I fondi pensione (negoziali e preesistenti) alla prova della sostenibilità

A un anno dall'entrata in vigore del Regolamento UE 2019/2088 – Sustainable Finance Disclosure Regulation, SFDR – trova conferma nella quarta edizione dell'indagine sugli investitori istituzionali a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali la crescente attenzione verso la sostenibilità da parte dei fondi pensione

Michaela Camilleri

A un anno dall’entrata in vigore del Regolamento (UE) 2019/2088 - Sustainable Finance Disclosure Regulation, SFDR - che definisce i requisiti di trasparenza per gli investimenti sostenibili, c’è stata una vera e propria rincorsa del mercato nell’offerta di prodotti che rispondano ai criteri individuati dalla normativa, in particolare dagli articoli 8 (promozione di caratteristiche ambientali e sociali) e 9 (investimenti sostenibili). La SFDR punta a prevenire il rischio di greenwashing, prevedendo rigorosi vincoli di rendicontazione degli investimenti sostenibili, oltre che delle policy utilizzate per attuare tali investimenti.

Il percorso della regolamentazione di secondo livello si è ormai avviato verso la fase finale e con le istruzioni di vigilanza in materia di trasparenza del dicembre 2020 la COVIP aveva già avviato il percorso per permettere ai fondi pensione adempiere agli obblighi informativi. È possibile valutare le scelte in materia di disclosure sulle tematiche ESG consultando le note informative nelle sezioni “Informazioni chiave per l'aderente” e Appendice “Informativa sulla sostenibilità”. Nella prima sezione, in relazione alle diverse le opzioni d'investimento, sono riportate le indicazioni sulla conformità dei comparti agli art. 8 e 9 del regolamento comunitario. Nell'appendice sulla sostenibilità, oltre a dare indicazioni più dettagliate sulle caratteristiche ambientali o sociali dei portafogli e sugli investimenti con obiettivo sostenibile, sono riportate informazioni circa l'integrazione dei rischi di sostenibilità (art. 6) e la considerazione dei principali effetti negativi degli investimenti per la sostenibilità.

Per comprendere il possibile impatto della normativa sul sistema dei fondi pensione, è utile analizzare le risposte al questionario rivolto ai principali investitori istituzionali italiani dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali in occasione della della seconda edizione del Quaderno di Approfondimento sulle politiche di investimento sostenibile degli investitori istituzionali italiani, che – quest’anno – ha previsto una sezione di domande relative proprio alla SFDR.

L’83% dei fondi preesistenti che hanno partecipato all’indagine, condotta a inizio 2022, non si aspetta un effetto significativo del regolamento sulla politica di investimento, nel dettaglio per il 50% l’impatto sarà limitato e per il 33% nullo. Peraltro, il 61% dei rispondenti non ha ancora in portafoglio prodotti ex articoli 8 e 9, mentre solo il 22% dichiara di avere fondi conformi a entrambi gli articoli; solamente un fondo dichiara poi di detenere un prodotto Art.8 o Art.9 di diritto italiano. Anche la maggior parte dei fondi pensione negoziali rispondenti all’indagine prevede nullo o limitato l’effetto della SFDR (il 74%); in linea con quella dei preesistenti anche la percentuale di fondi che possiedono prodotti ex articoli 8 e 9 (solo il 27%) mentre non si riscontra la presenza di prodotti di diritto italiano. Di seguito, più nel dettaglio, le evidenze emerse dall’indagine.

 

I fondi pensione preesistenti

Alla survey hanno partecipato 18 fondi pensione preesistenti. Si tratta di un comparto la cui numerosità è in costante riduzione a causa dei frequenti accorpamenti intrapresi dai gruppi bancari e assicurativi o delle migrazioni di piccoli fondi in soggetti più strutturati e generalisti (-9 fondi nel 2020). Gli enti partecipanti all’indagine raccolgono un attivo netto totale destinato alle prestazioni di 36,8 miliardi di euro, pari al 56% del totale dei fondi pensione preesistenti

Venendo alla sostenibilità degli investimenti, in questi 4 anni di indagine è cresciuto il numero di fondi che adottano una politica SRI: oggi sono il 56% del totale dei rispondenti (erano il 41% nel 2019). La buona notizia è che tutti i rispondenti che non adottano ancora una politica di investimento sostenibile affermano di aver però già affrontato l’argomento in CdA e il 60% di questi dichiara di volerla implementare in futuro. 

Tra le strategie preferite dai FPPle esclusioni si mantengono al primo posto, anche se in lieve calo dal 50% del 2021 al 44% del 2022, e riguardano principalmente il settore degli armamenti (per quasi l’88% dei fondi) e le imprese che non rispettano i diritti umani, civili e politici. Seconda posizione per le strategie best in class, con il 38% delle preferenze (per la maggior parte riferite alle attività che riducono le emissioni di anidride carbonica e aumentano l’efficientamento energetico), seguite dalle convenzioni internazionali, scese dal 44% al 27%, a pari merito con gli investimenti tematici, per l’80% riferiti a Silver Economy e salute; chiudono strategie più attive, come engagement impact investing, rispettivamente a 22% e 19%.

