NEET, un lusso non più concesso

Il fenomeno dei NEET (giovani che non studiano né lavorano) costituisce ormai da diversi anni tanto un elemento di vulnerabilità per il sistema di istruzione/formazione quanto di criticità per quello produttivo. Un "lusso" che il nostro Paese non può più permettersi e al quale occorre trovare soluzioni concrete

Lorenzo Vaiani

Nel nostro Paese da diversi anni a questa parte persistono due fenomeni strettamente connessi e che riguardano direttamente i giovani italiani: il contenuto numero di laureati e il folto gruppo di coloro i quali decidono di non proseguire gli studi terziari e al contempo non riescono (o non vogliono/non hanno interesse) a trovare un impiego. 

Rispetto al tema della scarsa incidenza percentuale dei laureati nelle fasce più giovani della popolazione, e che vede il nostro Paese al penultimo posto in Europa, davanti alla sola Romania, i dati delle immatricolazioni registrate negli ultimi 5 anni offrono segnali non particolarmente incoraggianti. Fino al 2020, ovvero l’anno accademico 2019/2020, si è osservato un aumento nel numero di iscrizioni tanto per la componente femminile quanto quella maschile, rispettivamente cresciute del 6 e 7%, il che corrisponde in valori assoluti a un incremento degli immatricolati da 164,5mila a 186mila per le ragazze e da 133,7mila a 150mila per i ragazzi. Gli ultimi due anni, invece, mostrano un’inversione di tendenza, soprattutto per i maschi, preoccupante. Nell’anno accademico 2020/2021 (corrispondente all’anno 2021 della figura 1) si rileva una diminuzione, seppure lieve, nel numero di immatricolati nell’ordine di circa 5mila unità, con ogni probabilità dipesa, almeno in parte, dagli effetti della pandemia e che ha portato a un numero di nuovi iscritti pari a 148,3mila ragazzi e 183,3mila ragazze. Nell’ultimo anno, di contro, la riduzione prosegue solo per la componente maschile con 146,8mila nuove immatricolazioni (1,5mila unità in meno), mentre per quella femminile si osserva una parziale risalita (+1.000 unità) che, tuttavia, non ha permesso il recupero dei livelli pre-pandemici (182,2mila nel 2022 contro le 186mila dell’anno accademico 19/20).

Figura 1 – Numero di immatricolati e incidenza percentuale di NEET tra i 20-24enni, anni 2018-2022

Figura 1 – Numero di immatricolati e incidenza percentuale di NEET tra i 20-24enni, anni 2018-2022

Fonte: Istat e MUR

Sul versante opposto si colloca il fenomeno dei NEET, rispetto al quale purtroppo il nostro Paese è ai primi posti nelle classifiche europee con oltre 2 milioni di giovani. Focalizzando l’attenzione esclusivamente sulla fascia dei 20-24enni si nota come, fino al 2021, il numero di ragazzi e ragazze inoperosi fosse prossimo alle 790mila unità, ovvero circa il 40% dei NEET tra i 15 e i 29 anni. In termini di incidenza percentuale sui coetanei 20-24eeni il dato medio tra il 2018 e il 2021 è stato pari al 26%: oltre 1 ragazzo su 4 non era né occupato o in cerca di impiego né inserito all’interno di un percorso di formazione/istruzione. Inoltre, sino allo scorso anno l’incidenza percentuale era sempre stata leggermente superiore tra le femmine (in media il 27%) rispetto ai maschi (25,5%). Nel corso del 2022, invece, si è assistito a un duplice cambiamento: un calo generale dei NEET, scesi a 627mila unità corrispondenti al 21,5% (ovvero poco più di un 20-24enne su 4) e un’incidenza lievemente minore tra le ragazze (21,3%) che tra i ragazzi (21,6%), che in termini assoluti equivalgono rispettivamente a 299mila e 328mila persone.

Per quanto la riduzione registrata nell’ultimo anno sia positiva, il dato rimane tutt’oggi ancora troppo elevato, e ci posiziona ancora tra i primi Paesi in Europa. Si tratta di un “lusso” che nessun Paese potrebbe permettersi, tanto meno uno Stato come l’Italia soggetto già oggi, e ancor di più nei prossimi anni, a un forte invecchiamento della popolazione.

Un esempio virtuoso e che ha ottenuto risultati concreti nell’incentivare la prosecuzione del percorso di studi oltre la scuola superiore è il progetto "Percorsi. Spazio al futuro" realizzato da Fondazione Compagnia di San Paolo nella provincia di Torino. Si tratta di un programma di asset-building all’interno del quale gli studenti con un reddito non elevato, frequentanti il quarto o quinto anno delle scuole superiori, insieme alle loro famiglie, mettono da parte mensilmente piccole quantità di denaro (da 5 a 50 euro). Una volta terminato il percorso di studi l’ammontare totale che è stato accantonato viene quadruplicato dalla Fondazione e potrà essere utilizzato per coprire i costi dell’istruzione terziaria. L’iniziativa ha sostanzialmente due elementi distintivi e di pregio: a differenza di quanto previsto dalle classiche borse di studio, disponibili solo per gli alunni con rendimenti eccellenti, è rivolto alla totalità degli studenti delle scuole superiori, a prescindere dai loro voti in pagella o di quello dell’esame di maturità; vengono inoltre fornite competenze di natura economico-finanziaria e di gestione del risparmio ai ragazzi, responsabilizzati su quanto e come spendere i propri soldi.

È ragionevole supporre che se un progetto simile venisse replicato anche in altre regioni del Paese, soprattutto in quelle aree dove i tassi di immatricolazione sono particolarmente bassi e la presenza di NEET è significativamente elevata, potrebbe generare un duplice vantaggio: un incremento del numero di iscritti alla formazione terziaria di cui l'Italia ha estremo bisogno e, al contempo, una riduzione dell’incidenza percentuale di persone non inserite in percorsi di formazione, istruzione o occupate. 

Lorenzo Vaiani, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

11/12/2023

 
 
 

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