Oltre il soffitto di cristallo: istruzione, lavoro e il paradosso della felicità femminile in Italia
In Italia le donne sono numericamente prevalenti, ma meno presenti nel lavoro, in cui percepiscono il persistere di divari salariali e discriminazioni di carriera, mentre il carico domestico contribuisce allo squilibrio sistemico dei ruoli di genere. Unico strumento per livellare il gap? L'istruzione
Secondo i dati sullindice di femminilità rendicontati da INAPP nellindagine European Social Survey (ESS) Round 11  Differenze tra donne e uomini nelle percezioni e nelle opinioni su lavoro, uso del tempo, benessere, fiducia e valori  nei Paesi occidentalizzati il numero di donne è in media superiore a quello degli uomini: ogni 100 uomini ci sono circa 105 donne. Tuttavia, questa apparente prevalenza numerica di manodopera femminile potenzialmente impiegabile non si riflette sul tasso di occupazione, specialmente in Italia, dove la partecipazione delle donne al mondo del lavoro rimane nettamente inferiore rispetto a quella maschile, tanto che il Paese si colloca al terzultimo posto in Europa nella fascia detà 15-74 anni. Tanto più che linattività femminile, cioè la quota di donne che non lavorano e non cercano lavoro, supera quella maschile di circa dieci punti percentuali, segno di un problema strutturale e trasversale alle principali caratteristiche socio-demografiche.
Sebbene nel 2024 si sia registrato un miglioramento complessivo del tasso di occupazione, arrivato al 54,1%, il divario di genere resta marcato: le donne lavorano molto meno degli uomini, con una differenza di 16,9 punti percentuali a loro svantaggio. Questa disparità si riduce solo nei livelli più alti di istruzione: tra le persone con titolo di studio terziario la distanza scende a 5,8 punti, a riprova di quanto linvestimento sulleducazione scolastica sia una leva per incrementare la partecipazione femminile al mercato del lavoro. Basti valutare il confronto tra i livelli di istruzione e loccupazione: nella popolazione complessiva tra i 15 e i 74 anni, il 21% delle donne possiede un titolo universitario, contro il 15,8% degli uomini. Tuttavia, tra gli occupati, la quota di laureate sale al 34%, mentre quella maschile si ferma al 20,1%. Ciò indica che, linvestimento in capitale umano, inteso in termini di educazione scolastica, laddove analizzato in base al tasso occupazionale, avrebbe un maggiore ritorno per le donne che per gli uomini.
Come anticipato, resta in ogni caso elevato il tasso di inattività femminile, che nel 2024 ha raggiunto il 50,6%, con un distacco di oltre 17 punti rispetto agli uomini. Inoltre, tra le donne inattive, quasi 1 su 5 (18,5%) dichiara di non lavorare per motivi familiari o perché scoraggiata nella ricerca di un impiego, mentre tra gli uomini questa quota scende al 2,6%. Anche in questo caso, listruzione continua a giocare un ruolo determinante: solo il 6,2% delle donne con titolo di studio universitario è inattivo per queste ragioni.
Figura 1  Tasso di inattività in Italia per sesso, popolazione 15-74 anni, anni 2019-2024
Fonte: Elaborazione INAPP su dati Istat RCFL 2019-2024
Constatata la compagine occupazionale sul piano numerico, quali sono le percezioni di genere sul mondo del lavoro? Secondo lindagine INAPP, in media il 64,1% delle donne in Europa ritiene di essere trattato in modo meno equo degli uomini nei processi di assunzione, retribuzione e promozione; in Italia la percentuale si attesta al 58%. Riguardo alla retribuzione, oltre il 70% degli uomini che riconoscono una discriminazione femminile nelle carriere ritiene che questa si rifletta anche nei salari. Inoltre, tra chi ha esperienze lavorative, le donne che dichiarano di aver subito discriminazioni di genere nel processo di assunzione, a livello di retribuzione o di promozione sul lavoro sono oltre quattro volte gli uomini: 23,7% contro 5,5%, con valori italiani pari rispettivamente al 18,8% e al 4,3%.
