Quasi una prestazione e mezza per ogni pensionato (e spesso si tratta di assistenza)

Nel 2023 crescono di circa 140mila unità i trattamenti in pagamento in Italia: a pesare sui trend sia di breve che di lungo periodo, secondo i dati rielaborati dal Dodicesimo Rapporto Itinerari Previdenziali, soprattutto quelli di natura assistenziale. Cosa emerge dall'analisi per tipologia di prestazione

Mara Guarino

Ogni pensionato italiano riceve in media 1,421 prestazioni. Nel 2023, secondo i dati del Casellario INPS rielaborati dal Dodicesimo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, ne sono state infatti erogate 22.919.888, con una crescita di oltre 140mila trattamenti  (+0,65%) rispetto al precedente anno di rilevazione. 

Nel dettaglio, si tratta di 17.752.596 prestazioni erogate nella tipologia IVS, cui vanno aggiunte 4.540.149 pensioni assistenziali INPS e 627.143 prestazioni indennitarie dell’INAIL. Rispetto al 2022 calano quindi le pensioni indennitarie (-2,19%), mentre crescono sia le prestazioni IVS (+0,24%) sia quelle di natura assistenziale (+2,70%), cui va principalmente imputato l’aumento complessivo dei trattamenti somministrati, come emerge chiaramente dai trend di lungo corso: nel periodo compreso tra 2008-2023, si rileva una diminuzione di ben 787.407 prestazioni (-3,32%) cui ha contribuito però soprattutto l’andamento di pensioni IVS (-4,69%) e prestazioni indennitarie (-34,07%); in controtendenza i trattamenti assistenziali, che hanno invece registrato una variazione positiva del 9,95% (pari a 410.855 unità) nello stesso arco temporale. Numeri che devono necessariamente indurre a una riflessione, riguardante appunto non solo il numero dei trattamenti somministrati – su 3,63 residente in Italia 1 è pensionato – ma anche la tipologia delle prestazioni in pagamento. 

 

Le prestazioni IVS (invalidità, vecchiaia e superstiti)

Sono 17.752.596 le prestazioni erogate nella tipologia IVS (Gestioni INPS del settore privato, Gestioni INPS Dipendenti Pubblici-GPD, Casse Professionali e pensioni complementari), vale a dire il 77,5% del totale complessivo. Di queste, 8.041.265 sono pagate a pensionati uomini, mentre le restanti 9.711.331 – ossia il 54,9% del totale IVS – sono somministrate a pensionate di sesso femminile. Un dato percentuale su cui incidono fortemente le reversibilità, erogate in prevalenza a donne, che rappresentano l’85,8% della platea beneficiaria di trattamenti ai superstiti (circa 4,4 milioni in tutto)». Tanto che le proporzioni si invertono se si guarda agli importi dei trattamenti: su un ammontare complessivo per il 2023 di 314,894 miliardi di euro, 179,649 miliardi (il 57,1%) sono pagati agli uomini, mentre 135,245 miliardi (il 42,9%) a donne. «Proprio a proposito delle reversibilità – si  legge nel Rapporto – occorre però ricordare che gli assegni arrivano al massimo al 60% della pensione diretta, traducendosi non di rado in pensioni ai superstiti integrate al minimo, lì dove i limiti reddituali lo prevedano». A incidere sui diversi importi dei redditi pensionistici medi per genere, oltre a retribuzioni ancora troppo spesso inferiori per le donne, anche a parità di carriera, il fatto che le pensionate tendano poi a prevalere anche nelle prestazioni prodotte da “contribuzione” volontaria, spesso di importo modesto proprio perché caratterizzate da nastri contributivi modesti e/o frammentati, e nelle pensioni integrate al minimo. Ragione per la quale, come più volte ricordato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, «parlare di gender gap pensionistico è sì corretto dal punto di vista formale, guardando cioè solo ai freddi numeri, ma scorretto dal punto di vista sostanziale», come peraltro spesso accade quando si affronta il delicato tema degli importi delle pensioni: cause e soluzioni di questo divario vanno ricercate più nel mercato del lavoro che nel sistema previdenziale, all’intero del quale le donne scontano appunto tassi di occupazione inferiori a quelli degli uomini e livelli di contribuzione minori, sia per via delle retribuzioni sia come effetti di carriere meno continue e spesso associate al ricorso (anche involontario) al part-time. 

Venendo invece ai pensionamenti di vecchiaia (sono qui comprese pensioni di vecchiaia in senso stretto, anticipate e così via), il Casellario INPS ne registra 12.296.749, vale a dire il 53,7% del totale. Sempre l’Istituto, seppur non nell’ambito del Casellario, consente di indagare specificatamente le nuove prestazioni liquidate nel 2023: sono 265.058 quelle concesse a seguito del raggiungimento dell’età pensionabile (67 anni con 20 di contributi o 71 con 5 di contribuzione) e 254.821 quelle dovute a pensione anticipata (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, uno in meno per le donne) o altre soluzioni di meccanismo anticipato. In quest’ultimo caso, il calo rispetto al 2022 è significativo, -15,5%, e imputato al progressivo inasprimento dei requisiti da soddisfare per accedere alle varie Quote (dal 2023 Quota 102 è stata sostituita da Quota 103). 

