Salari reali e povertà: qual è la vera notizia?
Troppo spesso, anche dinanzi a temi complessi come redditi e povertà, si tende a cercare la notizia più che un'analisi accurata di dati e contesto, come accade tipicamente quando si affronta la delicata questione dei salari italiani. Che sono sì bassi, anche a causa di scarsa produttività e lentezza dei rinnovi contrattuali, ma non così "ingenerosi" come alcune classifiche internazionali lascerebbero supporre, se non lette con la dovuta attenzione
Nella nostra società globalizzata e interconnessa, il potere delle notizie e della comunicazione ha effetti dirompenti a livello sociale, nella politica e soprattutto sui singoli individui. Nella maggior parte dei casi, la scarsa conoscenza dei temi oggetto della comunicazione e il livello di accuratezza della notizia agiscono da moltiplicatore. Spesso in peggio, se uno non conosce la materia e la notizia è (più o meno volutamente) poco accurata; difficilmente, in meglio. E ciò aumenta il risentimento, la rabbia sociale e ne condiziona azione e pensiero.
Una situazione di questo tipo si è verificata lo scorso mese quando Eurostat ha annunciato, con squillare di trombe, che in Italia più di 1 lavoratore su 10 tra i 18 e 64 anni, occupati per almeno la metà dellanno sia full time sia part time, è a rischio povertà e, nel 2024, ha avuto (ha dichiarato) un reddito inferiore al 60% di quello mediano pari a 12.363 euro lanno, al netto dei trasferimenti sociali. Si tratta, dice Eurostat, del 9% dei lavoratori, in aumento rispetto all8,7% del 2023, contro il 6,5% della Germania, il 9,3% della Polonia, il 2,8% della Finlandia e dei Paesi Scandinavi, in genere, e dell11,3% della Spagna. Ora, che i salari italiani siano bassi è fatto noto e dipende da vari fattori, in primis la scarsa produttività e i modesti investimenti nelle attività imprenditoriali: un po di più nella manifattura, molto meno nei servizi, quasi zero nelle mansioni ad alta partecipazione degli immigrati. I penultimi e gli ultimi immigrati arrivati, per lo più irregolari o attratti da falsi contratti stagionali gestiti in gran parte dalla malavita organizzata, che sfrutta spesso le associazioni caritatevoli (il buonismo senza ragionamento), fanno una concorrenza spietata in termini di ore e salario ai terzultimi e, soprattutto, ai quasi 1,6 milioni di stranieri che in questi 11 anni hanno avuto la cittadinanza italiana, sommandosi ai 5,4 milioni con regolare permesso e agli oltre 600mila irregolari. Si tratta di quasi 8 milioni di stranieri che, sul totale della popolazione, rappresentano il 13%. Altro motivo è la lentezza nel rinnovo dei contratti che, di fronte a unimprovvisa quanto rapida fiammata inflazionistica di quasi il 15%, devono ancora recuperare quasi la metà a fronte di un notevole (quanto sospetto, si vedano i profitti delle utility) aumento delle bollette di gas, elettricità e altre utenze.
Ma tornando a Eurostat, sono giusti i dati che ha diffuso e la notizia è accurata? Sia che i dati si basino sui redditi dichiarati, sia sulle paghe orarie, purtroppo no! Tuttavia, hanno creato un caos sociale e politico. Perché non sono accurati? Nel caso delle paghe contrattuali, Eurostat non considera il TFR, che vale il 6,91% della retribuzione, oltre a un ulteriore 0,5% versato all'INPS per la tutela del lavoratore nei casi di fallimento dell'impresa. Già con questo 7,41%, l'Italia risalirebbe la classifica. Ma c'è di più. Eurostat non considera i contributi sociali a carico del datore di lavoro che, in Italia, sono i più alti dell'area OCSE: in media, tra contributi aziendali per pensioni (23%) e prestazioni temporanee (infortuni, maternità, malattia, disoccupazione, Casse integrazioni, etc, per un altro 6-7%) sono più alti di almeno 6/8 punti percentuali. Poi non considera i permessi, le assenze per genitorialità. Non considera i contributi ai fondi pensione, ai fondi sanitari e a quelli per la formazione (almeno un altro 3/4%). Ma non considera neppure l'AUUF (che per salari e redditi fino a 25 mila euro con un figlio vale oltre 2.200 euro lanno), i tanti benefici dell'ISEE come i sussidi bollette, bonus e contributi affitto e canoni. Per una famiglia con due figli questi sussidi possono superare i 500 euro al mese. Non considera la decontribuzione (4/6 punti percentuali). Non considera che la sanità, la scuola e gran parte della spesa per non autosufficienza in Italia è gratis per tutti.
Se invece Eurostat si basa sui redditi dichiarati, andiamo ancora peggio perché, esattamente come Istat, prima fa le classifiche per evasione fiscale, nelle quali lItalia primeggia alla grande battendo di gran lunga la Germania che ha 20 milioni di abitanti in più, e poi, quando cè da parlare di povertà, si scorda che un terzo dellItalia dichiara unIVA pro capite che è 5 volte meno di quella del Nord. Si scorda lenorme livello di lavoro sommerso, di falsi part-time e considera solo i redditi dichiarati e, infatti, vede più poveri tra gli autonomi, al Sud e nei servizi legati al turismo e alla persona, dove il nero spadroneggia. Ma è credibile un Paese del G7 nel quale il 60% della popolazione dichiara redditi tanto bassi da pagare meno del 9% di tutta l'IRPEF salvo poi spendere (al lordo delle vincite) 160 miliardi nel 2024 per il gioco d'azzardo? O ha connessioni mobile pari al 130% degli abitanti, neonati e allettati compresi? È credibile che per calcolare la povertà assoluta e relativa, l'ISTAT faccia compilare a meno di 40mila famiglie (su oltre 26,5 milioni) una sorta di taccuino, dove la famiglia dovrebbe segnare tutte le spese, e su quella base dica che la povertà aumenta? E come fa ad aumentare se, sempre analizzando le dichiarazioni dei redditi negli ultimi anni, oltre un milione di contribuenti è passato dagli scaglioni di reddito fino a 20mila euro a quelli superiori? Aumenta la povertà di 100mila unità e oltre 1 milione di persone dichiarano redditi maggiori.
Quello che è certo è che Eurostat o OCSE mica se li inventano questi dati; il fornitore unico è lIstat che da tempo offre stime discutibili come per i dati sulla popolazione (stime, appunto). Il problema, come detto all'inizio, è che notizie incomplete e inesatte inficiano la pace sociale. Sarebbe ora che il governo mettesse ordine e imponesse seri controlli di veridicità su questi dati che offrono carburante a tutti quelli che parlano solo di diritti mai di doveri, chiedendo in continuazione soldi senza curarsi dellenorme debito: ne va della serenità del Paese.
Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
9/6/2026