Figura 1 – Le strategie SRI adottate dai fondi pensione preesistenti

Figura 1 – Le strategie SRI adottate dai fondi pensione preesistenti

Fonte: Quaderno di Approfondimento 2022 “ESG e SRI, le politiche di investimento sostenibile degli investitori istituzionali italiani”

Dal punto di vista della modalità di gestione, emerge una leggera preferenza per l’acquisto diretto di fondi che rispondono a criteri ESG rispetto all’assegnazione di specifici mandati di gestione con obiettivi di sostenibilità: solo il 22% dei rispondenti opta per la gestione indiretta, mentre il 33% dei preesistenti acquista direttamente prodotti finanziari sostenibili. Per il 66% si tratta di strumenti di private equity, per il 50% di private debt e per il 33% (in aumento rispetto al 20% dello scorso anno) di venture capital. Resta inteso che anche all’interno di mandati tradizionali e non specificatamente sostenibili possono rientrare fondi che rispettano criteri ESG. Aumenta poi la propensione ad adottare specifici benchmark di sostenibilità per valutare le performance degli investimenti, passata dal 31% al 44%. Stabile al 44% la percentuale dei fondi che valutano gli impatti delle strategie SRI sul patrimonio più volte durante l’anno: tra questi, aumentano i fondi che ex post registrano una migliore diversificazione del rischio (44%). Per queste valutazioni il 33,3% dei rispondenti si avvale anche di advisor ESG (percentuale che sale al 50% per i fondi negoziali).

 

I fondi pensione negoziali

I 26 fondi pensione negoziali che hanno partecipato all’indagine gestiscono circa 56 miliardi di euro di attivo netto destinato alle prestazioni, pari al 92% del totale. Rispetto allo scorso anno, aumenta di 5 punti percentuale la quota di fondi che adotta una politica SRI (58%). Anche per i negoziali, tutti gli enti che oggi non adottano una politica di investimento sostenibile ne hanno quantomeno discusso in CdA ma, rispetto ai fondi preesistenti, solo il 18% dichiara di non essere intenzionato a implementarla in futuro

Non solo intenzioni future. I fondi negoziali sono già oggi più propensi all’investimento sostenibile rispetto ai preesistenti: il 60% di chi adotta una politica SRI lo fa da più di 5 anni e il 66% la applica a una percentuale del patrimonio tra il 75% e il 100%, mentre per i preesistenti le percentuali si fermano rispettivamente al 36 e al 30%. Al pari non solo dei fondi preesistenti ma di tutti gli altri investitori istituzionali, la motivazione principale alla base dell’adozione di politiche d’investimento sostenibili è la volontà di fornire un contributo allo sviluppo sostenibile ambientale e sociale. Va, tuttavia rilevato che, con il passare del tempo, la percentuale corrispondente a questa risposta si è ridotta, affiancata dal desiderio di gestire in maniera più efficiente i rischi di portafoglio. Da sottolineare poi come prosegua il calo iniziato 3 anni fa della motivazione “migliorare la reputazione dell’ente”: questo significa che gli investitori istituzionali stanno progressivamente entrando in una fase più matura, nella quale il rischio di greenwashing parrebbe superato.

Per quanto riguarda le strategie SRI adottate, rimangono quasi invariate le esclusioni, passate dal 40% al 42%, così come le convenzioni internazionali, cresciute dal 20% al 23%. Da segnalare, rispetto allo scarso appeal degli anni passati, un +4% per ciò che riguarda l’impact investing, alla pari con gli investimenti tematici.  Rispetto ai fondi preesistenti per i quali occupa il penultimo posto in classifica, l’engagement si posiziona al secondo posto con il 27% dei rispondenti che adotta questa strategia principalmente nella modalità softche si traduce, ad esempio, in incontri periodici, invii di report, partecipazione a videoconferenze, ecc., o attraverso iniziative collettive poste in essere dalla categoria dei fondi negoziali.

Figura 2 – Le strategie SRI adottate dai fondi pensione negoziali

Figura 2 – Le strategie SRI adottate dai fondi pensione negoziali

Fonte: Quaderno di Approfondimento 2022 “ESG e SRI, le politiche di investimento sostenibile degli investitori istituzionali italiani”

Come per i preesistenti, è ancora contenuto il ricorso a specifici mandati di gestione con obiettivi di sostenibilità, indicati solo dall’8% dei rispondenti, con addirittura il 92% (in aumento rispetto all’86% del 2021) dei fondi negoziali che opta per il no. In linea con la percentuale registrata dai fondi preesistenti la quota di negoziali che valuta gli impatti e i risultati degli investimenti SRI sul patrimonio più volte nel corso dell’anno (il 42%). Da queste valutazioni, i fondi negoziali hanno notato una migliore diversificazione del rischio (38%), mentre solo l’8% rileva miglioramenti in termini di aumento del rendimento, indicazione peraltro comune a tutti gli investitori istituzionali e molto probabilmente dovuta al fatto che il periodo di utilizzo di strategie SRI è ancora troppo breve per valutare effettivi impatti sulla performance di portafoglio.

Per quanto riguarda la trasparenza, continua a crescere la percentuale di fondi che pubblicano il documento relativo alle politiche sostenibili adottate: si è passati infatti dal 29% del 2019 al 65% del 2022. Solo in poco più della metà dei casi (il 52%) è prevista anche la redazione di uno specifico documento di rendicontazione delle strategie utilizzate. Percentuali lievemente più elevate rispetto a quelle registrate dai fondi preesistenti, tra i quali il 67% pubblica un documento generico relativo alla politica SRI e il 44% fornisce una rendicontazione specifica circa le strategie.

Senza dubbio la regolamentazione europea darà un ulteriore slancio all’attenzione degli investitori previdenziali verso la sostenibilità e, in particolare, alla disclosure delle informazioni relative agli aspetti ambientali, sociali e di governo.

Michaela Camilleri, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

19/5/2022

 
 

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