Il vaccino che verrà

Perché l'Italia riesca a centrare la ripresa economica prevista dal MEF, che ha ipotizzato una crescita del PIL pari al 4%-5%, sarebbe importante riuscire a immunizzare almeno il 70% della popolazione entro fine giugno: al momento però la gestione vaccini del Paese sembra scontare l'assenza di un piano ben strutturato

Alberto Brambilla

Dopo il sarà un anno bellissimo, copyright di Giuseppe Conte del 2019, si è passati al dimentichiamo il 2020 perché il 2021 sarà l’anno della ripresa. Eh sì, siamo il Paese degli slogan come andrà tutto bene e si è visto come è andata, ma siamo anche il Paese delle discussioni senza senso sul “quasi” problema che forse un 10% della popolazione non si vorrà vaccinare. E giù discussioni su obbligatorietà o persuasione, senza nemmeno pensare a come vaccinare il restante 90%. Quando dalle parole, dagli slogan e dalle comparsate si passa ai fatti iniziano però i problemi.

Perché il 2021 possa essere l'anno della ripresa serve che la maggior parte delle attività produttive inizi a funzionare e a lavorare. Per fare questo occorrono i vaccini o, meglio, che quasi il 70% della popolazione venga immunizzata nel più breve tempo possibile visto che ancor oggi, a distanza di quasi un anno dall’inizio della pandemia, manca un serio protocollo di cura per i contagiati o di terapie per prevenire o combattere COVID-19, come gli anticorpi monoclonali tipo “Bamlanivimab” autorizzato il 9 novembre dalla U.S. Food and Drug Administration per l’utilizzo sperimentale in emergenza, o le terapie con il plasma iperimmune. Non essendo specialisti non ci addentriamo nella materia “oscura” né ci azzardiamo a suggerire cure, ma ci permettiamo di fare una semplice considerazione: se in pochi mesi si ben 7 aziende hanno trovati i vaccini, stupisce che i nostri scienziati quotidianamente presenti su tutte le TV non siano riusciti in 12 mesi a informarci su uno straccio di terapia che ci possa tranquillizzare un pochino. Le uniche cose che ci dicono sono quelle che esattamente nel 1918, 102 anni fa, diceva il Presidente del Consiglio e Ministro dell’Interno Vittorio Emanuele Orlando: l’unica differenza rispetto ad allora è che le campane delle chiese oggi possono suonare.

In questo 2021 ripartiamo poi con una economia molto compromessa: mancano ancora i dati definitivi ma, sulla base delle stime Itinerari Previdenziali dello scorso marzo, confermiamo che il 2020 si chiude con una perdita del PIL intorno all’11%, con circa un milione di posti di lavoro in meno di cui quasi 300mila mascherati dalla cassa integrazione COVID, con un rapporto debito pubblico PIL al 159% circa e un deficit prossimo al 13%. Dati che, combinati con il numero di decessi ogni 100mila abitanti fornito dalla John Hopkins University, classificano il nostro Paese come il terzo peggiore nella gestione della pandemia tra le principali 30 economie mondiali, a pari demerito con la Gran Bretagna. Di nuovo, l’effetto di politiche industriali prossime allo zero e una marea di ristori, bonus e agevolazioni proposte, non solo dal Governo che traccheggia da mesi, ma dall’intero arco costituzionale che ancor oggi non ha la minima idea di come affrontare il problema COVID a partire dal Next Generation EU. Certo, l’utilizzo di tutti questi danari - molto meno dei 209 miliardi di cui si chiacchera e forse anche meno di 170, ma pur sempre somme ingenti - potrebbe aiutare molto la ripresa ma, se dovesse arrivare la paventata “terza ondata” con relativi blocchi e lockdown, ce ne potrebbero anche dare il doppio di soldi senza che servano a nulla se, nel frattempo, nessuno potrà andare in fabbrica o al cantiere. 

E qui veniamo al punto: i vaccini, di cui a oggi (inizio 2021) non abbiamo notizia di alcun piano. Proviamo a fare qualche ragionamento al fine di verificare quali possono essere le reali possibilità di ripresa dell’Italia. Per far marciare l’economia occorre che circa il 70% della popolazione venga vaccinata, cioè 42 milioni di abitanti. Il vaccino BioNTech/Pfizer per funzionare deve essere somministrato in due dosi (la seconda dopo 21 giorni) e si raggiunge la produzione di anticorpi e quindi la protezione dopo altre 2 settimane; di questo vaccino disporremo di 27 milioni di dosi. C'è poi Moderna, due dosi a distanza di 28 giorni e immunità dopo due mesi. Poi AstraZeneca e Sanofi-Gsk. In totale, l’Italia ha prenotato 202 milioni di dosi, di cui 80 milioni, cioè il 40%, dipendono da questi ultimi due produttori che ancora non hanno l’autorizzazione. Se il governo afferma che entro fine gennaio avremo circa 2 milioni di vaccinati per la prima dose e molto meno con la seconda, ne restano da immunizzare ancora 40 milioni.

Per avere una ripresa economica intorno al 4/5% del PIL, come previsto dal MEF, ed evitare che a fine marzo partano tanti licenziamenti, l’obiettivo minimo è raggiungere il fatidico 70% della popolazione immune entro fine giugno. Ciò consentirebbe anche di programmare sin dai primi di marzo l’utilizzo della prima tranche di aiuti a fondo perduto, pari a 81,4 miliardi, sempre che il governo riesca a predisporre i progetti e gli incentivi. Considerando le tre-quattro settimane per le due dosi e 20 giorni medi per la formazione degli anticorpi, significa che dovremmo vaccinare 2 volte 40 milioni di persone entro fine maggio. 80 milioni di vaccini in 4 mesi significano 20 milioni al mese. Gli inglesi, più avanti dell'Italia, prevedono che entro febbraio potrebbero essere già vaccinati 15 milioni di abitanti: e noi? Il piano non c’è e con le forze disponibili - 60mila medici di base, ospedali, esercito e Asl o Ats - non arriveremmo neppure a 8 milioni di vaccinati al mese, tant’è che il commissario Arcuri si è fatto scappare un “entro settembre”.

Data però impraticabile perché di soldi per i ristori non ce ne sono più e non possiamo continuare a fare debito. Sarebbe quindi necessario, visto anche l’allarme lanciato da BioNTech, trovare altre forniture di vaccini oltre quelli prenotati dalla UE e autorizzare l’intero comparto privato, da un lato, ad acquistare i vaccini autorizzati e, dall’altro, anche a pagamento, vaccinare a tutto spiano. Credo che nessuno avrebbe problemi a pagarsi 20 euro, il prezzo di una pizza o di un happy hour, per una vaccinazione. A oggi, un piano integrato tra uso delle risorse UE e vaccini non c’è, e questo è grave: siamo ancora il fanalino di coda, mentre abbiamo invece “la primula”, anzi neppure quella perché sarebbe demenziale costruire qualche migliaio di casupole a forma di petali quando si hanno a disposizione migliaia di strutture più sicure e asettiche.

Ricapitolando, avremmo 170 miliardi da spendere, speriamo non in ridicole primule: per lavorare dovremmo essere vaccinati e attualmente non sappiamo come. Una cosa purtroppo è sicura, siamo ancora nelle tenebre del 2020 che volevamo dimenticare.

Alberto BrambillaPresidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

6/1/2021

 
 

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