Il sogno italiano? Tutto gratis!

Bonus, agevolazioni e sgravi di ogni genere continuano a premiare in Italia quanti meno versano, a discapito del debito pubblico e di quella sempre più esigua percentuale di popolazione che, con tasse e contributi, finanzia il nostro welfare state. Il risultato? Siamo ultimi in Europa per tasso di occupazione ma primeggiamo, al contrario, per elusione fiscale 

Alberto Brambilla

Prosegue anche con questo governo, e con quest'opposizione, il folle “sogno tutto italiano" del 60-40 , che consiste nel pensare di mandare avanti il Paese con il 60% circa degli italiani a quasi totale carico del restante 40% e, in particolare, di quel “quasi” 14% di cittadini che dichiarano redditi da 35mila euro in su. Un sogno incentrato sul pericoloso binomio“meno dichiari e più avrai dallo Stato”. E quindi meno tasse, meno contributi e più agevolazioni anche con distribuzione di denaro pubblico attraverso AUUF, sussidi, prestazioni assistenziali, bonus e ISEE (il motore del sommerso assieme al reddito di cittadinanza prima, all’ADI ora e alla - troppo - generosa NASpI). Insomma, una grande redistribuzione di una torta sempre più piccola, per le sempre più numerose schiere, così come definite da politici, sindacalisti, Caritas e Chiesa, di "fragili, poveri e bisognosi".

Spesso, purtroppo per il nostro bel Paese, queste iniziative sono mosse dalla conquista del consenso politico a tutti i costi, anche a scapito della nostra sostenibilità finanziaria, già minata da un mostruoso debito pubblico che, tra fine 2024 e il prossimo anno, sfonderà l'astronomica cifra dei 3.000 miliardi di euro. E, stando al DEF, non si fermerà lì perché aumenterà di altri 200 miliardi nei prossimi 3 anni, sottostima che prevede una spesa pubblica in calo e un PIL sovrastimato. Il grave è che presa da questo sacro furore del panem et circenses per tutti, la politica di questi ultimi 15 anni non sia riuscita nemmeno a verificare se le enormi somme ridistribuite dai pochi che le tasse le pagano ai tanti che vivono in groppa ai pochi producano effetti positivi sull'economia oppure, come penso, siano un metadone sociale che blocca la crescita dell’occupazione (siamo sempre ultimi e sotto di 10 punti rispetto alle medie UE e di 15 rispetto ai nostri principali competitor) e del Prodotto Interno Lordo. 

Nel 2021 per le sole funzioni sanità, scuola e assistenza sociale (o lotta alle povertà), la redistribuzione delle entrate fiscali (e del debito) è ammonta a circa 194 miliardi: per capirci, l'IRPEF totale netta versata dai contribuenti ammonta a 175 miliardi, quindi redistribuiamo più del gettito IRPEF e IRAP. Questa stagione, iniziata con gli 80 euro di Renzi, con i vari bonus, tra cui i 500 euro giovani (Enrico Letta voleva addirittura la "dote giovani " a carico dei soliti contribuenti) è proseguita con Monti che ha picchiato duro sulle pensioni con tanti anni di contributi, agevolando invece quelle che di contributi ne avevano pochi o zero, penalizzando chi lavora con l’IMU e i risparmi con la mini-patrimoniale (0,20% che si perda o guadagni). Poi sono arrivati Conte, Salvini con quota 100, RdC, superbonus ecc. Ecco i risultati: a fine 2017 il debito pubblico italiano era 2.256,1 miliardi di euro (2.219,5 nel 2016, i 2.173 del 2015 e 2.137 di fine 2014). Ogni anno si facevano in media tra i 40 e 49 miliardi e ci sembrava tanto, troppo! Ma con i governi da Conte in poi, “ci siamo superati” (come dice una nota pubblicità), passando dai 2.256,1 ai 2.316,7 miliardi di fine 2018 e dunque ai 2.863 miliardi di febbraio 2024. Dopo il calo a 28 miliardi nel 2019, dal 2020 a fine 2023 (4 anni) abbiamo fatto oltre 160 miliardi l’anno (649 in totale per la precisione) e ne faremo altri 100 quest’anno: il rapporto debito/PIL, che negli anni tra il 2004 e il 2008 veleggiava tra il 103 e il 106%, è schizzato al 137% e il deficit al 7,4%. 