Tabella 1 - Prestazioni pensionistiche e relativo importo medio per tipologia di pensione e sesso nel 2023Tabella 1 - Prestazioni pensionistiche e relativo importo medio per tipologia di pensione e sesso nel 2023

Fonte: Dodicesimo Rapporto sul Bilancio Previdenziale italiano, Itinerari Previdenziali

 

Le prestazioni di natura assistenziale

Secondo i dati dell'Archivio delle pensioni INPS e del Casellario Centrale dei Pensionati 2023 (pensioni di guerra), sono invece 4.245.498 i trattamenti assistenziali in pagamento, ancora una volta con un maggiore prevalenza per la componente femminile (2.497.088 prestazioni contro le 1.748.410 degli uomini). Tenendo quindi conto anche delle 102.724 pensioni di guerra, dirette e indirette, che vengono erogate direttamente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze per un costo che supera di poco il miliardo di euro, così come dei circa 4.000 trattamenti relativi a quanti percepiscono l’invalidità civile insieme all’indennità di accompagnamento, si ottiene che nel 2023 sono in pagamento 4,246 milioni di trattamenti di natura interamente assistenziale (invalidità civile, accompagnamento, assegni sociali, pensioni di guerra): 3.845.483 i beneficiari totalmente assistiti, per un costo totale annuo di 23,013 miliardi, in costante aumento malgrado il calo – fisiologico e costante – delle pensioni di guerra. Nello stesso anno, avremmo poi altre 6.780.748 prestazioni parzialmente assistenziali (maggiorazioni sociali, integrazioni al minimo, importo aggiuntivo, quattordicesima mensilità), di cui  2.259.766 integrazioni al trattamento minimo 

Tabella 2 - Prestazioni assistenziali e relativo importo medio per tipologia di pensione nel 2023

Tabella 2 - Prestazioni assistenziali e relativo importo medio per tipologia di pensione nel 2023
Fonte: Dodicesimo Rapporto sul Bilancio Previdenziale italiano, Itinerari Previdenziali

Passando dal numero di prestazioni a quello dei beneficiari, distinguo necessario nella misura in cui un soggetto può essere appunto titolare di più prestazioni, il Rapporto stima dunque 3.845.483 beneficiari di prestazione totalmente assistite e 2.711.508 beneficiari di trattamenti parzialmente assisiti, vale a dire erogati insieme e in somma a pensioni IVS o all’interno di prestazioni integralmente assistenziali, quali ad esempio integrazioni al minimo, maggiorazioni, sociali e importo aggiuntivo agli incapienti. Il che significa che, anche al netto delle duplicazioni (4.469.255) il 40,4% dei pensionati italiani (6.556.991 su 16.230.157) è totalmente o parzialmente assistito: secondo gli estensori della pubblicazione, un dato obiettivamente troppo elevato per un Paese che viene annoverato tra le principali economie mondiali. Tanto più se si considera che delle nuove pensioni liquidate dall’INPS nel corso del 2023, poco meno della metà – il 48,6% - è totalmente assistita (pensioni di invalidità civile, indennità di accompagnamento e assegni sociali). 

Con l’ulteriore aggravante che queste stime paiono in difetto, se si tiene conto di ulteriori prestazioni come la pensione di cittadinanza o, ancora, di  quelle categorie di pensionati che, per età e anzianità contributiva, possono beneficiare anche separatamente di un’ulteriore prestazione assistenziale. «Si tratta in ogni caso di dati su cui riflettere, innanzitutto perché questi trattamenti gravano in modo significativo sulla fiscalità generale, senza neppure essere soggetti a tassazione», il commento del Professor Alberto Brambilla, coordinatore della ricerca che, anche durante dell’evento di presentazione dello scorso gennaio, non ha quindi mancato di richiamare nuovamente l’attenzione sulla necessità di una razionalizzazione della spesa assistenziale, che ormai da troppo tempo appesantisce le finanze statali. «Le uscite per assistenza - rileva il Professore – sono cresciute di anno in anno complici prestazioni che, sotto la spinta di continue promesse elettorali e di misure a sostegno del reddito finite impropriamente sotto la voce “pensioni”, si sono sommate e sedimentate nella legislazione, senza che nessuno ne abbia mai previsto il riordino. Un quadro cui si aggiunge l’inefficienza dei controlli e della macchina organizzativa, ancor oggi priva di una banca dati centralizzata dell’assistenza»: eppure, solo un monitoraggio efficace tra i diversi enti erogatori (Stato, Regioni, Comuni, comunità), insieme a prove dei mezzi più efficaci e consistenti di un facilmente aggirabile ISEE, potrebbero permettere di contenere i costi, aiutando con servizi e strumenti adeguati, non sempre di natura necessariamente economica,  solo quanti hanno davvero bisogno.

Mara Guarino, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

7/4/2025

 
 

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