Oltre l'inverno demografico: ripensare l'Italia che cambia
Invecchiamento della popolazione, riduzione delle nascite e trasformazioni della struttura familiare stanno delineando uno scenario con ripercussioni profonde sul futuro del Paese: alla luce delle recenti previsioni Istat, un'analisi critica dei trend in atto è doverosa anche per riconoscere le potenziali opportunità di una transizione non più trascurabile
Secondo le ultime previsioni Istat, lItalia si avvia verso una trasformazione demografica profonda e prolungata,che coinvolgerà sia il numero complessivo degli abitanti sia la loro composizione per età, territorio e organizzazione familiare. Tuttavia, si tratta della conferma a lungo raggio di un fenomeno attivo già da un decennio, innescatosi dopo il boom demografico che il mondo ha cavalcato a partire dal Secondo Dopoguerra. Per questo motivo, è improprio luso del termine trasformazione, che potrebbe condurre anche a una lettura negativa, dato il gradiente di novità non sempre ben accetto da un Paese che tende al tradizionalismo. Semmai, a volere essere precisi, si tratta di una transizione, tale per cui ci dovrà essere un ripensamento della società attuale, senza allarmismi, ma con tangibili opportunità (nuove, quelle sì) da cogliere.
Tornando al report dellIstituto nazionale di statistica, il dato più evidente riguarda la diminuzione della popolazione: a partire dal 2024, si prevede un calo costante, che porterà il Paese dagli attuali circa 59 milioni di abitanti a 58,5 milioni nel 2030, 54,7 milioni nel 2050 e 45,8 milioni nel 2080. In poco più di mezzo secolo, lItalia potrebbe perdere oltre 13 milioni di residenti, con un ritmo di riduzione che tende ad accelerare nel tempo. A livello territoriale, lo spopolamento non sarà omogeneo. Il Nord Italia, grazie a una maggiore attrattività economica e migratoria, potrebbe addirittura crescere leggermente fino al 2030, per poi iniziare una fase di declino, seppur più contenuto. Al contrario, il Centro e soprattutto il Mezzogiorno registreranno un immediato calo già nel breve termine. Il Sud, in particolare, rischia una perdita di popolazione molto marcata, pari a -7,9 milioni di abitanti nel 2080, di cui 3,4 milioni già entro il 2050, con ripercussioni sul tessuto economico e sociale locale.
Figura 1 - Popolazione residente per ripartizione geografica
Scenario mediano e intervallo di confidenza al 90%. Anni 2024-2080, 1 gennaio, dati in milioni (*)
Fonte: Istat, "Previsioni della popolazione residente e delle famiglie - Base 1/1/2024"
Le previsioni considerano anche quadri alternativi, che mostrano però margini di incertezza: nello scenario più favorevole, la popolazione nel 2080 si attesterebbe comunque intorno ai 52,8 milioni, mentre in quello più sfavorevole potrebbe scendere fino a 39 milioni. In entrambi i casi, il calo è inevitabile. «La misura dellincertezza associata alle varie ipotesi sul futuro comportamento demografico spinge ad affermare che fino al 2080 sarà improbabile riportare in equilibrio lodierna distanza tra nascite e decessi». Il rapporto Istat sancisce una constatazione già avanzata nelle analisi di Itinerari Previdenziali, laddove risulta già da tempo evidente che, pur riconoscendo limportanza di politiche a sostegno della natalità, è fondamentale non considerarle una soluzione immediata ai problemi demografici. Infatti, anche nellipotesi di un incremento delle nascite nel breve periodo, non si risolverebbe né linvecchiamento della popolazione né quella che viene segnalata come necessità di aumentare la forza lavoro più giovane, dal momento che i nati tra il 2024 e il 2027 si troverebbero ancora in età scolare quando il sistema attraverserà il picco della transizione demografica.
Dati alla mano, nellattuale scenario previsto dallIstituto, il massimo delle nascite risulta pari a 401mila unità nel 2038, con una crescita della fecondità stimata per donna che passa da 1,18 figli nel 2024 a 1,46 nel 2080. In tal senso, nemmeno i futuri flussi migratori saranno in grado di controbilanciare landamento negativo della dinamica naturale, a causa della perdita di attrattività del Paese nel contesto economico-occupazionale e dalla instabilità della scena geopolitica internazionale.
