Fondazioni di origine Bancaria, valorizzare il patrimonio per perseguire la mission

Come si sono evoluti nel tempo gli investimenti delle Fondazioni di origine Bancaria? A partire dalle elaborazioni del Settimo Report Itinerari Previdenziali alcuni spunti di riflessione sulla capacità maturata negli anni dalle Fondazioni di conservare e valorizzare il proprio patrimonio

Michaela Camilleri

Dopo aver garantito un flusso di risorse straordinario a sostegno dell’assistenza sanitaria e delle fasce più deboli della popolazione nella fase emergenziale della pandemia da COVID-19 (oltre 130 milioni di euro tra stanziamenti e raccolte fondi), le Fondazioni di origine Bancaria hanno ripreso la loro tradizionale attività, intervenendo sui territori di riferimento per accompagnare le comunità verso una “nuova normalità”. Tutto ciò è stato possibile anche grazie alla capacità maturata negli anni dalle Fondazioni di conservare e valorizzare il proprio patrimonio. Le Fondazioni di origine Bancaria sono infatti un’importante realtà di investitori istituzionali che, tuttavia, a differenza di fondi pensione e Casse di Previdenza, non godono di flussi contributivi in entrata e, dunque, per perseguire la propria mission (perseguire, in rapporto prevalente con il territorio di riferimento, scopi di utilità sociale e promozione dello sviluppo economico) e garantire l’attività erogativa devono contare sul patrimonio accumulato e valorizzato anche attraverso la gestione finanziaria. Obiettivo primario resta quindi la salvaguardia del valore reale del portafoglio ottimizzando la combinazione tra redditività e rischio per conseguire rendimenti reali e (flussi) duraturi.

Qual è stato allora l’andamento del patrimonio delle Fondazioni negli ultimi anni e quali tendenze in materia di investimenti si sono registrate? 

Nel Settimo Report “Investitori istituzionali italiani: iscritti, risorse e gestori per l’anno 2019” curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali e presentato gli scorsi 8 e 9 settembre, viene analizzato l’andamento e la composizione del patrimonio delle Fondazioni di origine Bancaria, oltre alle modalità di gestione degli investimenti. In base ai dati di bilancio rielaborati nel Report e a quelli forniti da Acri, nel 2019 il patrimonio netto contabile delle 86 Fondazioni è passato da 39,7 miliardi (invariato dal 2016) a 40,3 miliardi di euro. Seppure il totale attivo si sia ridotto nel tempo (era pari a 52,8 miliardi nel 2011) attestandosi a 47 miliardi di euro, occorre considerare il rilevante importo delle erogazioni, pari a 24,1 miliardi tra il 2000 e il 2019, che sommate al patrimonio farebbero superare i 70 miliardi. L’andamento particolarmente positivo dei mercati finanziari nel corso del 2019 ha contribuito alla crescita del patrimonio netto e alla realizzazione di accantonamenti per il futuro. Il rendimento medio del patrimonio è stato del 6,5%, risultato che non si registrava dagli anni pre-crisi (più del doppio del 2018, anno in cui aveva segnato un 2,7% e maggiore del 5,3% del 2017).

Sotto il profilo della composizione del patrimonio, una quota rilevante è investita direttamente nella banca conferitaria di riferimento, seppure in costante diminuzione negli ultimi anni (per le prime 27 Fondazioni analizzate nel Report, dal 36% del 2014 al 26,5% del 2019) in linea con quanto previsto dal protocollo sottoscritto volontariamente tra le Fondazioni di origine Bancaria e il MEF, ovvero una riduzione graduale dell'esposizione entro il limite massimo del 33% del totale investito direttamente o indirettamente. Il rientro al 33% del patrimonio, che aveva subito un rallentamento negli ultimi due anni precedenti all’approssimarsi della scadenza (primavera 2018 o 2020 a seconda che si tratti di banca quotata o non), ha segnato un’accelerazione e le eccedenze si sono ridotte a pochi enti. Considerando anche la quota investita in Cassa Depositi e Prestiti e Fondazione Con il Sud, gli impieghi istituzionali delle prime 27 Fondazioni rappresentano il 30,38% del totale attivo (in calo rispetto al 38,6% del 2014).

Oltre agli investimenti istituzionali, le Fondazioni investono direttamente una quota del loro attivo (il restante 70% circa) tra immobili di proprietà, opere d’arte, strumenti finanziari e altre forme di investimento. 

Figura 1 – Sviluppo degli investimenti delle prime 27 Fondazioni di origine Bancaria per totale attivo, 2014-2019

Figura 1 - Sviluppo degli investimenti delle prime 27 Fondazioni di origine Bancaria per totale attivo, 2014-2019

Fonte: Settimo Report sugli Investitori istituzionali italiani a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Relativamente agli investimenti diretti, che rappresentano per il complesso delle Fondazioni bancarie i due terzi del totale dell’attivo, è necessario mettere in evidenza come la gestione di questa componente sia cambiata nel corso degli anni successivi alla crisi del 2008. Passato il tempo dei dividendi delle partecipazioni bancarie e degli interessi del portafoglio obbligazionario, che garantiva flussi di cassa costanti e duraturi, è cominciata la ricerca, intrapresa inizialmente dalle Fondazioni più grandi ma poi estesa gradualmente anche a quelle di dimensione media, di soluzioni di investimento che sapessero soddisfare nuove esigenze, tra cui riduzione dei rischi complessivi attraverso una diversificazione non solo geografica ma di settori, mercati e strumenti, maggiore flessibilità e dinamismo della gestione, gestori specializzati, presidio del risk management, semplificazione amministrativa, riduzione dei costi di gestione e ottimizzazione fiscale.

A fronte di queste mutate esigenze, nel corso degli anni, con un’accelerazione nel 2018 e 2019 e ancora in corso, si è rilevato un utilizzo sempre più frequente di piattaforme e comparti dedicati. Si tratta di veicoli in forma di fondi o sub-fondi SICAV UCITS ma più spesso di SIF, qualificati come Fondi Alternativi di diritto lussemburghese, contenitori indipendenti e con obiettivi di investimento dedicati anche per singola fondazione a cui far confluire parte o tutto il portafoglio finanziario non investito negli investimenti strategici (conferitaria, CDP, azioni italiane) o gli investimenti in fondi chiusi specializzati. 

Michaela Camilleri, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

30/9/2020

 
 

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