Senza extracomunitari si ferma l'economia?

Servono 82mila lavoratori per i raccolti e non si trovano; eppure, l'Italia è fanalino di coda in Europa per tasso di occupazione e spicca anche per numero di NEET e livelli crescenti di povertà. Il problema? Assistenzialismo e consumi non più sostenibili: ecco perché guardare al solo mercato del lavoro non basta

Alberto Brambilla

La notizia in sé è molto preoccupante: "se non troviamo almeno 82.750 lavoratori extracomunitari che vengano a lavorare in Italia, le attività agricole, si bloccheranno”. E sulle nostre tavole di “poveri ricchi” mancheranno le fragole e le verdure di stagione; poi ci mancheranno anche ciliegie, albicocche, pesche, prugne e poi ancora mele, pere, l'uva per la vendemmia, fichi, noci, castagne e potremmo proseguire oltre l'elenco.

Ma non finisce qui: infatti, secondo Coldiretti e Confindustria, la quota di 82mila extracomunitari previsti dal cosiddetto Decreto Flussi 2023 coprirà meno della metà dei posti richiesti dalle imprese agricole, da quelle operanti nelle costruzioni, e nel turismo e nella ristorazione, balneari compresi. Per i prossimi mesi il fabbisogno potrebbe raggiungere le 200mila unità. E la dimostrazione pratica arriva dal cosiddetto click day (il giorno della richiesta di manodopera extracomunitaria) fissato per le ore 9 del 27 marzo scorso, quando già alle 10 del mattino, al Viminale erano arrivate circa 238mila domande, cioè quasi il triplo del numero previsto, mentre alle 19 il dato superava le 240 mila; il tutto mentre Coldiretti lanciava l’allarme che nei campi mancano almeno 100mila lavoratori.

Eppure, poco meno di centomila posti di lavoro dovrebbero essere richiesti in un’ora, ai ritmi del click day, in un Paese come il nostro dove Istat dichiara che i poveri assoluti (semplificando, potremmo dire quelli che non arrivano alla seconda settimana del mese) sono 5,6 milioni, mentre quelli che faticano ad arrivare alla fine del mese, soprattutto se c’è una spesa imprevista, sono oltre 8,6 milioni. In totale, oltre 14,3 milioni di italiani - cioè quasi un quarto della popolazione - secondo la narrazione corrente, soffrirebbe fame e non avrebbe i soldi per curarsi in una sanità che, come la scuola in Italia, è gratis. E la domanda conseguente è: se queste persone faticano a mangiare e vanno a fare le fila alla Caritas, perché non accettano queste attività in agricoltura e nel turismo, attività che sono onorevoli e hanno fatto grande il nostro Paese? Attività continuative, varie, all’aria aperta e che durano quasi per tutto l’anno. 

Possibile che su oltre 14,3 milioni di poveri non si trovino almeno 82mila persone che si propongono per questi lavori? Se nessuno si fa avanti significa che questi lavori sono considerati inaccettabili per gli italiani - che, pur essendo, diciamocelo con franchezza, tra i più “somari” a scuola -  si ritengono una "classe eletta" che abbisogna di esseri "inferiori" (i nuovi schiavi?) per fare le attività che i nostri giovani rampolli e i lavoratori desiderosi di pensionarsi il prima possibile non vogliono più fare. Non si trovano candidati, occorre ricorrere non ai comunitari ma addirittura agli extracomunitari e, purtroppo, sono pochissimi a fare questo tipo di riflessioni, come se la nostra società fosse stata colpita da una sindrome di incapacità di capire, ragionare,  guardare ai numeri. Un paradosso e forse anche un sintomo di decadenza.

E vediamoli allora questi numeri: oltre ai poveri, secondo gli ultimi dati Istat, ci sono 96.197 persone senza fissa dimora censite in anagrafe, di cui il 38% di origine straniera e oltre 55mila in età da lavoro. Probabilmente sono molti di più ma nessuno si fa avanti per lavorare in agricoltura, una una soluzione che potrebbe essere più che dignitosa per loro e meno costosa per tutti, magari con i contributi sociali per i primi mesi a carico dell’INPS. E poi ci sono gli oltre 3 milioni di NEET (Not in Employment, Education or Training), cioè i giovani che non studiano, non lavorano e non fanno formazione, un record tra i Paesi OCSE; tra i 15 e 29 anni hanno toccato punte del 29,8%, a fronte di una media europea del 16,4% della popolazione di questa fascia d’età.

Secondo Eurostat, l’Italia potrebbe incrementare le forze di lavoro di quasi il 12%, altro che 82mila lavoratori! Possibile che queste banali considerazioni non vengano fatte da nessuno? Possibile che non si riesca a dire che in Italia lavora il 39% della popolazione, mentre in Francia e in tutta Europa quasi il 60%? Se non si lavora, per forza aumenta la povertà. Tra i 27 Paesi Ue a giugno dello scorso anno siamo passati all'ultimo posto per tasso di occupazione sia maschile sia femminile, superati pure dalla Grecia; per occupazione totale siamo al 60% contro il 70% della media UE e il 77% dei nostri competitor europei, quali Germania e Paesi del Nord Europa. Se per le donne siamo rispettivamente a 51%, 64,9% e 74%, per i giovani dai 15 ai 24 anni siamo a quota 19,8%, 34,7% e 56%. Nonostante le riforme delle pensioni siamo messi poco bene anche nella classifica di quelli che lavorano tra i 55 e i 64: da noi nelavora il 54,9% di over 55 contro il 62,6% e il 73% delle altre nazioni citate. 

Quindi, in sintesi, l'Italia conta 36,5 milioni di persone in età da lavoro ma il Paese segna solo 23 milionidi occupati. Possibile davvero che non si trovino 82mila lavoratori?

Tornando ai cosiddetti “poveri”, giova ricordare che a fine 2008, dopo le crisi dei mercati finanziari dal 1999 al 2008 (dot.com, emergenti, tecnologici e mutui subprime), il nostro Paese era riuscito a portare il debito pubblico leggermente sotto il 100% del PIL, l'occupazione toccava i suoi massimi storici, pur restando al penultimo posto in UE, mentre la spesa sociale a carico della fiscalità generale era di 73 miliardi; allora i poveri erano 2,1 milioni e i soggetti in povertà relativa meno di 6,5 milioni. Oggi siamo a 2.762 miliardi di euro di debito pubblico, pari a circa il 145% del PIL italiano, la spesa a carico della fiscalità generale è aumentata a quasi 157 miliardi e i poveri assoluti sono 5,6 milioni mentre quelli relativi oltre 8,6 milioni. Basterebbe, come dice l'Unione Europea, che l’Italia arrivasse al 65% di tasso di occupazione totale (resteremmo comunque tra gli ultimi 4/5 Paesi) per avere 2 milioni di lavoratori in più, altro che 82 mila.

Siamo sicuri che con questa enorme spesa assistenziale, che ormai vale quanto tutte le pensioni al netto dell’IRPEF e con questo lassismo diffuso si stia facendo il bene del Paese e delle sue giovani generazioni? Siamo sicuri che le assordanti pubblicità sui prezzi delle fragole a meno di 1 euro e mezzo siano educative? Lo capiscono gli italiani che per mangiare le fragole a quel prezzo (e vale per tutti gli altri prodotti) a quelli che raccolgono viene di fatto offerta una vita di miseria e di stenti, altro che reddito di cittadinanza o salario minimo. Se vedessero come vivono i poveri extracomunitari forse non mangerebbero più frutta, o no?

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

10/5/2023

 
 

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