L'economia globale alla prova dei dazi: l'outlook 2026 tra luci e ombre

Dopo l'iniziale resilienza, e benché il pieno impatto dei dazi USA debba ancora manifestarsi, l'economia globale comincia a mostrare segnali di rallentamento: l'azione delle Banche Centrali è complicata dai rischi di ripresa dell'inflazione e l'indebolimento delle prospettive di crescita, mentre i mercati continuano a viaggiare sui massimi. Cosa attendersi per il 2026?

Bruno Bernasconi

Il caos seguito all’annuncio di pesanti dazi USA da parte di Trump lo scorso aprile, nel cosiddetto Liberation Day, lasciava presagire un 2025 fortemente negativo per l’economia e per i mercati finanziari. In realtà, la crescita globale si è dimostrata più resiliente del previsto, anche grazie all'anticipazione degli scambi commerciali avvenuta in vista dell'aumento delle tariffe, e i listini azionari dopo un iniziale crollo hanno rapidamente recuperato terreno fino a portarsi si nuovi massimi. 

Il Fondo monetario internazionale ha messo però in guardia sul fatto che affermare che lo shock innescato dall’incremento dei dazi non avrà alcun effetto rischia di essere prematuro. Dopo la buona tenuta del primo semestre, l’economia globale sta cominciando a mostrare segnali di un moderato rallentamento e l’apparente resilienza sembra essere legata a fattori temporanei più che alla solidità dei fondamentali. 

Il pieno impatto degli aumenti dei dazi, infatti, non si è ancora pienamente manifestato e, da un lato, l’aliquota effettiva complessiva delle tariffe americane a fine agosto è salita a oltre il 19% (la più alta dal 1933, ricorda l’OCSE), mentre dall’altro l’incertezza rimane su livelli elevati e le tensioni commerciali, a cominciare da quelle tra Stati Uniti e Cina, continuano a gettare ombre sulle prospettive di crescita. Dopo diverse schermaglie minacce reciproche, Washington e Pechino hanno siglato un ulteriore accordo sui dazi che però nella sostanza rappresenta solo una tregua in una partita ben lungi dal risolversi nel breve periodo data anche la posta in palio, con la Cina che dal canto suo può vantare una posizione di estrema forza nelle terre rare e la volontà non segreta dei Brics di sovvertire l’attuale ordine mondiale a guida americana. 

Dagli Stati Uniti arrivano poi ulteriori incognite: terminato il più lungo shutdown della storia, che tra le altre cose ha provocato dei ritardi nella diffusione di dati economici ufficiali complicando il compito di formulare previsioni, resta il tema dell’indipendenza della Federal Reserve, messa in dubbio dalle pressioni di Trump e dalla nomina di Stephen Miran, con il rischio di erodere la credibilità delle politiche monetarie minando la capacità di mantenere la stabilità dei prezzi e aumentando la volatilità sui mercati. 

Il tutto mentre ha rallentato il processo di disinflazione, continuando a rimanere oltre il target del 2% e dovendo affrontare diversi rischi al rialzo. Le stime OCSE indicano una risalita dell’inflazione Usa dal 2,5% del 2024 al 2,7% nel 2025 e al 3% nel 2026, mentre nel complesso nelle economie del G20 calerà dal 3,4 % nel 2025 al 2,9 % nel 2026, con un'inflazione di fondo stabile al 2,6% nel 2025 e al 2,5% nel 2026. 

Per quanto riguarda il PIL mondiale, come detto, alcuni fattori temporanei che hanno sostenuto l’attività nel primo semestre stanno venendo meno, mentre le persistenti incertezze politiche continueranno a pesare su commercio e investimenti. L’OCSE prevede un rallentamento della crescita globale dal 3,3% del 2024 al 3,2% quest’anno e al 2,9% il prossimo: in particolare, negli Stati Uniti calerà dal 2,8% registrato nel 2024 all'1,8% nel 2025 e all'1,5% nel 2026; nella zona euro, la crescita del PIL (+0,8% nel 2024) dovrebbe attestarsi all'1,2% nel 2025 e all'1% nel 2026; la Cina (+5% nel 2024) si attesterà al 4,9% nel 2025 e al 4,4% nel 2026.

Capitolo mercati, il rally guidato dal settore tecnologico sull’onda del boom dell’intelligenza artificiale ha acceso qualche campanello dall’allarme sul rischio di trovarsi di fronte a una nuova bolla delle dot-com, sebbene la situazione a livello di fondamentali appare ben diversa da quella di inizio anni Duemila. La crescita dei corsi azionari è stata accompagnata da una parallela crescita degli utili, ma le elevate valutazioni raggiunte implicano il difficile compito di dover continuare a battere ampiamente le attese su risultati e guidance per evitare di incorrere nel pericolo di brusche correzioni con conseguenze sistemiche, considerando la concentrazione delle performance in pochi titoli all’interno degli indici globali. 

Sullo sfondo (ma neanche a troppo) aumentano le preoccupazioni circa lo stato di salute delle finanze pubbliche di diversi Paesi, con la necessità di mantenere il rigore nelle politiche fiscali che spesso mal si concilia con il consenso politico. L’indebolimento delle prospettive di crescita ed elevati livelli di debito, unito alle crescenti pressioni di spesa in ambiti quali la difesa e per l’invecchiamento della popolazione, rendono più complessa la sfida dell’equilibrio di bilancio, lasciando al contempo minore spazio di manovra per affrontare eventuali shock improvvisi. In Europa preoccupa in particolare la situazione della Francia ma anche la virtuosa Germania sembra aver intrapreso una traiettoria crescente nel rapporto debito/PIL, mentre oltreoceano la retorica aggressiva di Trump sul commercio e contro la Fed sembrano celare la volontà di garantire la sostenibilità di un deficit in crescita. 

Per gli investitori istituzionali tale contesto si traduce nella sfida di dover affrontare diverse incognite nella propria attività di investimento. I fondi pensione italiani hanno chiuso i primi nove mesi del 2025 con risultati nel complesso positivi, proseguendo il percorso di recupero di valore che li vede però ancora penalizzati nel confronto a tre e cinque anni con i parametri obiettivo del TFR e dell’inflazione. Al 30 settembre, i fondi negoziali hanno registrato rendimenti medi complessivi del 3,5%, i fondi aperti del 4,2% e i PIP di ramo III del 2,9%, mentre le gestioni separate di ramo I hanno segnato un +1,2%. Per i comparti azionari si riscontrano rendimenti medi del 5,5% nei fondi negoziali e del 7,1% in quelli aperti; nei PIP di ramo III il rendimento è stato del 4,6%. Nelle linee bilanciate i risultati sono in media pari al 3,7% nei fondi negoziali e al 4% nei fondi aperti; nei PIP sono, invece, pari all’1,7%. Rendimenti medi dell’ordine dell’1-2% si rilevano per i comparti obbligazionari e garantiti.

Quali prospettive quindi per i prossimi mesi in attesa che si diradino le nubi che offuscano l’outlook 2026? Quale sarà l’effettivo impatto dei dazi sull’economia globale e quale direzione prenderà la politica monetaria in un momento in cui le banche centrali navigano a vista? Questi i principali temi affrontati nel corso del tradizionale Convegno di Fine Anno organizzato da Itinerari Previdenziali, con l’obiettivo di fare il punto sui risultati consolidati dagli investitori istituzionali per il 2025 e sulle aspettative per il prossimo anno.

Bruno Bernasconi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

27/10/2025

 
 

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