Un altro aspetto centrale della transizione demografica italiana è linvecchiamento della popolazione. La quota di persone con 65 anni o più, oggi pari al 24%, salirà al 35% entro il 2050, confermando il primato dellItalia come uno dei Paesi più longevi e anziani al mondo, con unetà media di 46,6 anni. Di conseguenza, si ridurrà drasticamente la fascia di popolazione in età lavorativa (15-64 anni), che passerà dal 63% attuale a circa il 54%, mentre anche la popolazione giovane (fino a 14 anni) scenderà sotto il 12%. Uno squilibrio generazionale si stima che la quota di ultrasessantacinquenni supererà di tre volte quella rappresentata da bambini e ragazzi che ha di recente sollevato interrogativi sulla sostenibilità del sistema previdenziale e sulla disponibilità di forza lavoro: se verosimilmente letà pensionabile andrà aumentando di pari passo con laspettativa di vita, allungando le carriere professionali, ripensare la qualità e le modalità delloccupazione senior diventa essenziale per gestire la transizione in corso e accompagnare i lavoratori verso una quiescenza serena e in salute. Considerazioni analoghe vanno poi fatte per attività di prevenzione, cura e assistenza della popolazione più anziana. Di fatti, linvecchiamento demografico, da intendersi come maggiore longevità, deve essere coadiuvato da un miglioramento della qualità della vita per svelare il ruolo fondamentale che i cosiddetti Silver assumeranno nella società e nelleconomia di domani, dato che, sempre secondo le stime di Itinerari Previdenziali, nel nostro Paese già oggi valgono tra i 323,5 e i 500 miliardi di euro.
Figura 2 - Età media della popolazione residente per ripartizione geografica, scenario mediano e intervallo di confidenza al 90%
Anni 2024-2080, 1 gennaio, in anni e decimi di anno (*)
Fonte: Istat, "Previsioni della popolazione residente e delle famiglie - Base 1/1/2024"
Landamento demografico si ripercuoterà silenziosamente, ma inevitabilmente anche sulla composizione delle famiglie italiane, il cui sviluppo seguirà uno schema a parabola: una crescita prevista fino al 2040, seguita da una decrescita. Le coppie con figli, un tempo modello prevalente, continueranno a diminuire, passando da circa 7,6 a 5,7 milioni. Al contrario, cresceranno leggermente le coppie senza figli, che nel 2050 potrebbero costituire il 21% dei nuclei familiari. Poi, per effetto della minore stabilità matrimoniale, aumenteranno anche le famiglie con un solo genitore, comprese quelle con padri soli (la loro quota passerà dal 21% al 25% tra i monogenitori, sebbene il primato rimarrà ai nuclei con madri sole). Nel complesso, il numero medio di componenti per famiglia si ridurrà da 2,21 a 2,03.
Nel 2024, i nuclei composti da una sola persona rappresentano già oltre un terzo del totale e nel 2050 potrebbero superare il 41%. Occorre sottolineare che anche nella conformazione delle famiglie monocomponenti gioca un ruolo fondamentale il progressivo aumentare delle persone in età avanzata, le quali arriveranno a una quota di 6,5 milioni nel 2050. In questottica, è importante ribadire quanto possa rivelarsi lungimirante investire in uno degli aspetti più rilevanti della transizione demografica in corso, la crescita della popolazione Silver. In tal senso, avviare percorsi di active ageing, sia nel pubblico sia nel privato, consentirebbe alle persone di restare attivamente coinvolte nel mercato del lavoro e nella vita sociale, svolgendo compiti adatti alla loro età. In questo modo si costruirebbe una società più inclusiva, sostenibile e umana.
Figura 3 - Famiglie per principali tipologie e ripartizione geografica, scenario mediano
Anni 2024 e 2050, valori percentuali
Fonte: Istat, "Previsioni della popolazione residente e delle famiglie - Base 1/1/2024"
In sintesi, lItalia del futuro sarà un Paese più piccolo, più anziano e più solo. Ma non bisogna interpretare questa previsione come una nefasta profezia che incombe sulla nazione. A discapito di una narrazione politica e mediatica, nella maggior parte dei casi allarmista su culle vuote e mancanza di giovane forza lavoro, questi cambiamenti pongono sfide strutturali cruciali che ricalibreranno gli equilibri italiani verso un nuovo orizzonte. Ovviamente, per sfruttare le prospettive che ci aspettano, rendendole rampe di lancio e non voragini dove sprofondare, sarà necessario ripensare le politiche familiari, lorganizzazione del lavoro, il sistema sanitario e quello pensionistico. Le previsioni Istat non rendicontano dati negativi, ma un invito a riflettere sul tipo di società che si intende costruire nei prossimi decenni, in un contesto in cui la demografia diventa sempre più determinante per il benessere collettivo e la coesione sociale.
Federica Cirone, Itinerari Previdenziali
20/8/2025