Gli investimenti delle Fondazioni di origine Bancaria a sostegno dell'attività erogativa

Non potendo contare su flussi contributivi in entrata, le Fondazioni necessitano di un'attenta politica di investimento per garantire le risorse necessarie a svolgere la propria mission istituzionale. Gli strumenti del risparmio gestito confermano il loro peso predominante, senza dimenticare il naturale focus rivolto all’economia reale

Bruno Bernasconi

Le Fondazioni di origine Bancaria sono soggetti privati e autonomi ai quali, per legge, sono stati affidati due principali scopi: l’utilità sociale e la promozione dello sviluppo economico del territorio, svolgendo un’attività complementare a quella del settore pubblico pubblico nel fronteggiare i bisogni delle comunità locali. Per realizzare la propria mission istituzionale, le Fondazioni necessitano dunque di dotarsi di un’attenta politica di investimento del patrimonio che, non potendo contare su flussi contributivi in entrata, deve garantire rendimenti in grado di sostenere l’attività erogativa verso il tessuto socio-economico di riferimento.

Nel 2024 le erogazioni complessive sono state pari a 1.092,7 milioni di euro, in crescita dell’4,3% rispetto al 2023 e segnando il miglior risultato degli ultimi 14 anni, riuscendo al contempo ad accrescere la consistenza dei fondi di stabilizzazione, pari a circa 2,5 volte l’erogato annuale, così da garantire flussi erogativi futuri anche in eventuali situazioni sfavorevoli dei mercati.  Il tutto registrando un incremento del patrimonio netto contabile totale delle 85 Fondazioni di origine Bancaaria del 3,2% a 42,5 miliardi. Allargando il periodo di analisi, è interessante notare come l’evoluzione del patrimonio di questi enti a partire dal 2000 (anno di entrata in operatività della legge “Ciampi” che regolamenta l’attività delle Fondazioni) abbia conosciuto due fasi ben distinte che ben riflettono il differente contesto finanziario del primo decennio del nuovo millennio rispetto al secondo. 

Dal 2000 al 2010, infatti, il patrimonio è costantemente aumentato a un tasso medio annuo del 3,5%, mentre dal 2011 a oggi è diminuito mediamente dello 0,1%, principalmente per effetto delle conseguenze della crisi finanziaria iniziata nel 2008, a cui è seguita la crisi pandemica del 2020 e le successive turbolenze geopolitiche tutt’ora in corso. In questo arco di tempo di 24 anni, le Fondazioni hanno erogato complessivamente 28,2 miliardi di euro e accantonato ulteriori risorse per l’attività erogativa futura pari a circa 5,9 miliardi di euro, per un totale di oltre 34,1 miliardi di euro, assicurando sia il supporto al settore bancario nei momenti di difficoltà del 2008 e 2011 sia il sostegno alle collettività di riferimento. 

Ma come si configura quindi l’asset allocation di questi investitori istituzionali? Dal Dodicesimo Report sugli investitori istituzionali curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, che analizza la composizione delle prime 32 Fondazioni per dimensione (pari all’88,5% dell’attivo complessivo), emerge come una quota importante del patrimonio, pari al 26,7%, sia investita in partecipazioni istituzionali (che comprendono la principalmente la banca conferitaria e CDP), che svolgono un rilevante ruolo sul conto economico grazie ai flussi garantiti dalla distribuzione di dividendi. Il loro peso è però diminuito costantemente nel tempo (dal 31,4% nel 2017 al 26,7% nel 2024), complice soprattutto la riduzione delle partecipazioni nella banca conferitaria per effetto del processo di dismissione iniziato già nel 1994 con la direttiva “Dini” e ulteriormente sostenuto dal Protocollo Acri/MEF dell’aprile 2015.

Come già evidenziato, l’asset allocation delle Fondazioni deve riuscire a garantire la reddittività necessaria per adempiere agli obiettivi di missione, attraverso politiche mirate sia alla conservazione che alla valorizzazione del patrimonio nel tempo. Anche in un’ottica di maggiore diversificazione, Il peso maggiore rimane ricoperto dai fondi comuni di investimento per circa 22 miliardi, pari al 47% del totale attivo 2024, di cui la maggior parte (il 36,9%) riconducibile all’utilizzo di veicoli dedicati in forma di fondi, sub-fondi SICAV UCITS, o SIF, con obiettivi di investimento dedicati anche per singola Fondazione e che consentono maggiore flessibilità e rapidità di cambio delle strategie. Si tratta infatti di una modalità di gestione ibrida tra investimenti diretti e indiretti cui è riconducibile il progressivo calo negli anni del peso dei mandati di gestione individuali, diminuiti dal 2,7% del 2017 allo 0,5% del 2024, e degli OICR, dall’8,8% al 3,7%. 

Figura 1 - Le tipologie di investimenti in percentuale sul totale attivo, anno 2024

Figura 1 - Le tipologie di investimenti in percentuale sul totale attivo, anno 2024

Fonte: Dodicesimo Report “Investitori istituzionali italiani: iscritti, risorse e gestori per l’anno 2024”

Dall’altra parte, invece, è cresciuto il ricorso a strumenti alternativi nei private market (pari al 6,35% del totale attivo), tra cui si conferma rilevante il peso degli investimenti a impatto sociale (residenziale sanitario, housing sociale, programmi di rigenerazione urbana, etc) che rappresentano il 12% del totale investimenti in FIA, preceduti dal settore delle infrastrutture (18,4%), dal private equity (17,8%) e dai fondi immobiliari (14,3%).  Stabile all’11% la componente di azioni, mentre il rialzo dei tassi di interesse da parte delle Banche Centrali ha comportato un incremento nell’ultimo biennio del peso delle obbligazioni al 6,1%, rispetto al 5,3% del 2023 e al 3,7% del 2022 (era il 3,1% nel 2017). 

Infine, vale la pena sottolineare la storica attenzione delle Fondazioni, complice la loro origine e il forte legame con il territorio delle banche da cui sono nate, nei confronti degli investimenti in economia reale. Nel complesso, sul totale attivo di 45 miliardi delle 32 Fondazioni esaminate, 18,8 miliardi sono stati destinati all’economia reale italiana (il 41,7%), di cui 10,4 miliardi sono investiti nelle conferitarie. Considerando anche i titoli di Stato (più che raddoppiati tra il 2022 - 507 milioni – e il 2024 - 1.147 milioni) il peso complessivo crescerebbe al 44,3% sul totale attivo. Un dato verosimilmente sottostimato rispetto alla realtà in quanto non tiene conto della componente di investimenti reali italiani inseriti nelle piattaforme e nei fondi dedicati (e non facilmente individuabili dai bilanci), ma che soprattutto non esaurisce il contributo allo sviluppo del territorio delle Fondazioni, escludendo dal calcolo il flusso annuale delle erogazioni. Si tratta in media di un miliardo l’anno destinato, oltre alla tradizionale attività in favore dell’arte e della cultura, del volontariato, dell’assistenza sociale e della filantropia, sempre più anche ai settori della ricerca e sviluppo (trasferimento tecnologico, ricerca in campo medico, in campo dell’ingegneria), che pesa per il 12% sulle erogazioni totali, allo sviluppo locale (sviluppo economico locale e progetti di housing sociale) per l’8,3%, e al Fondo per la Repubblica digitale (8,5%). 

Bruno Bernasconi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

13/10/2025

 
 

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