Insomma, per il corrente anno tra TIR + nuove detrazioni, bonus, quattordicesima, incremento delle pensioni minime (2,5 miliardi), ADI, Supporto per la Formazione e il Lavoro, AUUF, flat tax, tutte le agevolazioni prodotte dall'ISEE e e decontribuzioni varie, tra mancate entrate (circa 16 miliardi) e ulteriori uscite (19 miliardi), il costo per lo Stato sarà di circa 35 miliardi l’anno e proseguirà, facendo ulteriore debito, se non ci saranno novità per il 2025, anno in cui, fortunatamente, entrerà in vigore il nuovo Patto di Stabilità europeo sottoscritto da persone serie come Paolo Gentiloni e Irene Tinagli e controfirmato dal ministro Giorgetti. Patto che tutti i 26 Paesi UE hanno votato tranne l’Italia (e questo la dice lunga sul nostro debito), infrangendo clamorosamente il patto intergenerazionale alla base sia del sistema pensionistico sia dell’indipendenza economica del Paese.

Ma i nostri politici mica le fanno le verifiche. Se le facessero scoprirebbero che, rispetto al 2008, quando la spesa assistenziale a carico della fiscalità generale era di 73 miliardi, nel 2022 si sono spesi 157 miliardi: una spesa più che raddoppiata che avrebbe dovuto debellare la povertà. E, invece, i dati di Istat ci dicono che nel 2008 i poveri assoluti erano 2,1 milioni e quelli relativi 6,5 milioni, mentre al 2022 i poveri assoluti erano aumentati a 5,6 milioni e i relativi oltre 8,7 milioni. Insomma, più spendiamo, più redistribuiamo e più poveri “fabbrichiamo” in Italia. Forse è per questo che abbiamo i tassi di occupazione più bassi dell’Unione Europea (ci battono persino Cipro e Grecia) o, ancora, il livello di evasione ed elusione fiscale e contributiva di gran lunga più elevato tra i Paesi UE, con solo meno del 14% degli italiani che dichiarano più di 35mila euro lordi l’anno di reddito.

In sintesi, il 44% circa degli italiani paga il 92,62% di tutta l’IRPEF, il 100% delle altre imposte dirette e gran parte di quelle indirette (di questi il 15,27% ne paga oltre il 63,39% - dati relativi ai redditi 2022 appena elaborati), mentre il restante 53% ne paga solo il 6,31%. Per garantire la sanità al 60% degli italiani che, grazie ai provvedimenti dei governi di questi ultimi 15 anni, pagano poco o nulle tasse occorrono circa una sessantina di miliardi. Ma mica si fermano qui! Le retribuzioni non crescono, nessun problema: sconto fiscale totale e decontribuzione ma fino a 25mila euro di reddito annuo. Gli italiani non fanno figli, ecco l’AUUF che però si riduce all’aumentare dei redditi. E, siccome il 47% dei pensionati in 67 anni di vita non ha pagato tasse e contributi, ecco che per premiarli gli azzeriamo le tasse, aumentiamo le pensioni minime, gli diamo la quattordicesima mensilità, le integrazioni e ora si pensa pure a un bonus anziani: il rischio è che finiscano così con il perpecepire una rendita più alta di quelli che tasse e contributi li hanno pagati per tutta la vita, mentre il governo del merito penalizza le pensioni vere che, negli ultimi tre anni, per la mancata indicizzazione hanno perso oltre il 10% di potere d’acquisto.

Ma si può davvero andare avanti così?

Alberto Brambilla, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

12/6/2024 

 

 
 
 

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