Figura 2 - Quota di persone con esperienza di discriminazione di genere rispetto ai processi di assunzione, retribuzione, promozione, per sesso e per Paese (popolazione 15 anni o più con precedenti esperienze lavorative)
Fonte: Elaborazioni INAPP su dati ESS Round 11
In questo scenario, diventa opportuno affrontare il tema del soffitto di cristallo, ovvero quellinsieme di barriere invisibili che limita lascesa delle donne a ruoli dirigenziali, e di come possa entrare in gioco nel rapporto tra equità di genere e performance delle imprese.Dalla rilevazione INAPP emerge unevidente discrepanza di percezione tra uomini e donne: al 39% degli uomini che percepisce molto positiva la parità di dirigenti maschi e dirigenti donne fa da controaltare il 49,6% delle donne. Questo divario nella percezione suggerisce che, pur riconoscendo i progressi compiuti, le donne restano più consapevoli delle barriere che ancora ostacolano laccesso paritario ai ruoli di responsabilità. Sempre nellambito lavorativo, la ricerca evidenzia inoltre come le politiche per la parità retributiva e i congedi parentali, al centro della Direttiva Europea 2023/970, siano nodali per la riduzione del gender gap. In Italia, lopposizione a sanzioni per le aziende che non garantiscono la parità salariale è piuttosto bassa (5,4% tra le donne, 10% tra gli uomini), segno di un ampio consenso verso misure di equità. Tuttavia, la partecipazione maschile ai congedi parentali resta limitata, nonostante gli ampliamenti normativi dellultimo decennio, contribuendo al permanere di squilibri nella divisione dei ruoli familiari e professionali.
Nel complesso, il divario di genere resta un fenomeno strutturale e persistente, con tassi di inattività e disoccupazione femminile elevati. LItalia procede lentamente verso la media europea, a causa dellintreccio di fattori economici, culturali e istituzionali. Ne emerge lurgenza di politiche strutturali per conciliare lavoro e vita privata e di investimenti nellistruzione, in particolare per le donne, al fine di superare la segmentazione educativa e professionale che limita loro laccesso a certi settori e ruoli di responsabilità. La survey mette poi in luce anche una dissonanza di genere tra percezioni e realtà oggettiva: le disuguaglianze di genere sono più avvertite dalle donne, specie da quelle occupate, il che rende difficile creare un consenso condiviso sulle politiche da adottare. Tuttavia, latteggiamento generale verso lequità di genere è positivo, tanto da rappresentare una base culturale su cui costruire interventi più ambiziosi. Inoltre, in Italia più che altrove, la diversa interiorizzazione dei ruoli di genere, ancora radicata nelle nuove generazioni, continua a influenzare in modo significativo sia le pratiche quotidiane sia la percezione dei fenomeni discriminatori.
A tal proposito, un ulteriore aspetto interessante riguarda la distribuzione del tempo tra uomini e donne: le prime si dedicano maggiormente al lavoro domestico e di cura non retribuito, mentre i secondi al lavoro remunerato. Questa divisione genera uno squilibrio sistemico  definito either-or  che alimenta il divario economico e occupazionale. Quindi, le donne continuano a dedicare una parte significativa del proprio tempo alle attività di cura familiare, assumendo più spesso il ruolo di caregiver rispetto agli uomini. Secondo la Commissione europea (2022), un europeo su tre ha responsabilità di assistenza informale, ma tale impegno tiene lontane dal mercato del lavoro circa 8 milioni di donne. In Italia il divario è particolarmente marcato: il 28,7% delle donne svolge attività di cura non retribuita contro il 18,8% degli uomini,uno scarto di dieci punti percentuali.
Da ultimo, lindagine INAPP si sofferma sul tema del benessere soggettivo. Nonostante i progressi in termini di uguaglianza di genere e partecipazione al lavoro, la felicità relativa delle donne è in calo nei Paesi occidentali: è il cosiddetto paradosso della felicità femminile, secondo cui le donne, pur più presenti nella sfera pubblica, restano gravate da un doppio carico  professionale e domestico  che ne riduce la soddisfazione personale. In Italia, il 38,2% degli uomini si dichiara soddisfatto della propria vita, contro il 34,5% delle donne. Anche in questo caso, il livello di istruzione e la condizione occupazionale incidono positivamente sulla percezione del benessere. Tuttavia, il nostro Paese registra valori tra i più bassi dEuropa per felicità e benessere emotivo (media 8,1 contro 11,7 europea).
In sintesi, lItalia mostra ancora una forte asimmetria di genere, radicata in fattori economici, culturali e valoriali che continuano ad associare il maschile alla sfera pubblica e al successo. Questo squilibrio si riflette anche in una debole fiducia sociale e in una scarsa partecipazione civica, che limita il capitale sociale del Paese. Permangono però ampie disparità, soprattutto nel Mezzogiorno, che richiedono politiche più mirate per conciliare vita familiare e lavorativa e valorizzare pienamente il potenziale femminile nella società e nelleconomia. Tuttavia, laumento della scolarizzazione e della partecipazione femminile al lavoro segnala un cambiamento in corso, in cui listruzione emerge come leva decisiva non solo per lemancipazione economica, ma anche per promuovere lautonomia delle donne in una cultura equa e inclusiva.
Federica Cirone, Itinerari Previdenziali
29/10/2025
 
