta di lavoro, di salari (reali) e retribuzioni, che complice anche la bassa produttività del Paese, crescono a ritmi troppo modesti nel confronto con l’Europa. Senza trascurare poi le numerose proposte della politica su tagli del cuneo fiscale-contributivo: proposte che sembrano spesso ignorare il fatto che un’ampia fascia di popolazione già non versa imposte o ne corrisponde un ammontare neppure sufficiente a coprire i costi delle principali funzioni di welfare, diversamente da quel trascurato ceto medio che, con le proprie tasse, contribuisce invece attivamente a sostenere le finanze pubbliche. 


Lavoratori autonomi

Passando quindi agli autonomi, categoria nella quale sono ricompresi imprenditori, lavoratori autonomi abituali con partita IVA e partecipanti in società di personale e assimilate, ovvero le persone fisiche il cui reddito deriva in maggior parte da attività indipendenti, la pubblicazione evidenzia per il 2023 2.178.816 dichiaranti, valore in diminuzione di circa 54mila unità rispetto al 2022. Gli autonomi corrispondono pertanto al 5% circa del totale IRPEF complessivo: un valore di per sé piuttosto esiguo a fronte delle stime che vorrebbero almeno 5,684 lavoratori autonomi regolari operativi nel nostro Paese, ma che va ulteriormente pesato alla luce del fatto che sono solo 1.738.227 (-6.000 rispetto al 2022) quanti presentano una dichiarazione dei redditi positiva. 

Per quanto in calo, a riprova di un lento ma progressivo slittamento dei lavoratori con redditi bassi verso le fasce di reddito medio, si conferma elevata anche per questa categoria la percentuale di chi dichiara redditi fino a 15.000 euro lordi (il 30,52%), contribuendo al fisco con un’IRPEF media di 457 euro, che scende a 330 euro pro capite se rapportata ai cittadini. Seguono dunque i 241.891 (l’11,10%) di lavoratori autonomi con redditi tra 15mila e 20mila euro, i quali corrispondono un’IRPEF media di 2.104 euro l’anno (1.518 euro a cittadino) e, ancora, i 317.224 contribuenti (il 14,56%) con redditi tra 20 e 29mila euro che, con un’imposta media di 3.766 euro (2.718 per cittadino), corrispondono un’IRPEF quantomeno sufficiente a coprire i costi della spesa sanitaria pro capite.  Da segnalare poi i redditi tra 29 e 35mila euro lordi l’anno che rappresentano il 6,85% della categoria, per la quale versano il 3,22% del totale IRPEF e un’aliquota media di 5.763 euro (4.158 tenendo conto dei cittadini a carico). 

Anche tra gli autonomi, occorre prevedibilmente guardare ai redditi dai 35mila euro in su per individuare i contribuenti su cui pesa gran parte del carico fiscale: sopra questa soglia, la pubblicazione conta infatti il 36,97% dei contribuenti (contro il 15,37% dei lavoratori dipendenti) i quali corrispondono ben l’89,26% dell’intera IRPEF versata dalla categoria. Uno squilibrio, difficilmente sostenibile nel tempo, che si fa ancora più marcato se si considera che nel caso dei subordinati la stessa percentuale ammonta a poco più del 62% o, ancora, se si tiene conto dell’IRPEF complessivamente versata dalla categoria: malgrado l’esiguità degli autonomi, questi ultimi – e in particolar modo quanti dichiarano redditi al di sopra dei 35mila euro lordi – versano 26,70 miliardi di euro, cioè il 12,89% del totale del gettito IRPEF 2023. Dati nuovamente meritevoli di una riflessione, anche alla luce del rapporto diretto tra molti di questi lavoratori e il consumatore finale: situazione che, in assenza di adeguati controlli e strumenti di agevolazione, quali ad esempio “il contrasto di interessi”, favorisce sommerso e fenomeni di sotto-dichiarazione. 

 

Pensionati

Venendo quindi ai pensionati, sono 13,53 milioni – pari al 31,77% del totale dichiaranti - coloro che hanno presentato una dichiarazione dei redditi relativa all’anno fiscale 2023, a fronte di 11,106 milioni di versanti. Detto altrimenti, su un totale di 16.230.157 di percettori di prestazioni pensionistiche, circa la metà delle quali parzialmente o totalmente assistite, mentre 2,7 milioni di pensionati non hanno presentato alcuna dichiarazione, altri 2 milioni circa non ha pagato imposte, verosimilmente perché percettori di assegni di importo basso in assenza di altre fonti di reddito. Sono invece 57,37 i miliardi di euro versati per un importo totale al 30,91% del gettito IRPEF complessivo. 

