Rapporto BES 2021: come va la vita in Italia? Il benessere economico degli italiani

Il 21 aprile l'Istat ha pubblicato l’edizione 2021 del Rapporto sul benessere equo e sostenibile (BES): uno strumento, riprendendo le parole del Presidente Blangiardo, imprescindibile per provare a rispondere alla domanda “come va la vita in Italia?”, poiché permette di evidenziare le aree dove si manifestano disuguaglianze e di individuare i gruppi più svantaggiati 

Lorenzo Vaiani

Nelle scorse settimane sono stati esaminati alcuni dei capitoli che costituiscono il Rapporto BES 2021, mettendo in evidenza gli aspetti centrali dei dominii relativi a: Istruzione e formazione, Lavoro e conciliazione dei tempi di vita, Salute e Qualità dei servizi. L’ultimo aspetto che occorre analizzare è quello legato al Benessere economico, ovvero il quarto capitolo del Rapporto.

Il benessere economico delle famiglie italiane risulta essere in calo nell’ultimo anno; a livello nazionale il 30,6% dei nuclei familiari dichiara infatti che la propria situazione economica è peggiorata rispetto all’anno precedente. Una percentuale che è in costante aumento da quando è iniziata la pandemia: era pari al 25,8% nel 2019 ed è salita al 29% nel corso del 2020. Inoltre, l’area dove si registrano i valori più elevati da due anni a questa parte è il Centro Italia: nel 2020 il 30,8% delle famiglie riportava un peggioramento del proprio benessere economico rispetto all’anno precedente, per poi salire ulteriormente nel 2021, attestandosi al 32,4%.

 

Il benessere economico delle famiglie italiane dopo COVID-19

Scendendo maggiormente nel dettaglio, dal capitolo 4 del Rapporto emerge che la pandemia da COVID-19 ha comportato una perdita di reddito per il 30,4% delle famiglie italiane che, nell’11,3% dei casi, hanno dovuto richiedere un aiuto economico a un familiare o un parente e in un ulteriore 9% si sono rivolte agli istituti di credito per chiedere prestiti o finanziamenti bancari. Un ulteriore dato allarmante riguarda poi il numero di persone in povertà assoluta. Dopo il significativo incremento registrato nel corso del 2020, quando la percentuale di individui in povertà assoluta è arrivata al 9,4% (con un aumento di quasi 2 punti rispetto al 2019), nel corso del 2021 la percentuale è rimasta invariata; il che significa che comunque oltre 5,5 milioni di persone, ovvero poco meno di due milioni di famiglie, hanno una spesa per consumi inferiore alla soglia della povertà assoluta, fissata dall’Istat per il 2021, a livello nazionale, a 629 euro al mese in caso di nuclei monocomponenti e a 1.049 euro nel caso di famiglie composte da due individui adulti. Per dare maggiore contezza di quanto questo numero debba far riflettere si pensi che corrisponde all’intera popolazione della Campania o alla somma degli abitanti delle province di Milano e di Torino.

A differenza di quanto visto in relazione al peggioramento della situazione economica, l’area del Paese con la percentuale maggiore di soggetti in povertà assoluta è il Mezzogiorno, dove il 12,1% degli abitanti è in uno stato di povertà; il valore in questione è di quasi 4 punti percentuali più alto rispetto alla seconda zona con la percentuale più elevata, vale a dire il Nord Italia (8,2%). Per quanto riguarda invece le tipologie familiari maggiormente soggette a uno stato di povertà, vanno innanzitutto segnalate le coppie con oltre 3 figli (un nucleo familiare su 5 con queste caratteristiche è in uno stato di povertà assoluta) e i nuclei composti interamente da persone straniere (in questo caso il valore è pari al 30,6%). I dati rivelano inoltre come la a presenza di figli minori all’interno della famiglia esponga maggiormente al rischio di povertà (+11,5%); al contrario, avere almeno un componente anziano riduce questo rischio: solo il 5,5% delle famiglie aventi un individuo over 65 al proprio interno è in una condizione di povertà assoluta. Una percentuale che conferma una volta di più l’importante ruolo di protezione svolto dei redditi da pensione, che permettono di avere entrate regolari per la famiglia. 

 

Perché misurare i livelli di povertà? 

D'altra parte, la misurazione dei livelli di povertà assoluta, sia rispetto alla numerosità della popolazione in stato di bisogno sia rispetto "all’intensità" della condizione di povertà, è fondamentale in quanto, come spiegato puntualmente in sede di presentazione del Rapporto dal professor Giancarlo Rovati, docente di Sociologia presso l’Università Cattolica di Milano, “questa [la povertà, n.d.r.] ha un valore emblematico per comprendere le tendenze in atto, poiché è la spia di una serie di svantaggi monetari, occupazionale e culturali che le politiche economiche e sociali non sono riuscite a contrastare, arginando soltanto il fenomeno”. Il professor Rovati ha poi sottolineato come “il reddito di cittadinanza e gli altri sussidi economici adoperati risultano essere inefficienti più che insufficienti sia perché non adeguatamente mirati sulle fasce più deboli sia perché non adeguatamente accompagnati da azioni finalizzate allo sviluppo dell’occupazione, fondamentale tassello dell’inclusione sociale attiva. Il principale antidoto alla povertà consiste nello sviluppo di occasioni di lavoro regolare e dignitoso piuttosto che  nell’erogazione di sussidi, seppure questi restino necessari per fornire una rete di sostegno durante le crisi, ma rischiano di essere controproducenti se non poggiano su una struttura economica dinamica e in grado di produrre inclusione occupazionale; infatti, senza questa leva si alimentano i rischi della trappola della povertà anche per chi sarebbe in grado di svolgere un lavoro”. 

Dati e rilevazioni che, come più volte sottolineato anche dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, sembrano dunque puntare i riflettori su un paradosso che il nostro Paese vive ormai da anni: aumenta la spesa per il welfare (e soprattutto per misure assistenziali) ma cresce di pari passo anche il numero di persone che si trovano in condizioni di povertà, a riprova della messa in campo di soluzioni spesso inefficaci, anche perché forse più mirate a trovare facili consensi che a risolvere il problema alla radice. 

 

Il Rapporto BES 2021: l'impatto di COVID-19

In conclusione, in questo e nei precedenti articoli, sono stati esaminati alcuni dei domini chiave del Rapporto BES 2021; questo ha permesso di individuare le aree dove si sono manifestate le principali disuguaglianze e di individuare i gruppi più svantaggiati.

Oltre a ciò, è emerso chiaramente come a livello nazionale la situazione economica, sociale, sanitaria, lavorativa e scolastica siano state fortemente condizionate e gravate dai 2 anni di pandemia. Risulta pertanto chiaro come l’emergenza sanitaria, anche se ufficialmente terminata, abbia lasciato importanti segni e cicatrici nel tessuto del Paese. Per questo motivo, non solo sarà fondamentale continuare a monitorare questi aspetti negli anni a venire, anche con l’ausilio delle prossime edizioni del Rapporto BES, ma anche adottare efficaci azioni e strumenti per temperare i danni causati, direttamente o indirettamente, da COVID-19.

Lorenzo Vaiani, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

29/6/2022                                    

 
 

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