Il popolo dei no e i governi del "giorno per giorno": cosa non si sta facendo per l'energia

Anche ora che la guerra in Ucraina ha dimostrato tutti i limiti dell'eccessiva dipendenza dal gas russo, l'Italia fatica a dotarsi di una strategia condivisa sul tema energia. Il problema? Un "popolo" abituato a dire no, viziato da una classe politica alla perenne ricerca del (facile) consenso

Alberto Brambilla

In tema di energia ma non solo, basti pensare alla strenua opposizione a discariche controllate o termovalorizzatori, potremmo definirci il “popolo del no” su tutto o quasi: no al nucleare, no alle pale eoliche perché turbano il paesaggio, no alle trivelle per gas e petrolio, no ai rigassificatori e tentato no verso il TAP che, fortunatamente, è l’unica opera realizzata per renderci un poco più autonomi dai Paesi autocratici come la Russia.

Ovviamente una consistente parte della politica, alla perenne caccia del consenso a tutti i costi, anziché educare gli elettori (un politico dovrebbe perlomeno essere più informato), è ben lieta di schierarsi con i no, con un occhio attento agli umori del popolo, alla pancia e ai sondaggi del giorno per giorno. Si potrà obiettare che la nostra politica è in buona compagnia, visto il disastro ex post e a consuntivo dell'eccessiva dipendenza da Russia e Cina prodotta da 16 anni di governo Merkel, ma certo non è una giustificazione per l'essere tra i due Paesi più dipendenti da Putin. Forse è stata l’insipienza, l’incapacità di guardare al futuro, ma sta di fatto che oggi siamo in braghe di tela, con il rischio di bloccare la produzione e di riflesso il tasso di sviluppo previsto e già dimezzato dal DEF.

Eppure, questa situazione era più che prevedibile e peraltro già sperimentata nella prima crisi energetica del 1973, molto più grave dell’attuale, con razionamenti e targhe alterne quando non il blocco totale del traffico; così com'era prevedibile anche 2008, quando Putin invase la Georgia, cosa che aveva già fatto tra il 1999 e il 2009 con la Cecenia, creando eccidi e morti. L’altro avviso ai ciechi naviganti politici è arrivato nel 2014 con la conquista della Crimea e il finanziamento ai separatisti del Donbass e, per la verità, non solo a loro; poi c’è stata nel 2016 la guerra in Siria dove l’aviazione russa ha fatto migliaia di morti e raso al suolo le splendide città di Damasco e Aleppo. E invece nulla: ancora più importazioni di gas russo.

Cosa si sarebbe potuto fare è ormai noto: quello che ancora è nebuloso è cosa si dovrà fare. Per ora sono in campo due azioni politiche. La prima è quella dei partiti del consenso a tutti i costi e chissenefrega di chi paga, che perorano un giorno sì e l’altro pure sovvenzioni per le bollette troppo care per famiglie e imprese. Finora abbiamo speso, per l’imprevidenza di cui sopra, 15 miliardi (a debito) senza aver prodotto nemmeno un KWH di energia pulita ma già l’ex Premier, per la verità, non il solo, chiede un ulteriore scostamento di bilancio. La seconda azione è quella della caccia di fornitori alternativi di gas che, nella maggior parte dei casi, sono comunque in Paesi a basso tasso di democrazia e quindi spesso instabili; un'opera certamente meritoria e utile per disporre di energia subito, in attesa di realizzare impianti di produzione d’energia per i quali occorrono tanti mesi, ma che non ha un seguito logico se poi mancano i progetti, al momento ignoti. Eppure, potremmo varare un grande piano basato sulle rinnovabili (eolico e fotovoltaico) e un domani sull’idrogeno, come previsto da Jeremy Rifkin nel suo magistrale «Economia all’idrogeno», prodotto a livello domestico. Un piano che peraltro sarebbe assai educativo per la popolazione e anche per gli imprenditori che oggi si dicono impossibilitati a proseguire con questi costi.

Siamo il Paese dei bonus: il demenziale super bonus 110%, quelli facciate, ristrutturazioni, risparmio energetico e così via. Bene! Intanto, se si vuole evitare un eccessivo surriscaldamento dei prezzi, occorre che il governo preveda un piano che prolunghi temporalmente i bonus, finanziato dal fondo aggiuntivo al PNRR che vale 30,6 miliardi, unificandoli tutti al 65%, per almeno i prossimi 6 anni. Poi, data la situazione e in vista dei potenziali problemi di riscaldamento per il prossimo inverno, si dovrebbe: a) proporre da subito che, per beneficiare di tutti i bonus in vigore oggi, diventi indispensabile soddisfare il requisito minimo di 2 KWH installati per unità immobiliare con bonus 65% sulla spesa, ammortizzabile in 4 anni o più in funzione della capacità fiscale dei soggetti; b) uscire dalla strozzatura delle varie burocrazie ambientali che bloccano per anni tutti i progetti (si veda il caso emblematico del rigassificatore di Brindisi della British Gas, che nel 2011, dopo 11 anni di burocrazia e 250 milioni di euro di investimenti, ha deciso di rinunciare al progetto, oppure quello dell’impianto eolico offshore di Taranto, per il quale ci sono voluti ben 14 anni per la messa in funzione). Per questo occorre, come ha proposto il Ministro Brunetta, liberalizzare l’installazione di pannelli fotovoltaici e mini pale eoliche eliminando lacci e lacciuoli burocratici; c) introdurre per legge l'obbligo che le reti di distribuzione acquistino energia non consumata al prezzo pari al 75% di quello mensile stabilito da ARERA; d) prevedere incentivi alle imprese agricole, turistiche, di servizio e industriali per la produzione e installazione di minieolico, cogeneratori e fotovoltaico.

Queste norme avrebbero i seguenti effetti: 1) di raffreddare l'inflazione derivante dall'abnorme aumento delle materie prime, causato in parte anche dalla concentrazione delle richieste in un periodo troppo breve per poter beneficiare dei bonus; 2) di aumentare la produzione di energia riducendo la dipendenza dai Paesi autocratici, con notevoli risparmi per famiglie e imprese e un aiuto al governo che sta freneticamente cercando alternative al gas russo; anche lo Stato risparmierebbe in contributi e ristori che aumentano il debito pubblico di oltre 25 ulteriori miliardi. 3) Allungando i tempi per beneficiare dei bonus oltre a risparmiare tanti miliardi con il folle 110%, si ridurrebbero di molto le morti sul lavoro causate dall'enorme mole di richieste in edilizia, richieste che hanno attirato molte imprese senza esperienza e idonea organizzazione e che operano senza l’adozione di protezioni antinfortunistiche, con un reclutamento selvaggio di lavoratori inesperti e a cui non si è neppure fatta formazione; peraltro, si stabilizzerebbe cosi nel tempo il mercato del lavoro. 4) Si darebbe infine tempo alle imprese per costituire consorzi di produzione di pannelli solari e batterie, rendendoci più autonomi dalla Cina e aumentando occupazione e PIL.

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

16/5/2022

 
 
 

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