L'occupazione cresce, l'economia no!
I dati Istat di ottobre dipingono uno scenario occupazionale favorevole ma alcuni limiti storici del nostro mercato del lavoro, uniti a indicatori economici poco confortanti, lasciano ipotizzare un futuro meno roseo. Ancora di più in assenza di contromisure che sappiano favorire produttività e sviluppo
A ottobre, come emerge dal flash Istat della scorsa settimana, loccupazione torna a crescere (+47mila unità) dopo la doccia fredda del mese di settembre, consentendo di stabilire il nuovo record di tutti i tempi per un tasso totale pari al 62,5% della popolazione tra i 15 e i 64 anni. Non solo: come accade da tempo, la maggioranza delle assunzioni sono a tempo indeterminato (85mila), mentre decresce ancora vistosamente lo stock dei dipendenti a termine (-60mila rispetto al mese precedente). Anche in questo caso record, scende poi quasi a un livello fisiologico del 5,8% il tasso di disoccupazione, contraddicendo le tesi sulla precarizzazione del lavoro di Landini e soci.
Tuttavia, nonostante questo scenario occupazionale confortante, affiorano dati che evidenziano qualche preoccupazione. Il primo, anche se meno sottolineato, riguarda gli inattivi, cioè di coloro che né lavorano né cercano attivamente lavoro, e in questa classifica lItalia occupa da sempre posizioni di testa. A ottobre erano 12, 538 milioni, con un +3,1% rispetto a settembre e un tasso pari al 33,6%: su 38 milioni di italiani in età da lavoro e con 5,6 milioni di poveri assoluti (non arrivano alla seconda settimana del mese) e oltre 8,7 milioni di poveri relativi (arrivano a stento alla terza settimana), quelli che lavorano hanno raggiunto i 24 milioni, un numero troppo basso per generare sviluppo e PIL. In Unione Europea il tasso di inattività a fine 2023 era pari al 16,3%. Va ancora peggio se si considera il tasso di inattività dei giovani che non lavorano e non sono in formazione, definiti di solito con lacronimo NEET: nella fascia 20-34 anni, lItalia occupa il secondo posto in Europa con il 18%, preceduta solo alla Romania (20,6%) e lontanissima dal 12,4% dellarea Euro. Vero è che negli ultimi tre anni queste cifre sono migliorate (di 6 punti per lItalia) ma nellambito di un miglioramento generale nellUnione (circa 2 punti); e comunque, anche se parzialmente ridotti dal nuovo Decreto Lavoro approvato in questi giorni, lItalia resta il Paese con gli incentivi impliciti maggiori al sommerso o al non lavoro (leggasi lenorme numero di bonus e agevolazioni correlate ai redditi e allISEE: insomma, meno dichiari più soldi ti dà lo stato).
Un indicatore significativo, che di solito viene trascurato, è quello sulle vacation (mancanza di personale nelle aziende): in Italia siamo sul 2%, contro il 3% dellUE, ma si tratta di un dato scivoloso e difficile da fotografare. Più comprensibile è il dato che illustra il mancato incontro tra domanda e offerta del lavoro, il cosiddetto mismatch. In Italia è tradizionalmente elevato: per il secondo semestre 2024 lOsservatorio Excelsior-Unioncamere prevede un 47% di mancati incontri tra domanda e offerta. Per la Francia il medesimo dato è pari al 31%.
Questi problemi sono comuni a tutta lEuropa (e non solo) ma lItalia vanta il triste il primato di averli tutti insieme ed essere al vertice negativo delle classifiche. Proviamo a illustrarli sinteticamente per trarne qualche conclusione. Dopo il crollo dovuto a COVID-19 e la successiva ripresa, il PIL presenta percentuali in calo: 0,9% nel 2023, 0,5% per Istat (forse 0,7%) questanno e 0,8% nel 2025, manifattura permettendo e ipotizzando il medesimo flusso turistico del 2024, probabile anche per il Giubileo. Lindustria negli ultimi 12 mesi ha perso l1,7% della produzione; commercio e turismo,, nonostante il boom dellestate, sono cresciuti solo dello 0,7%. Rispetto al trimestre precedente lexport diminuisce dello 0,9%; sul piano interno, i consumi delle famiglie sono aumentati dello 0,8% (verosimilmente come effetto dei numerosi CCNL rinnovati durante lanno) ma gli investimenti sono calati dello 0,3%. I redditi delle famiglie da lavoro dipendente sono cresciuti dell1,2% ma per il 15% della popolazione la pressione fiscale complessiva crescerà anche nel 2025 per via delle norme contenute nella Legge di Bilancio che agevola i redditi sotto i 35mila euro lordi (l85% appunto della popolazione) e penalizza i soliti contributori cui gli emendamenti della sinistra volevano anche "appioppare" una patrimoniale.
Resta quindi da interpretare come la crescita di occupati e con contratti stabili possa convivere con questo quadro economico. A tale scopo è utile far rientrare nel ragionamento i dati sulle ore lavorate e metterle in relazione con il PIL e con i redditi da lavoro. Il monte ore lavorato nellindustria è sceso del 6,2% (il PIL, come visto - 1,7%), mentre quello dei servizi è cresciuto del 2,5% ma il PIL solo dello 0,7%. In entrambi i casi linput di lavoro cresce più delloutput del valore aggiunto. La produttività, ossia il problema più pesante e nefasto per la nostra economia e la sua competitività, peggiora nella media nazionale (la manifattura va meglio) e la Legge di Bilancio per lindustria, lunica che può generare sviluppo e redditi, prevede molto poco. Se si riportano sul piano occupazionale i dati anzidetti si noterà allora facilmente come la modesta crescita del PIL sia stata finanziata da bassi salari (+1,2% in media), incrementati fino a un 4% dai provvedimenti governativi di esenzioni fiscali e contributivi: uno spostamento di spesa pubblica a sostegno delle retribuzioni penalizzando altre destinazioni. Insomma, si potrebbe dire che continuiamo a distribuire pesce (oltre 20 miliardi su 29) a debito (anche questa legge di bilancio ne prevede tra i 9 e 10 miliardi) ma non diamo canne da pesca, tanto che non crescono produttività e sviluppo. In sostanza, si assiste a una (modesta) crescita finanziata essenzialmente dai bassi costi di produzione, in primis il costo del lavoro. Un modello che presenta un vastissimo comparto di servizi mediamente poveri e un manifatturiero molto dipendente dallautomotive (e quindi dalla crisi dellauto tedesca), con scarsa propensione alla ricerca e allinnovazione. Una distrazione fatale in tempi di intelligenza artificiale e transizione green.
Un modello più vicino ai Paesi in via di sviluppo che alle economie europee, confermato anche dal calo degli investimenti fissi (-6%) e delle esportazioni (-0,1%). Speriamo di poter salvare qualcosa di Stellantis e della filiera ma, anche se dovesse andare bene, sarebbe opportuno abbandonare i toni trionfali e rendersi conto che leconomia del Paese, gravata da un debito pubblico che toccherà a breve i 3.000 miliardi, sta correndo pericoli piuttosto seri.
Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
Claudio Negro, Fondazione Anna Kuliscioff e Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
16/12/2024