L'Italia super indebitata ha tre fantasmi in casa

Il risveglio dell'inflazione, il ritorno del Patto di Stabilità ora sospeso e la fine del Quantitative Easing: ecco 3 dei temi di natura economico-finanzaria con cui l'Italia non potrà fare a meno di scontrarsi nel percorrere la lunga strada della ripresa post COVID-19. Senza trascurare nelle proprie scelte il sempre più elevato debito pubblico che affligge il Paese

Alberto Brambilla

Per un Paese come il nostro che finora ha cercato di risolvere tutte le situazioni di crisi facendo sempre più debito, ci sono tre fantasmi all’orizzonte: la ripresa (anche se moderata dell’inflazione), la probabile fine entro il 2023 della sospensione del Patto di Stabilità e la possibile fine entro 2 anni del Quantitative Easing della Banca Centrale. Sia perché dura da troppo tempo, dal 2015, sia perché ci si avvicina all’obiettivo di inflazione al 2%: la BCE prevede un’inflazione media europea 2021 dell’1%, che salirà a l’1,4% nel 2023.

A gennaio di quest’anno, l’inflazione nei Paesi dell’Eurozona ha raggiunto lo 0,9%, mentre in Italia lo 0,6% contro il +0,5% del 2019 e il -0,2% dello scorso anno. Se questo scenario inflattivo si avverasse e se la BCE, che nel 2020 ha comprato titoli italiani per 145 miliardi al netto dei finanziamenti SURE, dovesse ridurre gli acquisti (l’Eurosistema detiene il 27% del debito negoziabile italiano, secondo le stime di Unicredit) per il nostro Paese si aprirebbero grandi problemi, anzitutto legati al finanziamento del nostro enorme debito pubblico. Tanto più che il deficit 2020 è stato pari all’11,07% e per il 2021, dopo l’ultimo scostamento di bilancio di 40 miliardi, è previsto all’11,8% se però avremo una crescita intorno al 4,5%. E così il livello del debito è balzato dai 2.409,9 miliardi (134,7% del PIL) del 2019 ai 2.569,3 miliardi di euro del 2020 (157,5% del PIL): 43.000 euro a testa bambini compresi, molto più del reddito medio di un anno degli italiani e, per il 2021, è previsto che crescerà ancora toccando il 160% del PIL. Già a fine febbraio, secondo le stime di Banca d’Italia, il debito è cresciuto a 2.644 miliardi, ben 74,5 miliardi in più in soli 2 mesi. A questi, nel corso di quest’anno, occorrerà aggiungere non meno di altri 30 miliardi di prestiti con garanzia dello Stato (i 30mila euro) che le 270mila imprese a rischio di chiusura nel terziario (stima dell'Ufficio Studi Confcommercio), già in difficoltà prima di COVID, non potranno restituire. Con una crescita del PIL prevista intorno al 4,2% dal FMI e al 4,5% dal DEF (4,1% a politiche invariate), passeremmo da 1.651,6 miliardi di fine 2020 (nel 2019 era di 1.812,4 mld) - con un calo di 160,8 miliardi, pari all’8,9% - a 1.720 (70 miliardi in più, cioè meno della metà di quelli persi nel 2020).

In questa situazione sarà complicato far fronte al pagamento degli interessi sul debito. Il rischio è di tornare nei prossimi anni ai livelli del 2012 con un costo di oltre 84 miliardi, contro gli attuali poco più di 60. Ma c’è di più: dubitiamo che i risparmiatori con un’inflazione all’1,4% siano disposti a sottoscrivere BTP a 10 anni, con un interesse fisso dello 0,6% (ultima asta di febbraio), o CCT allo 0,15%; praticamente, rendimenti negativi rispetto all’inflazione che equivale a “un’auto-patrimoniale” inflitta ai poveri risparmiatori con la complicità dei tanti gestori e delle banche che non sanno più come investire la liquidità immessa nel sistema dalla BCE. Liquidità che tuttavia alle PMI arriva con il contagocce (quando arriva), ma che rende poco ai gestori se lasciata sui conti correnti, tant’è che alcuni di loro invitano con una nudge poco gentile, a comprare titoli di Stato. E questo nonostante il fatto che acquistare un BTP a 10 anni allo 0,6% di rendimento fisso sia più rischioso dell’acquisto di un'azione speculativa: per la gestione del bilancio pubblico è però oro colato e consente ai politici di continuare a promettere e fare debito come negli ultimi 20 anni.

Attenzione perché il 2020 è stato un anno record anche per i downgrade, mai così numerosi dal 2011. Secondo S&P il rischio default è ancora alto e nello scorso anno ha colpito 6 Paesi finiti in bancarotta, 7 considerando il Suriname che ha fatto default 2 volte: Belize, Ecuador, Zambia, Argentina e Libano, secondo il “2020 Annual Sovereign Default And Rating Transition Study” di S&P Global Ratings. Il nostro rating è BBB-, cioè a un passo dai junk bondDue altri dati non lasciano tranquilli: la pressione fiscale nel 2020, secondo Istat, dovuta alla minore flessione delle entrate fiscali e contributive (che si sono ridotte del -6,4%), rispetto a quella del PIL a prezzi correnti; e le entrate fiscali che hanno segnato, sempre secondo Istat, una flessione del 2,1% per quanto riguarda le imposte dirette e dell’11,2% per quanto concerne quelle indirette.

Alla luce di questi numeri preoccupanti stupisce che un partito chieda uno scostamento di bilancio di 20 miliardi al mese come fossero noccioline, mentre un altro ne chiede almeno 80 e nel corso delle interviste politici di tutte le fazioni ne richiedano ancora di più per famiglie, imprese, partite IVA e bisognosi. Per fortuna ora abbiamo il duo Draghi-Franco che allargherà i cordoni della borsa con “scelte ragionate” ma che, soprattutto concentrandosi sul piano vaccini e - insieme ai ministri tecnici, sul Recovery Plan, potranno consentire una ripresa del PIL e dell’occupazione ancora più robusta delle previsioni. 

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

24/5/2021

 
 

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