Ancora una volta tuttavia utile guardare al dettaglio dei singoli scaglioni per cogliere eventuali punti critici del sistema. I pensionati con redditi fino a 7.500 euro sono 1.487.078 e pagano un’imposta media di soli 70 euro l’anno (51 euro se rapportata ai cittadini)  in conseguenza della “no tax area” ; tra 7.500 e 15mila euro lordi annui si colloca poi il 25,5% dei contribuenti pensionati, i quali versano il 4,10% dell’intera IRPEF con un’imposta media di 681 euro, pari 491 euro pro capite per cittadino. Il successivo 15,93% dichiara invece redditi tra 15 e 20mila euro l’anno, corrispondendo il 9,20% del totale IRPEF con un’aliquota media per contribuente di 2.450 euro. Sintetizzando, dunque,  il 52,42% dei pensionati, dichiara fino a 20mila euro di reddito complessivo e paga il 13,48% dell’IRPEF, trovandosi quasi totalmente a carico della collettività. 

Salendo in progressione, la pubblicazione individua dunque un 23,45% di pensionati che dichiarano tra 20 e 29mila euro l’anno e pagano il 23,87% dell’IRPEF totale, con un’imposta media per contribuente di 4.316 euro, e a seguire il 10,18% con redditi tra 29 e 35mila, i quali contribuiscono con 6.799 euro di IRPEF l’anno, vale a dire 4.906 euro annui tenendo conto dei cittadini a carico. I pensionati con redditi da 35mila euro in su sono solo il 13,94% e versano il 46,33% dell’IRPEF (contro il 36,97% degli autonomi che pagano l’89,27% e il 15,37%-62,19% dei dipendenti): l’imposta media in questo caso varia dai 10.427 euro per i redditi dai 35 ai 55mila euro ai 174.449 euro pro capite dei 608 pensionati con redditi superiori a 300mila euro. Giusto per avere un ordine di grandezza, si tratta di un importo pari a quello versato da 2.492 pensionati con redditi fino a 7.500 euro oppure a 256 pensionati con redditi fino a 15mila euro. 

 

I percettori di altri redditi

Demandando ad altre sedi le riflessioni relative sia alla forte componente assistenziale delle prestazioni pensionistiche italiane sia quelle riguardanti i loro importi, l’Osservatorio Itinerari Previdenziali passa infine in rassegna i “percettori di altri redditi”, vale a dire di redditi non imputabili a lavoro dipendente, autonomo o pensione, quali a titolo puramente esemplificativo i redditi da fabbricati, derivanti da tassazione separata o sostitutiva o da rendite e plusvalenze finanziarie. Proventi che, pur riguardando un discreto numero di dichiaranti (4.163.895, il 9,78% del totale), contribuiscono in maniera marginale al versamento delle imposte, per un totale di 4,648 miliardi di euro, pari al 2,5% dell’ammontare complessivo. Erano però quasi circa 6 nel 2022, a evidenziare un fenomeno interessante: benché questa categoria di contribuenti aumenti rispetto all’anno precedente di 161.964 unità, le imposte versate si riducono significativamente, per circa 1,430 miliardi. 

Ancora una volta significativa, infine, la ripartizione per classe di reddito, che vede l’88,75% dei contribuenti dichiarare redditi fino a 15.000 euro lordi versando un’imposta media di 147 euro. Sul versante opposto sono invece 3.359 (lo 0,08% del totale) quanti dichiarano redditi sopra i 300mila euro versando un’imposta media di 222.572 euro grazie alla quale contribuiscono soli al 16,09% dell’ammontare totale. 

 

Il quadro di sintesi

Riassumendo, l’imposta media pagata è pari a 4.265 euro annui per i dipendenti, a 4.241 euro per i pensionati e 12.255 euro per i lavoratori autonomi, imprenditori e liberi professionisti. Aggiungendo agli autonomi anche quelli con certificazione di lavoro autonomi, provvigioni e redditi diversi da CU, la media scende a 10.624 euro l’anno ma non può essere in ogni caso considerata rappresentativa della distribuzione del carico fiscale complessivo, anche perché va necessariamente messa in relazione con la percentuale dei versanti per le diverse categorie e fasce di reddito. 

Pur con questi presupposti, interessante però guardare a imposta minima e massima di ciascuna categoria: per i pensionati si tratta di 70 euro contro 174.449 euro pro capite, per gli autonomi di 60 euro pro capite contro 221.256.  Per i dipendenti, infine, la minima è addirittura negativa per i redditi fino a 15mila euro e quella massima di 273.763 euro, mentre il rapporto tra redditi della fascia mediana, cioè quelli tra 15 e 20mila euro (17,5mila euro in media) e quelli tra 200 e 300mila euro (250mila euro di media) è pari a 14,28 volte, a fronte dell’81,33 (84,81 considerando il TIR) ottenuto calcolando il rapporto tra le rispettive imposte medie. Un raffronto utile a rimarcare come deduzioni, forme indetraibilità e indeducibilità o riduzioni del carico a vantaggio dei soli redditi più bassi abbiano ormai scavato un solco forse fin troppo profondo nella (pur legittima) progressività del nostro sistema fiscale. 

Mara Guarino, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

23/10/2025

 
 

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